Recensione rendition - detenzione illegale regia di Gavin Hood USA, Sud Africa 2007
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Recensione rendition - detenzione illegale (2007)

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locandina del film RENDITION - DETENZIONE ILLEGALE

Immagine tratta dal film RENDITION - DETENZIONE ILLEGALE

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Extraordinary Rendition (consegna straordinaria, ovvero operazione al limite della legalità): è così che viene indicata la aberrante pratica operata dalla CIA che consente al governo di Washingthon di rapire e sequestrare con azioni segrete cittadini stranieri (soprattutto mediorientali) residenti negli Stati Uniti, ritenuti pericolosi per la sicurezza della Nazione perchè sospettati di far parte di associazioni terrorostiche, e trasportarli oltreoceano con voli speciali in prigioni segrete a disposizione dei servizi segreti USA (nell'Europa dell'est, in Romania e Polonia e anche in nord Africa e Asia) per essere interrogati in modo "non convenzionale" (cioè al di fuori delle regole internazionali che vietano la tortura), al fine di strappare con la forza "confessioni" considerati importanti per la lotta al terrorismo.
Una perversa ed illegale attività lesiva dei diritti umani e contraria ai principi ispiratori della "democrazia americana", sviluppata, purtroppo, sotto l'amministrazione Clinton e cresciuta in modo esponenziale sotto l'amministrazione attualmente in carica, specie dopo l'attentato dell'11 settembre al World Trade Center, quando il provvedimento ha assunto livelli insostenibili diventando una pratica sempre più rilevante ed abusata con il passare del tempo, fino quasi ad essere legittimata nella consapevolezza della gente.

Il crollo delle Twin Towers ha segnato una svolta nella politica americana nei riguardi dei diritti civili, che sono stati clamorosamente ridimensionati se non addirittura spazzati via, come succede nel caso dell'extraordinary rendition, della quale abbiamo avuto un esempio anche in Italia con il sequestro dell'imam egiziano Abu Omar, rapito in pieno giorno a Milano da 26 agenti della Cia nel febbraio del 2003, con la probabile complicità del SISMI.
La propaganda, da parte sua, ha contribuito a far addormentare le coscienze legittimando pratiche antidemocratiche come, per esempio, nel caso delle guerre preventive (che sono diventate una costante) e alimentando l'equazione arabo=terrorista, ritenuta ormai un assioma.
Ma non si tratta solo di una questione di etica bellica o di motivazioni politiche-psicologiche, che sono alla base di una politica certamente antidemocaratica ma quantomeno comprensibile; sono le libertà civili che sono state violentate, è la politica che si è fatta più aggressiva, è il clima di sospetto e di diffidenza che si è ormai largamente diffuso (o è stato proditoriamente diffuso) nel Paese da parte di un Governo che, in nome della lotta al terrorismo ed in difesa della democrazia, e per garantire la libertà, non si fa scrupolo di infrangere le leggi e violare i diritti umani.
Certo la paura gioca un ruolo molto importante in questo stato di cose (e lo sa bene chi ha interesse a diffonderla a macchia d'olio): fa vedere nemici in ogni luogo, nella gente che incontri, in ogni individuo che ha la pelle un po' più scura; il nemico si nasconde nel più insospettabile degli uomini, nel tizio della porta accanto, in colui che conosciamo per averlo incontrato tutte le mattine alla fermata del bus, a cui non abbiamo mai rivolto la parola o un cenno di solidarietà, in colui che ci siede accanto in treno o in aereo, nell'uomo che spinge il carrello della spesa al supermercato.
Eppure è proprio questa paura che diventa un'arma a doppio taglio, un'arma di propaganda per gli estremisti islamici; perchè, come riflette l'agente della CIA Douglas Freeman, "per ogni persona che seviziamo, creiamo dieci, cento, mille persone che ci odiano"; perchè inneschiamo una spirale perversa in cui non ci riesce più di capire chi è nel giusto e chi è in errore; perchè non si riesce più ad uscire da una situazione che si è fatta ormai talmente complicata, da non lasciare intravedere uno spiraglio che possa porre fine a questo stato di cose.

Il regista sudafricano Gavin Hood (premio Oscar 2005 per il miglior film straniero con "Il suo nome è Tsotsi") con questo atto d'accusa ci fa conoscere/capire/ricordare cosa sia l'America contemporanea, l'America di Bush, l'America che continua a mandare a morire i suoi ragazzi in una guerra della quale, sin dall'inizio, si sapevano non veritiere le motivazioni, l'America che risponde in modo sbagliato ad un problema reale, offrendo così un'arma di propaganda in più e una motivazione ideologica plausibile per le azioni terroristiche riconducibili al fondamentalismo islamico.

Il cinema americano ha cominciato recentemente ad affiancare al filone post-Vietnam, un trend di riflessione e di denuncia dei vari scempi umani perpetrati dall'amministrazione Bush.
Sotto quest'ottica troviamo in prima fila Michael Moore con i suoi docu-film di denuncia, ma anche il documento di Michael Winterbottom sugli orrori di Guantanamo, che tanto scalpore hanno sollevato in America e nel mondo.
Nel frattempo Brian De Palma ha realizzato il suo "Redacted" per ricordarci l'inferno di Bagdad, mentre Paul Haggis in "In the valley of Elah" ha issato al contrario la bandiera a stelle e strisce per rappresentare una nazione che ha perso tutte le sue certezze e Robert Redford ci mostra gli agnelli comandati da leoni nell'Afghanistan di "Lions of Lambs".
Gavin Hood ci conduce, invece, nei corridoi segreti della CIA, dove si definiscono strategie e si consumano le illegalità delle "pratiche sporche", per raccontare al mondo quale sia il destino che attende un condannato alla "rendition"; un episodio sicuramente romanzato ma molto vicino alla realtà, come risulta dalle timide ammissioni di alcuni governi interessati, nonostante gli omissis e l'opposizione del segreto di stato, e dalle ricerche di Amnesty International, che sostiene l'uscita del film.
Emblematico, a questo riguardo, è il caso dell'Inghilterra che, in due occasioni, ha concesso la base inglese di Diego Garcia, nell'Oceano Indiano, per far rifornire aerei CIA che trasportavano prigionieri, e dell'Italia il cui Primo Ministro dell'epoca non poteva non sapere del rapimento dell'Imam, in quanto le procedure CIA impongono il suo lasciapassare per operazioni come quella compiuta a Milano

Tutto comincia all'aeroporto di Washington quando un ingegnere chimico di origine egiziana, Anwar El-Ibrahimi (Omar Metwally), residente in America da vent'anni, scompare improvvisamente dopo essere sceso dal volo diretto dal Sudafrica a Washington che lo stava riportando a casa dalla moglie Isabella (Reese Witherspoon), dopo aver aver preso parte ad un convegno a Città del Capo.
Dal vertice della CIA, che lo ritiene in contatto con cellule terroristiche e complice di una strage in cui è morto un agente statunitense, arriva l'ordine di rendition.
Trasferito con un volo speciale in un carcere segreto di un non meglio identificato Paese del nord Africa, viene segregato e sottoposto a interrogatori e torture, nudo, spogliato della sua identià e del suo decoro, affinche confessi il ruolo avuto nella strage di matrice islamica.
Assiste agli estenuanti interrogatori un giovane osservatore della CIA, Douglas Freeman (Jake Gyllenhaal), che ha perso un collega nell'attentato e che dovrà reperire delle informazioni durante l'interrogatorio.
Ma gli interrogativi che gli si agitano dentro lo porteranno a riflettere sulla disumanità della pratica e a vivere una crisi di coscienza che lo spingerà a compiere un gesto che metterà in discussione l'intera operazione e la sua stessa attività lavorativa.
Intanto in patria la moglie Isabella, che aspetta un bambino, decisa a far luce sulla sorte del marito, si mette sulle sue tracce, ma deve fare i conti con l'omertà che circonda tutta la faccenda della sparizione.
Disperata perchè la vita dell'uomo sembra sospesa a un filo, chiede allora aiuto a un suo ex compagno di studi e forse antico amore di gioventù, Alan Smith (Peter Sarsgaard), che coinvolgerà un senatore degli Stati Uniti rivale della funzionaria CIA, di cui nel frattempo è diventato braccio destro.

Parallelamente a questa, che è la storia principale, in una sequenza temporale che ricorda il recente "Babel" di Iñárritu, vediamo intrecciarsi la vicenda di un giovane studente di una madrasa islamica, diviso tra impegno politico, fedeltà alla sua religione e l'amore per la sua ragazza, figlia del capo delle guardie della prigione segreta, che lo porta ad abbracciare una causa che gli impedisce di vivere serenamente la sua vita sentimentale.

Queste storie drammatiche che riguardano i vari personaggi in realtà si collegano insieme attraverso la sola vicenda dell'ingegnere rapito, e vengono viste secondo l'ottica di ciascuno, a cominciare dalla moglie Isabella che, nella disperata ricerca di notizie del marito scomparso, si scontra con l'indifferenza delle istituzioni e della politica. Diverso è l'approccio al caso dell'analista della CIA, al suo primo incarico, costretto ad assistere alle torture inflitte ai prigionieri, che prende coscienza dell'inumanità della pratica fino al punto da compiere una scelta estrema.
Tutto ciò mentre il capo della prigione segreta è ossessionato dalla ricerca di terroristi e dai problemi familiari a causa della figlia ribelle ed il capo della CIA, donna inflessibile e determinata, spiega come le confessioni estorte con i sequestri illegali abbiano salvato molte vite umane, senza minimamente farsi sfiorare dall'idea che l'immoralità della pratica coinvolge sì alcuni terroristi, ma ledendo al contempo la dignità di tantissime persone risultate innocenti, e che con il terrorismo non avevano nulla a che fare.

"Rendition" è coraggioso è vibrante sotto vari punti di vista, innanzitutto perchè, anche se non in modo impeccabile, affronta un tema indigesto al pubblico USA, che ha fatto mancare il successo a questa e alle altre pellicole che criticano le politiche dell'amministrazione al potere mentre, invece, hanno suscitato un grosso interesse nei vari Paesi europei perchè esplorano quella nebulosa che fa da confine tra l'illegalità camuffata da lecità e valori umani imprescindibili.

Probabilmente, il film risente di una certa lentezza e semplifica un po' troppo alcuni aspetti della vicenda, laddove avrebbe potuto e dovuto approfondire di più altri aspetti come, per esempio, il modo di comportarsi nei confronti di sospettati di terrorismo ed i metodi per arrivare alla verità, senza sconfinare nell'ingiustizia e nelle storture; ma rimane il dubbio che un uso più retorico della macchina da presa avrebbe enfatizzato troppo l'eloquenza delle immagini smussandone, conseguentemente, l'efficacia.
E poi, forse, era proprio questo che Gavin Hood voleva: non sciogliere la dicotomia giusto/sbagliato, per lasciare allo spettatore la possibilità di capire la verità, di porsi delle domande, di suscitare dei dubbi, di aprire un dibattito sulla perdita dei valori delle democrazie.
Il lavoro del regista sudafricano parte come una spy-story, ma poi si trasforma in un thriller politico che porta all'attenzione dell'opinione pubblica un problema di non facile soluzione come è quello di garantire la sicurezza di una nazione senza erodere quei diritti e quei principi che hanno retto l'America per centinaia di anni e hanno fatto grande la sua democrazia.

Ottima la sceneggiatura che intreccia i due piani temporali e ricorre all'uso di riprese che si rincorrono per due continenti: l'America e l'Africa, e che potenziano il colpo di scena finale che lascia gli spettatori straniti e con una sola certezza, cioè, avere più dirigenti dei servizi segreti che si facciano prendere da crisi di coscienza, come accade al Douglas Freeman del film.
Ottimi tutti gli attori sui quali spicca una grandissima Maryl Streep, alla sua seconda prova come "cattiva", dopo la perfida madre di "The Manchurian Candidate".
Un film che in ogni caso vale la pena di vedere, perchè qualsiasi opera che cerchi di risvegliare la consapevolezza dello spettatore su realtà misconosciute va apprezzata e merita rispetto.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 04/03/2008

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