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Sicuramente CHUNG KUO - CINA è un documentario di parte, che vuole raccontare il meglio di un paese ed il meglio di un popolo, però vale la pena poter vedere questa raccolta di video che Michelangelo Antonioni ha fatto, andando dall'altra parte del mondo, per poterci mostrare i patrimoni storici, le particolarità dello stile di vita e le eccezionalità di questa nazione.
Occorre uno sguardo interessato e curioso per poter veramente apprezzare questa lunga pellicola documentaria sulla Cina degli inizi degli anni '70. Altrimenti la proverbiale lentezza e prolissità di Antonioni arrivano qui ai loro massimi soporiferi. Eppure un occhio questo interessante documentario lo merita. Se non altro perché si nota benissimo lo sforzo di cogliere l'essenza genuina di un paese, il suo cuore vitale, cioè la vita umana nelle sue forme e nelle sue facce così come sono, senza mediazioni o filtri ideologici. Il documentario diventa così una lunghissima carrellata di immagini di umanità varia ma soprattutto normale, viva, reale. La mdp, quasi sempre in campo medio o lungo, gira, vaga, nei vicoli, nelle piazze, nei mercati, in mezzo ai campi o nelle fabbriche, coglie continuamente brevissimi istanti di un'immensa varietà di esistenze umane (facce, espressioni in continuo scorrere). E' uno dei documentari più "reali" e meno artefatti che abbia mai visto. A tal fine Antonioni conserva integralmente lo scorrere lento e monotono del tempo reale; non addomestica l'immagine all'esigenza cinematografica di sintesi narrativa e di coinvolgimento emotivo; tutto si svolge come realmente avviene. Per questo occorre un approccio consapevole e ragionato a ciò che si vede. Il reale in sé è noioso e non interessante e questo documentario in qualche maniera ce lo ricorda. Antonioni si dimostra il regista dell'incomunicabilità anche in questo documentario sulla Cina. Già subito le prime battute della voce narrante ci avvertono che chi ha girato il documentario non l'ha potuto fare in piena libertà e con facoltà di approfondimento di ogni aspetto. La Cina era (ed è) un paese restio a svelarsi, a farsi conoscere. La mdp non può far altro che mostrare dall'esterno qualcosa che noi spettatori non arriveremo mai a conoscere, che possiamo solo intuire o immaginare. Questo ci fa anche capire che la "non comunicazione" è la regola nei rapporti umani casuali quotidiani. Occorre quindi arrendersi al fatto che non conosceremo mai fino in fondo le culture diverse dalle nostre, né l'animo delle singole persone estranee al nostro mondo. Possiamo solo vederle, assistere da spettatori, e trasformare le immagini in esperienza estetica, in opera d'arte. Antonioni con Cina ha fatto veramente un documentario-arte di tutto rispetto. Solo che rimane comunque una visione decisamente "pesante". P.S. La durata originale (quella del dvd) non è 2h 14m ma più di 3h (207 minuti).
Al di là dei meriti di Antonioni, il solo valore storico di questo documentario è incalcolabile. Prima di parlare della pellicola suppongo sia necessario una succinta prefazione: Nel 1972, al culmine della rivoluzione culturale maoista, dopo 3 giorni di accese discussioni in seno al Partito Comunista, il governo cinese invita il regista emiliano a fare un documentario sulla Nuova Cina. Saranno necessarie 8 settimane di riprese. La moglie di Mao, Jiang Qing, scatenerà una violenta campagna contro il film, accusando Antonioni di crimini controrivoluzionari e anti-cinesi: la critica al film si trasforma immediatamente nell'ennesima occasione perscreditare Zhou Enlai e la sua politica di apertura verso l'Occidente. Nell'ottobre del 1973 la pellicola viene messa al bando in Cina, definita piena di "intenzioni malevole e trucchi ignobili", se ne chiede il blocco anche in Italia. Antonioni viene addirittura apostrofato dagli organi di partito come "un clown anti-Cina". Personalmente non ho affatto rinvenuto durante la visione alcun sentimento anti-cinese o anti-comunista, suppongo che le critiche fossero mosse dal fatto che veniva data, in parte, l'immagine di una Cina arretrata ed agricola, dunque non poi così diversa dall'epoca feudale....ma andiamo con ordine ed entriamo nel merito dell'opera di Antonioni. La struttura del documentario è semplice ma efficace : diviso in 3 pezzi, della durata totale di circa 3 ore e 20, viene analizzata prima la Cina "città" (Pechino), poi la campagna e la montagna (la provincia dell'Hunan, Linzhou, nota per il "Canale Bandiera Rossa" che portò l'acqua in zone "dove sarebbe stato più facile trovare il petrolio" ) per poi alla fine tornare alle grandi città però stavoltà sul mare (Shangai, Nanchino e la suggestiva Suzhou, simile a Venezia). Antonioni, a differenza dei documentari odierni, lascia pochissimo spazio alle parole, ci dice solo quanto strettamente necessario alla comprensione delle immagini, che, nella loro semplicità, dominano totalmente lo schermo, specie (e capita spesso) quando la voce narrante è assente : possono passare addirittura anche 10, 15 minuti fra un commento e l'altro; sembra quasi di guardare un mondo lontano nello spazio e nel tempo da una finestra, da un auto in movimento nel traffico. Non manca di sottolineare, il regista, le limitazioni subìte durante le riprese dagli "accompagnatori cinesi" così come allo stesso modo non manca di sottolineare quali immagini sono state "rubate" in un momento in cui "loro" erano distratti. Sono davvero innumerevoli le immagini che colpiscono ed elencarle tutte sarebbe difficile ma in ognuna è intrisa una profondissima umanità, spesso però anche un forte disagio che lo spettatore non può non percepire e far proprio : l'innocenza ed il candore dei bimbi di un asilo che danzano goffamente e cantano a memoria inni dedicati a Mao, gli sguardi timidi e al contempo gentili in un villaggio sulle montagne in cui non si era mai visto un occidentale, il parto cesareo di una donna anestetizzata tramite agopuntura (il tutto ripreso senza alcun tipo di censura) sono solo alcuni dei momenti più toccanti... Sono decine i paesaggi e migliaia i volti inquadrati dagli obiettivi della troupe italiana; smarriti, incuriositi, divertiti, intimoriti affaticati, sofferenti. Sono loro, i volti dei cinesi, gli unici veri protagonisti, non l'ideologia compulsiva, il regime, ed il suo "grande balzo in avanti" da mettere in vetrina. Un'umanità che prescinde da schieramenti politici e divisioni culturali, talmente variopinta da stordire e affascinare chiunque si sia sentito almeno una volta nella vita viaggiatore e non semplice turista. In chiusura, gli ultimi 20 minuti sono dedicati agli acrobati di un circo, per alleggerire il tutto e mostrare che sanno anche ridere e far ridere i cinesi fra le altre cose... sdrammatizzando il tutto e sottolineando che è per loro, non per il Partito che è stato girato questo documentario. Questo mio scrivere resta (inutile dirlo) tremendamente riduttivo, impossibile compendiare queste particolarissime 3 ore e mezza in poche righe, posso solo invitare i più pazienti e temerari alla visione.