Voto Visitatori: | 5,63 / 10 (8 voti) | Grafico | |
Sui nostri schermi, ma con un anno di ritardo rispetto alla prima avvenuta nella serata inaugurale della 61ma edizione del Festival di Locarno 2008, arriva dall'Inghilterra "Ritorno a Brideshead", del regista Julian Jarrold.
"Ritorno a Brideshead" è un film di derivazione letteraria che, puntualmente, innesca la polemica se veramente un'opera cinematografica riesca a riprodurre fedelmente l'essenza dell'opera narrativa da cui è tratta, senza tradirne lo spirito e gli intendimenti.
È questa un'impresa molto ardua, perché ciascuno di noi cerca di ritrovare nel film quelle immagini, quelle atmosfere, quelle ambientazioni, quei personaggi, quei volti e quella fisiognomica che si è creato con la sua fantasia, o che la sua fantasia gli suggerisce, e che vorrebbe vedere fedelmente riprodotti nell'opera cinematografica.
Non sfugge a questo destino neppure questo "Ritorno a Brideshead", che ne risente ancora di più per il fatto che il romazo da cui è tratto è unanimamente considerato un capolavoro della letteratura anglosassone ed europea dei primi del '900, quel "Bridshead Revisited" dello scrittore inglese Evelyn Waugh che ha narrato vizi e debolezze, perbenismo e ipocrisie 'old british style' della nobiltà britannica dell'epoca, che, forse, meno raffinata di quella continentale (non amava lo sfarzo della corte ma la vita rustica di campagna ed era dedita agli svaghi della caccia e ad amministrare la sua terra e la giustizia locale) era pur sempre votata all'affermazione della propria supremazia e non sapeva (o non credeva possibile) rinunciare al proprio effimero fulgore.
E così la pellicola si fa paradigma della decadenza inarrestabile di quella classe sociale e di quell'epoca; ma, al tempo stesso, è anche un fine componimento di ammirazione per quella sontuosa e affascinanate società di nobile lignaggio, che con il suo prestigio di casta e di sangue ha egemonizzato e contraddistinto un'epoca.
Una società chiusa in se stessa e forte delle sue labili certezze, intaccata, però, dal malessere che cominciava a percorrere le giovani generazioni, per le quali l'incontro con le nuove ideologie, i nuovi costumi, la nuova letteratura, le nuove istanze sociali, che, se da un lato cominciarono ad influenzarle, dall'altro furono un tempestivo campanello d'allarme per ciò che da lì a poco sarebbe accaduto, spingendole a prepararsi al nuovo che puntualmente stava per arrivare.
Una società superata dal tempo che esprime il più genuino ritratto dell'ipocrita espressione del cattolicesimo inglese degli anni '20, per la quale è più facile accettare divorzi, omosessualità, ingiustizie, che vedere un miscredente salire i gradini della scala sociale e avere successo nella vita.
L'agnostico arrampicatore sociale in realtà è un povero aspirante pittore, Charles Ryder, che all'inizio del film vediamo, vestito da ufficiale dell'esercito, uscire da una villa adibita a centro di comando per l'esercito inglese nei primissimi momenti della guerra contro la Germania nazista.
L'atmosfera del luogo fa affiorare in lui ricordi non tanto lontani nel tempo, che lo vedono affermato pittore, mentre ritorna da un lungo viaggio in Africa durato due anni, dove si era recato alla ricerca di nuove ispirazioni.
Sul lussuoso trasatlantico che lo sta riportando in patria, si celebra il vernissage delle sue ultime opere, che suscitano l'interesse di ricchi galleristi e collezionisti di opere d'arte e il rispetto per il loro autore.
Improvvisamente una donna, da lontano, gli sorride, sfuggente come l'amore che dieci anni prima li unì, quando entrambi erano più giovani e quando, lui, ragazzo di umili origini di Paddington, era accettato studente ad Oxford, nel tempio della futura classe dirigente inglese.
Ed è qui, in questo mondo dorato, dove si declamano poesie e si discute con raffinato eloquio di letteratura e di filosofia e, al tempo stesso, si praticano vizi snob e dove lui, di estrazione piccolo borghese, è pur sempre un estraneo, che incontra Sebastian Flyte, ricchissimo rampollo di lord e lady Marchmain e anello debole di una delle famiglie più in vista dell'aristocrazia post-vittoriana inglese.
Omosessuale non molto latente, trasgressivo e infantile, anticonformista e alcolista più per ribellismo verso la rigida intansigenza ultracattolica della madre che per corruzione morale, Sebastian viene attratto dalla bellezza, dalla cultura e dal comportamento di Charles, il quale, a sua volta, rimane affascinato dalla lucida vivacità e dal mondo dorato dal quale proviene e al quale, Sebastian, cerca di sottrarsi.
È per la suadenza di quel mito che Charles dapprima instaura con Sebastian una relazione non solo platonica (anche se il risvolto omo della storia, nel film è risolto in maniera molto discreta e limitata ad un unico, pudico bacio), poi accetta di essere ospite nell'avito castello di Brideshead, dove regna incontrastato il rigido maniechismo cattolico che lady Marchmain ha imposto alla sua famiglia e ai suoi rampolli, come un marchio di dominio assoluto su di loro.
Qui Charles conosce Julia, la vivace sorella di Sebastian, di cui non tarda ad innamorarsi, ricambiato, pur essendo ella promessa sposa ad un neoconvertito dell'ultima ora.
Ma ciò non vuol dire che lei farà parte della vita di Charles, in quanto, per quanti sforzi egli faccia, rimane sempre un middle class, un avulso, non all'altezza di entrare a far parte di quel fatuo mondo chiuso che lo ospita ma che non l'accoglie.
L'arrivo della dispotica lady Marchmain complicherà ulteriormente la già ingarbugliata situazione, in quanto, mentre l'amore materno le consente di tollerare l'eccentricità del figlio, lo stesso non può dirsi del legame che unisce la sua giovane figlia ad un uomo di classe inferiore e per di più ateo, come Charles.
Gli avvenimenti che seguono (ritorno del padre dal suo esilio volontario a Venezia, dove si era rifugiato con la sua amante, una separazione forzata, un bacio a Venezia, una relazione scandalosa a Londra, una fuga in terra d'Africa con conseguente crisi mistica, una morte che libera chi se ne va ma inchioda chi rimane) testimoniano il crollo delle contraddizioni di un'epoca e la fine delle illusioni dei protagonisti, che il baratro della seconda guerra mondiale contribuirà a seppellire definitivamente.
Affascinanate e ovattato drammone d'epoca, formalmente impeccabile nell'impianto visivo e nella ricostruzione storica e d'ambiente, elegante e raffinato nella scenografia e nei costumi, "Ritorno a Brideshead" si presenta come una confezione di lusso in cui il contenuto, però, non regge il confronto con il contenitore.
Il perché è presto detto: i tanti temi trattati, dall'omosessualità maschile al peso ossessivo del cattolicesimo, dall'incomprensione familiare alla confusione sentimentale e sessuale, non trovano, forse per esigenze cinematografiche, adeguato svolgimento, limitandosi a giocare il tutto sul piano dell'ambiguità e del compromesso metaforico, risultando il tutto un po' freddo e patinato; e ciò lascia perplesso più di qualche spettatore, poco coinvolto nei drammi, familiari e sociali, che ne derivano.
Però, vedendo il film da un'altra angolazione, va dato atto al regista e allo sceneggiatore di essere riusciti a sintetizzare in maniera inappuntabile, la vasta densità narrativa dell'opera letteraria waughiana da cui è il film è tratto, senza impoverirne le problematiche e senza sminuirne l'innegabile fascino, ma operando una serie di variazioni nella vicenda, che lungi dallo snaturarne lo spirito, alla lunga si rivelano funzionali all'economia del film e contribuiscono a mantenere intatti tutti gli elementi su cui si basa e trae la sua forza l'opera letteraria, dando così un'impronta personale all'intera opera cinematografica.
Si odono echi ivoryani e della British Renaissance e si notano lampi di misurato autocompiacimento per un passato che non disdegna di guardare, per alcune situazioni, dalla parte dell'attualità presente e, forse, anche futura.
Perfetto l'intero cast, a cominciare dai tre giovani protagonisti: Matthew Goode (Charles), che abbiamo già visto in "Match Point" di Woody Allen, la cui recitazione misurata e quasi trattenuta fa da contrappunto a quella più sofferta e sostanziale di Ben Winshaw (Sebastian) che si era fatto notare come interprete di talento nel drammatico "Profumo", di Tom Tykwer.
Splendita spalla dei due protagonisti la bellissima Hayley Hatwell (Julia), anche lei scoperta da Allen, che sa trovare i toni giusti anche quando la vicenda prende una piega più drammatica e che era già stata oggetto di sofferenze, come amica-rivale di Keira Knightley, ne "La duchessa", di Saul Dibb.
Un discorso a parte lo meritano i due interpreti veterani (anzi tre se contiamo anche quella Greta Scacchi alla quale le rughe hanno aggiunto fascino invece di sminuirlo), Michael Gambon, splendito gigione, nel ruolo di Lord Marchmain e la sempre efficace Emma Thompson in quello della sua dispotica moglie, costruttrice di incrollabili palizzate attorno alla felicità dei figli.
In conclusione, il film rimane, forse, una scommessa vinta solo per tre quarti, ma che merita comunque essere considerato ottimo cinema.
Commenta la recensione di RITORNO A BRIDESHEAD sul forum
Condividi recensione su Facebook
Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 07/07/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
Ordine elenco: Data Media voti Commenti Alfabetico
in sala
archivio