Recensione andrej rublev regia di Andrei Tarkovskij URSS 1966
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Recensione andrej rublev (1966)

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locandina del film ANDREJ RUBLEV

Immagine tratta dal film ANDREJ RUBLEV

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Chi è Andrej Rublev?

Siamo a cavallo del quindicesimo secolo ancora nell'età intermedia tra il mondo antico ed il mondo moderno, l'umanità vive una crisi di rinnovamento culturale, religioso e politico, gli umanisti accusano la "media tempestas" di aver dimenticato gli ideali di bellezza e di cultura del mondo classico ed i protestanti di aver segnato il progredire della corruzione ecclesiastica, ma la caduta di Costantinopoli è vicina e la ripresa culturale e religiosa, con la rivoluzione delle grandi scoperte e invenzioni, alle porte. In questo tempo, in una data non precisata, presumibilmente tra il 1360 ed il 1370, in un qualsiasi villaggio sepolto sotto la neve nasce colui che da umile discepolo dell'illustre pittore Teofane il greco, giunto a Mosca dalla lontana Bisanzio, diventerà il più importante iconografo russo.

L'influenza di Teofane traspare soprattutto nella sua prima opera nota, gli affreschi della cattedrale della dormizione a Zvenigorod (1400 circa) per poi distaccarvisi progressivamente fino a raggiungere una personalità tutta propria facendolo distinguere per la severità, per il rigore architettonico delle forme e per i colori più brillanti.

Ad Andrej Rublev viene attribuita la più celebre icona della Russia quella della trinità angelica nella galleria Tret'jakov a Mosca. Il pittore ebbe il merito di segnare il punto di rottura con la più antica tradizione bizantina, ancora radicata in quel tempo in Russia e l'affermarsi di uno stile nuovo che porterà a rinnovarla con caratteristiche proprie.

In quanti avrebbero conosciuto questo incredibile artista se uno dei più importanti registi cinematografici russi, Andrej Arsen'evic Tarkovskij non ne avesse ripercorso la vita con questo autentico capolavoro? Se non si è esperti in materia difficilmente si viene a conoscenza di Zinon di Pskov, uno dei maggiori iconografi russi al pari di Andrej Rublev, in realtà di nomi ne circolano pochi, l'icona, a differenza di un quadro, deve essere prevalentemente anonima e rispettare precisi canoni che le negano una interpretazione personale.
La bellezza di queste pellicole sta anche in questo, ci proiettano in mondi altrimenti sconosciuti, negli angoli di storia più reconditi.

L'opera di Tarkovskij, inizialmente espressione del disgelo sovietico, si è successivamente rivelata dubbiosa nei confronti della religiosità russa, il potere non ha mai visto di buon grado questa posizione tanto da "costringere" il regista, nel momento più importante della sua carriera, ad un esilio volontario.

Capace di indiscussi capolavori, come "Stalker", "Lo specchio", "L'infanzia di Ivan", solo per citarne alcuni, Tarkovskij con il suo cinema ha rappresentato, da grande maestro, il tempo in tutte le sue forme; lentezza, ritmo, velocità, riflessione, nelle sue opere nessun elemento è superfluo, l'uso della musica, dei dialoghi, il ritmo del montaggio, la sceneggiatura tutto è eticamente ed esteticamente ineccepibile.

È il 1962 quando Tarkovskij inizia la stesura di "Andrej Rublev" per concluderla tra il 1965 ed il 1966, donandogli eterna vita con l'uscita nelle sale soltanto nel 1972.

La vita di uno dei più grandi pittori di icone, Andrej Rublev (1360/70 – 1430), divisa in capitoli racchiusi tra un prologo ed un epilogo.
L'incipit del prologo è semplicemente straordinario sia nella realizzazione che nell'impatto visivo: un uomo si libra in volo legato ad una rudimentale mongolfiera, la telecamera posta sul pallone aerostatico filma la campagna russa, l'entusiasmo del provetto Icaro ha breve durata il pallone precipita rovinosamente al suolo.

I capitoli si aprono nell'anno 1400 con tre monaci pittori, Rublev, Danil e Kirill che ottenuto riparo in un' isba a causa di un temporale assistono all'arresto di un buffone che aveva avuto l'infelice idea di scherzare sui potenti. Il 1405 contraddistingue l'incontro tra Kirill e Teofane il greco con la promessa di una collaborazione reciproca; l'invito di Teofane giungerà però a Rublev con il conseguente dissenso di Kirill. Il 1406 vede discutere Rublev e Teofane sui massimi sistemi, il secondo afferma che ad un pittore non deve assolutamente mancare il timore di Dio, per essere dei veri artisti deve prevalere la semplicità e non la presunzione, "nella saggezza c'è sempre il dolore e la conoscenza delle cose conduce al pianto".
1408, durante un viaggio Rublev vicino le sponde di un fiume si imbatte in una festa pagana, catturato verrà salvato da una ragazza. L'estate dello stesso anno Rublev e Danil affrescano una cattedrale, il primo si rifiuta di dipingere il giudizio universale per il timore di violentare l'immaginazione degli uomini. Ed è ancora il 1408 quando assistiamo all'invasione dei tartari a Vladimir, le orde compiranno una strage, Rublev prende la decisione di non dipingere più e di chiudersi in un totale ascetismo. Il 1423 ci accompagna in un villaggio dove un giovane, figlio di fonditori, si impegna a costruire un' enorme campana, al termine del lavoro Rublev propone al giovane di unire i loro talenti e di trasferirsi a Mosca per lavorare insieme. Il film si chiude con una carrellata di opere a colori del grande pittore.

Il prologo non è stato inserito a caso dal regista, gli ideali del pittore sono gli stessi di colui che ha inventato il pallone per volare, la stessa fiducia riposta agli uomini è costretta a precipitare di fronte ai brutali eventi della storia, la razionalità di Rublev soccombe di fronte agli orrori perpetrati dai tartari e di fronte ad un tentativo di stupro ai danni di una ragazza sordomuta è costretto ad uccidere.

È la legge di un'epoca storica devastata dalla violenza, madre della sofferenza dei popoli, in cui la vita di un contadino valeva il capriccio di un soldato; in questo quadro Tarkovskij dipinge un cammino spirituale parallelo raffigurando il percorso della creazione con scene di straordinaria bellezza.

Il monaco pittore attraversa gli otto capitoli più come spettatore che da protagonista, l'epicità della storia sovrasta l'uomo, piccolo e costretto nel suo involucro, incapace di stravolgere gli eventi, se non servendosi del solo strumento in grado di contrastare il brutale grigiore dell'umanità: l'arte. E' l'epilogo ad invitarci ad una riflessione a riguardo, la successione di immagini a colori, con i volti delle icone ci suggerisce che non tutto è grigio, le bellezze artistiche, al pari di quelle della natura, sono in grado di far dimenticare le brutalità di cui è capace l'uomo.

Come molti altri capolavori della cinematografia mondiale anche "Andrej Rublev" fu riconosciuto tale dalla critica soltanto dopo la sua uscita nelle sale, inizialmente gli spettatori accolsero con distacco la pellicola, probabilmente condizionati dalla ritardata uscita imposta dalle autorità sovietiche che ne vedevano una metafora tra la Russia descritta da Tarkovskij nel film e quella contemporanea.

È necessario sottolineare le difficoltà a cui è andato incontro il regista scegliendo la struttura ad episodi della durata totale di oltre tre ore: ci si allontana così da qualsiasi intento commerciale, 200 minuti sono tanti, rischiano di stancare, ma è proprio nella coralità la forza del film e se proprio dobbiamo andare a cercare la ciliegina su una torta già da se gustosissima, possiamo affermare di averla trovata nell'episodio della campana con il suo messaggio di speranza e di fratellanza. Il giovane Boriska con la sua caparbietà dimostra al popolo e ad un affascinato Rublev che più forze unite per l'arte possono dare un grande sostegno alle popolazioni che soffrono.

Un suono. Quanti sono, oggi, i popoli che hanno bisogno del rintocco di una campana?.

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Recensione a cura di Marco Iafrate - aggiornata al 24/11/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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