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Lo scrittore Dostoevskij viene a sapere da un giovane anarchico che la sua cellula va preparando un altro attentato allo Zar. Pressato di giorno dall'urgenza di scrivere, si mette di notte alla ricerca della giovane a capo dell'organizzazione, per convincerla a desistere.
Assente per lunghissimi anni dalla regia, Giuliano Montaldo ritorna con un'opera molto complessa e impegnativa, non facile da giudicare. Nel farlo riprende i suoi legami passati con il racconto storico (ricordiamo i suoi "Sacco e Vanzetti" e "Giordano Bruno") e la letteratura pura ("Gli occhiali d'oro" di Bassani), con un taglio in parte saggistico e didascalico ed in parte incentrato sul difficile rapporto tra maestro ed allievo e vecchie e nuove generazioni. Dove le prime tendono ad un sostanziale revisionismo anche delle proprie lezioni giovanili le seconde mordono il freno a fatica, sentendosi tradite nel loro velleitarismo rivoluzionario.
Questa dialettica è solo uno dei tanti elementi che potremmo definire, in sintonia col titolo, come i "demoni", che tanto agitavano Dostoevskij nell'omonimo romanzo come nella vita personale; "demoni" però parzialmente diversi da quelli del libro stesso, incentrato sul pensiero e sugli ambienti nichilisti, sostenitori strenui della lotta al materialismo, ma più in generale sulla sensibilità personale del grande scrittore, duramente provato da una grave forma di epilessia. Era proprio questa malattia che forse lo portava a studiare, sentire e rappresentare il lato più tenebroso di noi stessi, a cavallo tra delitto e castigo, desiderio di elevazione ed abbrutimento totale, ed a scandagliare negli antri più reconditi della nostra anima, dove albergano disperazioni, conflitti e malevolenze, che si vorrebbe riscattare con atti sublimi, capaci di rigenerare il mondo.
Così pensando e soffrendo, il grande scrittore russo si faceva portatore di una missione etico–estetica ("la bellezza salverà il mondo"), prefigurando la presa di coscienza che l'uomo d'oggi ha del destino di esistere.
Tornando in tema ci sembra di poter dire che il film di Montaldo non riesca ad esprimere tanta complessità interiore, limitandosi ad una accurata ricerca calligrafica di ricostruzione di ambienti e scenari, e puntando sul cavallo vincente di una recitazione altamente drammatica del protagonista. Questi, assediato dai creditori, pignorato in casa propria, devastato dai vari attacchi di mal sottile, è oltretutto incalzato da un perfido editore perché concluda il suo nuovo racconto, ultima opportunità di riscatto economico.
Resta comunque valida la volontà di raccontare la contrapposizione eterna tra le scelte equilibrate dell'età matura e l'indomita volontà giovanile di rifare il mondo a proprio modo, sotto la spinta dello slancio ideale dell'adolescenza.
Da cui il conflitto con il delirio ideologico e l'aspirazione alla violenza dell'anarchismo giovanile; di quegli stessi giovani che in passato si è voluto indottrinare prima di giungere ad una fase revisionistica. Il quale percorso è splendidamente rappresentato nel film con le crudeli scene di vita del Gulag, nella disperante Siberia, in cui l'umana pietà finalmente prevale sul rigore ideologico, come nella scena del salvataggio di un nemico tra i ghiacci, o nella compassione dei deportati per l'aquila dall'ala rotta.
Riuscite queste scene, ed alcune altre, il film suscita comunque un interrogativo di merito.
Nella scia tradizionale dell'autore, a cavallo tra storia e letteratura, sembra che ora voglia convertirsi ad altri modi, indulgendo maggiormente a quelli dello sceneggiato televisivo, ed ancor più dello spettacolo teatrale, con ripetuti primi piani, scenari sovente ristretti e toni fortemente drammatici di recitazione, accompagnati da scene di esterni solo apparentemente grandiose, ma in realtà realizzate, per quanto bene, col tocco angusto della fiction televisiva. Il tutto teatralmente verboso, più "letterario" che "visivo".
Senza togliere al film, con questo, il merito di cimentarsi su temi profondi e di grandissimo respiro, e di portare in scena l'anima dell'autore, con i suoi demoni: una prodigiosa miscela di ansie e slanci utopici, di dolori sublimati e gioie represse, di predicazioni profetiche e progressive, rinnegate poi da successivi ripensamenti conservatori.
Girato in Russia ed a Torino, il film si fa pure apprezzare per la realizzazione tecnica e una fotografia convincente, con luci e chiaroscuri di impronta caravaggesca.
Resta comunque un certo interrogativo di base: il conflitto tra generazioni rivoluzionarie e conservatrici, estremismo e riformismo, terrorismo e ordine democratico, qui visto nella Russia zarista intorno al 1860, richiama apertamente alle problematiche nostrane degli anni di piombo, e Montaldo stesso ammette di pensare a questo film fin da quell'epoca.
L'impressione è pertanto quella di un'opera squisitamente calligrafica ma in parte superata ed anacronistica, imperniata su tematiche oggi non più attuali e piuttosto scontate.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 03/06/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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