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Leila, Hugh e Ben sono tre fratelli di colore, ma di sfumature diverse. Ognuno di loro coltiva sogni e ambizioni che è poi costretto a reprimere a causa dello scontro con la dura realtà.
"Ombre", esordio registico di John Cassavetes, è un film estremamente reale, quasi non si trattasse di cinema, ma di vita vera e propria.
Risultato eccellente ottenuto grazie ad una regia scrutatrice e indagatrice dell'animo dei suoi protagonisti e dall'estrema analisi psicologica dei personaggi, che appunto non risultano come tali. Non personaggi quindi, ma persone. È forse per questo che gli attori mantengono i propri nomi, che improvvisano sul canovaccio (quasi completamente inesistente) e che si muovono liberamente davanti alla telecamera, che si limita a spiare le loro vite, quasi come un occhio nascosto e indiscreto. È l'occhio di Cassavetes, che ha saputo dare vita ad uno dei più importanti film del cinema americano indipendente, girato con un budget irrisorio (ottenuto tramite una colletta radiofonica) e interpretato da attori che hanno risposto ad un'inserzione su un giornale.
Ad essere raccontate sono tre diverse generazioni: quella più matura e responsabile alla quale appartiene Hugh, quella scapestrata e sognatrice alla quale appartiene Ben e, infine, quella ingenua e appassionata impersonata da Leila. Generazioni, quelle raccontate da Cassavetes, che inseguono un sogno, che desiderano fuoriuscire dagli schemi, che anelano una libertà intellettuale, sociale e sentimentale.
Generazioni che dovranno scontrarsi però con la realtà e che giungeranno tristemente ma consapevolmente al compromesso.
Hugh, Leila e Ben sono tre fratelli di colore, ma le sfumature della loro carnagione sono alquanto diverse. Hugh è scurissimo, Ben ha la carnagione del portoricano e Leila è una splendida mulatta. Gli ultimi due, quindi, possono anche farsi passare per bianchi, e in verità è quello che fanno o che cercano di fare.
Hugh è un cantante jazz in declino che pur di mantenere la propria famiglia e racimolare un po' di soldi, accetta di presentare spettacoli squallidi e non all'altezza delle sue capacità. Ad accompagnarlo c'è sempre un simpatico e ilare compagno di viaggio, nonché suo agente. Hugh è il fratello maggiore ed è quindi anche quello più responsabile, anche se è incline al litigio e all'imposizione.
Ben è un sassofonista che sogna di poter suonare in una band. Scorazza per New York con un gruppo di amici bianchi e si diverte a passare da un locale all'altro bevendo e corteggiando le avventrici.
Leila è una dolce ventenne con aspirazioni letterarie. Frequenta circoli di intellettuali e desidera riscattarsi socialmente. Per questo motivo finge di essere bianca, anche quando si innamora di un ragazzo, Tony. La prima notte di sesso è una delusione, ma i due non tardano ad affezionarsi ed innamorarsi. Ma quando Tony scopre la vera natura sociale ed etnica della sua compagna, reagisce in maniera esagerata, abbandonandola. Suo fratello Hugh, vieta a Leila di rivedere quell' uomo e lei continua a soffrire per l'amore perduto.
Tutti e tre hanno aspirazioni intellettuali e sogni di libertà, ma tutti e tre si ritrovano davanti ad un muro ed è così che cedono a dei compromessi: Hugh continua a firmare contratti per ingaggi squallidi, Ben capisce che è inutile continuare ad illudersi di poter condurre la vita dissoluta che ha condotto con i suoi compagni bianchi e quindi li abbandona allontanandosi da solo per le strade di New York e Leila, innamorata di un bianco, si fa corteggiare da un ragazzo di colore che ne sopporta i capricci.
L'incipit di questa pellicola è folgorante: c'è una festa piena di gente con musica alta, ma Ben è spaesato, non sa come muoversi e cosa fare. Si allontana silenziosamente. Il tutto è ripreso con una tale attenzione alle emozioni ed espressioni del volto del ragazzo, che pare quasi di assistere ad una storia reale, alla vita vera. Grazie ad un utilizzo smodato di primi e primissimi piani, tutti molto particolari, riusciamo a penetrare nell'animo dei "personaggi" e a studiarne le psicologie. Questi primi piani, alternati a vari piani sequenza contribuiscono a dare uno stampo quasi documentaristico alla regia. Per non parlare della colonna sonora interna al film: le note che ascoltiamo noi spettatori, sono le stesse che ascoltano i "protagonisti" del film. E che note! L'utilizzo della musica jazz (con le note strabilianti create da Charles Mingus), in un periodo in cui il rock stava prendendo il sopravvento è sintomatico e rappresentativo dello spirito di ribellione che permea e che caratterizza le generazioni mostrate.
Significativa rimane la sequenza finale nella quale Ben partecipa ad una rissa con i suoi compagni di scorribande, ma subito dopo capisce di non appartenere a quel tipo di vita e si allontana nuovamente solo (come nella sequenza iniziale) per le strade di una New York, come forse non l'avevamo mai vista. Una New York fotografata in maniera esemplare (come nelle fantastiche scene al parco) che fa da sfondo alle vicende semplici ma reali dei tre fratelli. In realtà nel film non succede quasi nulla, ci si limita solo a seguire le orme di tre persone e di coloro che li circondano. Ma la cosa spettacolare è proprio che da questo "nulla" che è poi la vita, si ricavano delle profonde riflessioni: da quelle della storia d'amore a sfondo razziale (che Hugh liquida indicandolo come un "problemuccio razziale") a quella delle aspirazioni e dei sogni che vanno a sbattere contro un muro di indifferenza e sordità.
Grazie ad una regia personale e molto particolare e per via di una recitazione molto naturale (ottenuta anche grazie all'utilizzo di attori non professionisti lasciati liberi di improvvisare), "Ombre", che attinge molto dalla Nouvelle vague francese e dal cinema indipendente inglese, può essere considerato un esemplare esponente cinematografico, che di cinematografico ha veramente poco.
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Recensione a cura di A. Cavisi - aggiornata al 14/04/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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