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Bologna, metà degli anni '70: anni di piombo e pensieri come l'aria, parole a briglia sciolta che viaggiano sulle onde FM, corrono per i portici, filtrano sottoterra.
Questa è la storia di Radio Alice: un centro creativo, un flusso di coscienze, un sogno di ragazzi che cercavano una società diversa, una vita fatta di lavori che non li annichilissero e di amori che non li possedessero.
Un grido che diceva "Abbasso la vita quotidiana!" e cercava un'arte nuova, elementare e ancestrale, che ridonasse agli uomini la forza di essere uomini.
Un'utopia che, col suo gusto anarchico, ribelle e irridente, andava invocando un ritmo nuovo nel vivere, scardinando le coscienze borghesi, sabotando la produttività ed il ben pensare.
Un luogo di raccolta per "scalcagnati" di ogni genere, in rotta di collisione con tutto, anche nei confronti del "grande padre politico", il Partito Comunista Italiano, accusato di stare al gioco dello Stato repressivo.
Questa non è la storia di Radio Alice, ma quella dei figli degli operai asserviti da anni alla fabbrica, di chi tirava a campare senza pensare alla lotta armata, di chi cercava un riscatto, di chi sognava l'Australia, di chi portava sulle spalle anni di fatica e silenzio, di generazioni dagli occhi vuoti.
È la storia di un'Italia vergognosa e puzzolente come questa.
La storia di due ragazzi, Sgualo e Pelo (i bravissimi Tommaso Ramenghi e Marco Luisi), che si lasciano coinvolgere in un colpo alla "soliti ignoti" da un bislacco furfante filosofo e scavano un tunnel, dritto e scuro come la rabbia che li solca dentro. Come formiche laboriose, drizzano le antenne (quelle della radio, però), così da far arrivare sottoterra le note, i suoni, le parole, i pensieri, i battiti del cuore pulsante del mondo di Alice. In sottofondo restano i colpi di piccone.
"Lavorare con lentezza" è un film che racconta quegli anni e li racconta in maniera diversa.
Guido Chiesa ci regala la sua visione di diciannovenne torinese, che guarda a Bologna e al suo grido di dolore. Il regista, raccontando di un esperimento di comunicazione come Radio Alice (una radio senza redazione e palinsesto, che introduce - per la prima volta in Italia - l'uso della diretta telefonica senza tagli, senza censure, in cui ogni argomento, ogni voce aveva lo stesso risalto), ha il coraggio di sperimentare a sua volta, contaminando non solo i generi, ma anche i codici espressivi e la fotografia.
Ad esempio, le assemblee del movimento che dà vita a Radio Alice vengono presentate con delle ironiche sequenze da comica muta. Una vera piccola slapstick comedyall'interno del film, in cui le classiche didascalie nello stile dell'epoca cedono il passo a coloratissimi cartelli inneggianti alla riconquista dei propri spazi e alla fedeltà verso le proprie idee.
In certi passaggi Chiesa usa un montaggio incrociato che spiazza, che non ci fa capire dove e quando si svolge l'azione. Ad esempio, nella scena in cui dei ragazzi picchiano un vecchio questi sono dei personaggi secondari, che abbiamo fino ad allora appena intravisto, ma questa scena fa da contrappunto ad un dialogo fra i protagonisti. La sua violenza (così come lo stacco logico che opera rispetto alla narrazione della vicenda) confonde, ma al contempo scolpisce quei ragazzi senza nome nella nostra memoria e va a riempire il calderone ribollente della varia umanità ritratta nel film.
Il film nel suo insieme manca forse di un po' di omogeneità, ma è trascinato dalla propria energia vitale. Crea un terreno di incontro fra dramma e commedia operando una commistione di realtà e finzione. In effetti, sulla realtà dei fatti di quella primavera il regista è ben informato avendo già realizzato un documentario-reportage sull'argomento ("Alice è in Paradiso", 2002); per la sognante e nostalgica finzione lo aiutano i Wu Ming.
La realtà è che il paese delle meraviglie di Alice è stato spiato e demonizzato: la polizia ascoltava la radio e vigilava, gli sciocchi la consideravano un'emittente di guerriglieri. Del resto anche per il Partito Comunista una radio nata senza chiedere il permesso era qualcosa di assurdo, di a dir poco deviante. Radio Alice venne dunque chiusa dalle forze dell'ordine nei giorni bui delle barricate di Bologna, dopo i lacrimogeni e le cariche, dopo la morte di un ragazzo per mano di un carabiniere.
La sua colpa (presunta) è di aver concertato gli scontri e le proteste. La sua colpa (vera) è di aver dato speranza a chi credeva nella possibilità di essere quello che si sogna, all'ozio come alternativa - sulle note della canzone di Enzo del Re (cantautore che chiedeva solo il minimo sindacale dello stipendio di un metalmeccanico e che suonava solo in luoghi raggiungibili coi mezzi pubblici). Rea di aver dato ai giovani di allora qualcosa per cui lottare.
La finzione è data dal collegamento fra Radio Alice e la strana "banda del buco" che ha realmente tentato un colpo alla Cassa Centrale di Risparmio di Bologna. Il 1 marzo 1977 in città venne infatti scoperto un tunnel lungo 60 metri che doveva portare fino al caveau della banca.
È questa accuratezza nei particolari, questo inventare ricamando su un reale fatto di cronaca, questa attenzione verso l'ambientazione e la ricostruzione, che supera la stereotipazione dei personaggi, l'esasperazione delle poesie urlate, la visione pop e giovanilistica, che ci fa perdonare ogni cliché.
Un film forse non perfetto stilisticamente, ma che ci affascina e ci fa sentire il profumo dell'inchiostro sulle pagine dei fumetti di Alan Ford, che ci ubriaca di scritte sui muri, di slogan da "diario del bombarolo anarchico", di giovani palpiti.
Un film sentito e viscerale. Un film originale, su temi che non lo sono affatto.
La recitazione degli attori emergenti è fresca e sorprendente, in generale tutto il cast è davvero credibile e convincente. Oltre ai già citati Ramenghi e Luisi, una nota di merito particolare va a Valerio Mastandrea, che interpreta il Tenente dimesso e disilluso, ed a Valerio Rinasco, un profondo e colto disonesto.
A completare il tutto vi è una colonna sonora emozionante e quanto mai azzeccata, che rispolvera gli Area (reinterpretati dagli Afterhours), Patty Smith, Frank Zappa, Tim Buckley, Carl Douglas, The Fugs e Rino Gaetano.
Questo film merita un elogio per la sua bellezza rabbiosa e ci riporta alla mente che un tempo ci si è battuti per degli ideali, forse sbagliati, ma coerenti.
Ciò ha un'importanza da non sottovalutare nell'Italietta attuale, ipocrita e servile forse ancor di più di quella di quei giorni, in cui anche le fiction ti spiegano perché il Partito Comunista non è arrivato al potere ed in cui la libertà di pensiero ed espressione è un mero ricordo... ma non vi è più nessuno che se ne scandalizzi.
E la mente va a chi è caduto più di recente, al G8 di Genova. Perché la storia è ciclica e ritorna, ma la rabbia, oggi, non ha voce e ha smesso di vagare per le piazze.
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Recensione a cura di Laura Ciranna - aggiornata al 25/10/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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