Recensione go go tales regia di Abel Ferrara USA 2007
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Recensione go go tales (2007)

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locandina del film GO GO TALES

Immagine tratta dal film GO GO TALES

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A due anni di distanza da "Mary", Abel Ferrara presenta al Festival di Cannes 2007 "Go go tales", film interamente girato a cinecittà con cui Ferrara intende scandagliare il mondo dei night club. L'accoglienza tributata in quella sede alla pellicola fu così tiepida da determinarne l'uscita in sala direttamente d'estate, nonostante le accese polemiche dovute ad una scena di lap dance che vedeva protagonisti Asia Argento ed un rotweiller promettessero perlomeno un lancio imponente fondato su pruriti scandalistici.

Con "Go go tales" Abel Ferrara prova a raccontare l'ambiente dei night club mediante il Paradise, locale diretto dall'istrionico Ray Ruby (Willem Dafoe) con l'aiuto del Barone (Bob Hoskins). Nonostante l'amore e la passione con cui Ruby gestisce il locale questo versa in un preoccupante dissesto economico, anche a causa del vizio del gioco del suo titolare; le cose peggiorano quando il ricco fratello parrucchiere di Ray, Johnie (Matthew Modine), decide di tagliare i finanziamenti fino a quel momento erogati al Paradise, ma quando Ray sembra aver perso ogni speranza vince inaspettatamente un capitale al lotto.
Purtroppo l'euforia della vittoria svanisce quando Ray si accorge di aver smarrito la ricevuta della giocata vincente.

I night club, con le loro atmosfere cariche di sensualità e trasgressione, sono spesso stati il palcoscenico ideale di pellicole immortali: si va dai locali peccaminosi e suadenti tipici dei noir anni '40, in cui si poteva incontrare una magnetica femme fatale voluttuosamente intenta a sfilarsi un guanto sulle note di "Put the blame on mame", a quelli degli anni '50, in cui le atmosfere peccaminose erano sfumate dalle esibizioni di musicisti come Nat King Cole, che regala a "Gardenia Blu" di Fritz Lang il brano omonimo, o erano abbandonate del tutto in favore dei fumi dell'alcool che inondavano i night negli anni '20 di "A qualcuno piace caldo", di Wilder.
Spesso poi i night club rimanevano semplicemente sullo sfondo, indefettibili crocevia delle esistenze di antieroi sdruciti, come ne "Il grande caldo" sempre di Lang o ne "I gangsters" di Siodmak, per arrivare in anni più recenti all'indimenticabile Isabella Rossellini che intona "Blue Velvet" nell'omonimo film di David Lynch, allo sperduto protagonista di "Fuori orario" ed alla sua odissea notturna o alla triste coppia in crisi David Strathairn / Rachel Weisz, che ormai riesce a sfiorarsi solo all'interno di uno squallido locale, come narrato da Wong Kar Wai in "My blueberry nights".

Per ritrovare, però, il night club come principale protagonista di un film dopo i fasti degli anni '40 dobbiamo correre al 1994, anno in cui esce l'ottimo "Exotica", di Atom Egoyan, nel quale il night riacquista quel perduto fascino peccaminoso aggiornato però al mutamento dei costumi. Il momentaneo ritrovato vigore dell'ambientazione notturna affonda però nel 1995, anno in cui esce l'imbarazzante film di Paul Verhoeven "Showgirls", seguito l'anno seguente da "Striptease", con Demi Moore, diverso nell'impostazione ma di esito disastrosamente simile.
Il recente gioiello indipendente "Irina Palm", in cui un'anziana signora arrotondava la pensione grazie ad attività "manuali" all'interno di un night, lasciava presagire buone aspettative per il futuro, drammaticamente disattese da quest'ultima, imbarazzante pellicola di un distratto (distrutto?) Abel Ferrara.

"Go go tales" è il maldestro tentativo di riproporre le atmosfere di "Exotica" in chiave leggera, clamorosamente fallito già nel momento genetico della sceneggiatura: ormai da troppo tempo orfano del suo sceneggiatore di fiducia Nicholas St. John, autore delle sceneggiature- capolavoro, tra le altre, di "Fratelli" e "The addiction", Ferrara sembra in balia di se stesso, con il risultato di scrivere un'accozzaglia di scene che si susseguono senza alcun nesso di causalità, con involontari risvolti comici che suscitano un'istintiva tenerezza nei confronti del regista/sceneggiatore. Emblematica nel senso spiegato la scena in cui, nel bel mezzo della serata, gli inservienti del Paradise cacciano via tutti i clienti dicendo che lo show è finito e che devono fare le pulizie, salvo far entrare subito dopo una nutrita schiera di nuovi clienti, accorsi per godere di uno spettacolo di cabaret che vede per protagoniste le spogliarelliste, che si improvvisano clown, cantanti, illusioniste, musiciste…
Imperdibile poi il numero di cabaret proposto da Johnie, interpretato da un Matthew Modine ossigenato e spaesato: accovacciato col suo cagnolino, suona su un pianoforte a coda giocattolo modello Schroeder dei "Peanuts" una canzone che tutto il pubblico ascolta con le lacrime agli occhi.

Pur volendo prescindere, però, dalla totale confusionarietà della sequenza di scene che compongono "Go go tales", va sottolineato anche come lo script nelle sue linee essenziali sia quanto meno improbabile: la storia del biglietto della lotteria smarrito e poi ritrovato nel più ovvio dei posti è abusata dai tempi di "Ho vinto la lotteria di Capodanno", ed era da tempo che al cinema non si sentivano dialoghi così privi di spessore.
La sintesi del fallimento della sceneggiatura anche sotto il profilo prettamente contenutistico è racchiusa interamente nel monologo conclusivo di Ray Ruby, ormai messo alle strette dalle sue "artiste" in cerca dei propri stipendi: un monologo che nelle intenzioni di Ferrara avrebbe dovuto racchiudere tutta la passione del suo protagonista diventa uno sciatto e vuoto sproloquio, privo soprattutto della forza necessaria per sottolineare la dipendenza di Ray dal vizio del gioco; curioso, per un regista che alla dipendenza aveva dedicato un film in bilico tra filosofia, orrore e dramma come "The addiction".

Se nel complesso il film è assolutamente carente, va però sottolineato che il cast di cui si avvale è, o meglio sarebbe, di primissimo ordine: Willem Dafoe gigioneggia da par suo, e se il film riesce a mantenere una propria credibilità lo deve proprio all'istrionica prova del suo attore protagonista; Bob Hoskins, Matthew Modine e Burt Young, poi, garantiscono comunque prove di un certo livello espressivo, nonostante i dialoghi che sono chiamati ad interpretare rasentino il ridicolo in continuazione.
Tutt'altro discorso vale per le spogliarelliste: bellissime fanciulle decisamente più a proprio agio senza nulla addosso che con qualche parola in bocca, capitanate da un'Asia Argento che dovrebbe a buona ragione vantarsi di essere la protagonista dell'unica scena veramente valida della pellicola, quella che la vede protagonista di una torrida lap dance con annesse effusioni canine; completamente da dimenticare, invece, il resto della sua performance.
Il resto del cast femminile vede poi una presunta scrittrice di sceneggiature, interpretata da Stefania Rocca, una ragazza madre (Bianca Balti, tanto bella quanto inespressiva) il cui "lavoro" viene scoperto casualmente dal marito Riccardo Scamarcio - in una delle scene peggiori ed inconcludenti dell'intero film - ed una statunitense che, in un film ambientato a New York, si doppia mantenendo un maccheronico accento americano, Justine Mattera.

E' con sincero dispiacere che si è costretti a stroncare un film simile, che risulta così evidentemente amatoriale da far pensare o ad una profonda, ineluttabile ed irreversibile crisi creativa di Abel Ferrara o, se si vuole ancora concedere il beneficio del dubbio ad un regista che ormai da anni nasconde più ombre che luci, a macroscopici problemi produttivi e di budget che non hanno consentito una accurata revisione della sceneggiatura; sarebbe troppo comodo, però, imputare le marchiane lacune di "Go go tales" ad una semplice mancanza di finanziamenti, in una stagione cinematografica che ha visto tra i suoi protagonisti di nicchia il già citato gioiellino "Irina Palm", affine per materia ma lontano anni luce con il cuore.
La speranza è che Ferrara ritrovi la retta via, possibilmente lasciando il lavoro di stesura dello script a qualcuno che sia ancora in grado di raccontare storie senza perdersi per strada il filo logico del racconto.

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Recensione a cura di Jellybelly - aggiornata al 27/06/2008

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