harakiri regia di Masaki Kobayashi Giappone 1962
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harakiri (1962)

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locandina del film HARAKIRI

Titolo Originale: SEPPUKU

RegiaMasaki Kobayashi

InterpretiShima Iwashita, Akira Ishihama, Tatsuya Nakadai

Durata: h 2.15
NazionalitàGiappone 1962
Generedrammatico
Al cinema nel Giugno 1962

•  Altri film di Masaki Kobayashi

Trama del film Harakiri

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Voto Visitatori:   9,05 / 10 (10 voti)9,05Grafico
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Voti e commenti su Harakiri, 10 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR 1819  @  03/07/2022 15:10:24
   9 / 10
Capolavoro giapponese, girato senza troppi fasti, regge tutto una sceneggiatura granitica. Semplicemente da vedere, ottima la regia.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  19/02/2021 00:02:03
   9 / 10
Splendido film di Kobayashi che mette molte ombre su quello che in Giappone è una parola sacra l' "onore".
E la storia è ambientata nel "Medioevo" Giapponese dove i samurai e il loro codice etico avevano una rigidita' impenetrabile. Questo almeno fino alla comparsa di Hanshiro Tsugumo.
Un Ronin deciso a vendicare, a modo suo, la morte del genero avvenuta per un Hrakiri obbligato.
Il film è ricco di dialoghi interessanti ma anche di alcune scene crude.
Regia straordinaria che ulitizza molto il carrello, cosa che non avevo mai visto fino al '62 in un film Orientale.
Un vero gioiello.

1 risposta al commento
Ultima risposta 19/02/2021 01.42.57
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  10/02/2021 21:26:08
   9 / 10
Harakiri smonta fino alle sue basi il mito del samurai e del codice etico. E' tempo di pace, per cui pur fuori dalla crudeltà della guerra, ove comunque vigeva un codice dell'onore, l'avvento di un'era dominata più dalla politica e di conseguenza più ipocrita rispetto alla prcedente, il codice del samurai viene svilito, usato come paravento per non dire quasi farsesco e crudele allo stesso tempo dal sistema stesso. Il ronin non compie altro che far emergere tutte queste contraddizioni. La facciata deve rimanere immacolata, dietro può essere compiuto di tutto. Kobayashi dirige un film cupo, rigoroso nella messa in scena ed attento che l'azione non prenda il sopravvento. Un film solenne che tende a smantellare paradossalmente la solennità di qualcosa considerata sacra. Un gioiello del cinema giapponese.

Invia una mail all'autore del commento luca986  @  28/09/2019 21:44:35
   9 / 10
Eccellente veramente. La trovata che regge il film prima di tutto. Poi ottime interpretazioni, dialoghi raffinati e rivoluzionario nei contenuti: cosa chiedere di più?

Ciaby  @  07/03/2013 15:00:08
   10 / 10
Enorme capolavoro. Un film avvincente e toccante che calibra perfettamente la narrazione, immergendosi in un'atmosfera quasi-thriller. Epico il gran finale, con una mezz'ora che mozza il fiato.
Straordinario e incancellabile.

Crimson  @  12/02/2013 12:36:55
   10 / 10
Si potrebbe obiettare sulla natura di jidai-geki di questo film. In un momento storico e cinematografico ben preciso in cui più che altro è Hideo Gosha a ridefinire quel particolare genere storico, Masaki Kobayashi realizza un film ambientato nel diciassettesimo secolo... ma il primo duello avviene a venti minuti dalla fine. Piuttosto i caratteri ricordano quelli del Giappone dei primi anni '60. Ronin (samurai senza padrone) costretti alla fame in un periodo storico di pace apparente, in cui chi detiene il potere esercita rigidamente compromessi di natura economica e "politica" per continuare a detenere il potere. Strenua difesa della facciata. Non è esattamente ciò che accade nel Giappone post-atomico? Quello delle due ratifiche del Trattato di sicurezza con gli Stati Uniti? Che strizza l'occhio allo stesso sistema capitalistico che l'ha messo in ginocchio con l'atomica? Lo smarrimento della tradizione "in quanto tale" è ovvia. Mentre Oshima e Shinoda raccontano la modernità con un linguaggio nuovo e al passo con la rivoluzione cinematografica francese di quegli anni, Kobayashi con questo film utilizza una metafora straordinaria riuscendo nell'intento di far corrispondere una ripetizione nella Storia. L'attacco è il medesimo dei colleghi, ossia la denuncia di un "Giappone che non impara dai propri errori storici", ma camuffato. E non per questo meno potente, anzi. Il ronin di Kobayashi si batte per difendere la verità, la giustizia, e ciononostante è coerente col suo proposito che è sì di vendetta, ma pronto all'atto conclusivo - l'harakiri, con la determinazione lucida di chi non si piega alla "legge" vigente, non scritta ma radicata nella consuetudine. Non c'è contraddizione dunque nell'attacco feroce all' "onore come facciata" e la difesa del "proprio onore in quanto samurai". Del resto, solo contro un centinaio di guardie, non c'è mezzo più nobile di soccombere. E lo sberleffo avviene sotto gli occhi di tutti scagliando a terra il simbolo del potere (l'armatura del Signore). Il diario del clan Iyi continua a mentire, sotterra la verità, ma il Cinema l'ha rivelata. La camera al termine del massacro finale si sofferma su ogni ambiente in cui è avvenuto lo spargimento di sangue, quasi a rimarcare con fermezza ciò che è avvenuto, e che nonostante il pessimismo che prevale, rimane negli occhi dello spettatore. Tecnicamente il film è ineccepibile. Lo zoom spezza tenacemente l'alternanza di campi e controcampi durante i racconti, conferendo maggior forza a parole decisive o a improvvisi colpi di scena. La fotografia è meravigliosa e la staticità delle sequenze dialogiche crea un'aria sospesa, di riflessione. Il film nella sua semplice messa in scena (pochi ambienti, scarsa azione - anticipa quel capolavoro di tecnica e dinamismo nascosto del terzo episodio del successivo Kwaidan) vive della forza del racconto in flashback utile a ricostruire una storia che si disvela di pari passo con la verità. Un valore che si nutre della sofferenza e dell'interrogativo: perchè non accettare la richiesta di un ronin di prorogare il rituale? Smascherata la strategia irreprensibile del clan, il film lievita definitivamente verso una dimensione filosofica di grande intensità e modernità. I colpi di scena si susseguono con caparbietà. Splendido il momento culminante in cui il ronin mostra i codini dei tre samurai sconfitti, dissacrando definitivamente il valore dell'onore dinanzi al volto della giustizia. E' un film in cui tra i grandi valori viene mostrata anche l'ambivalenza della vergogna e recuperato quello della dignità. La storia di un padre che per salvare la famiglia si piega a chiedere l'elemosina e a suicidarsi con una spada di bambù vale molto di più di qualsiasi forma di difesa irriducibile della convenzione.
Tatsuya Nakadai è straordinario. Per fortuna il film non è mai stato doppiato e grazie alla RaroVideo possiamo recuperare l'audio originale e assistere incantati a questo capolavoro assoluto del cinema, un film per me indispensabile, di una longevità impressionante, che non mi stanco mai di valorizzare.

2 risposte al commento
Ultima risposta 12/02/2013 23.27.05
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deadkennedys  @  18/03/2012 11:29:51
   9½ / 10
Semplicemente geniale. La prima parte un po' lenta ma progressivamente lo spettatore inizia a mettere assieme i vari tasselli di una trama che diviene sempre più trascinante. Ultima mezz'ora che lascia semplicemente col fiato sospeso fino al roboante finale.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Tumassa84  @  20/02/2011 08:14:53
   8½ / 10
Bellissimo film questo di Kobayashi, che in una pellicola asciutta e dal gelido bianco e nero mette alla berlina e ridicolizza il codice di valori dell'antico Giappone e il genere jidaigeki. In particolare, ad essere palesemente smitizzato è il rituale del seppuku, che viene subito presentato come un pretesto utilizzato da vari samurai che in realtà vogliono solo estorcere del denaro. Il giovane Motome Chijiwa, però, sceglie una casa che tiene molto all'onore e alla rispettabilità, e così finisce per essere costretto a fare seppuku per davvero. La scena del suo suicidio è emblematica: al posto della ritualità e della solennità del rituale vi è tutta la paura e la pateticità di Motome, che incapace di tagliarsi il ventre si morde la lingua per porre fine alle proprie sofferenze. Sulle sue tracce giunge al casato Hanshiro Tsugumo, il padre della moglie di Motome ed ex-samurai, divenuto ronin dopo che il suo daimyo era stato mandato in esilio per un decreto dello shogun. Anche lui dice di voler fare seppuku, ma in realtà il suo scopo è vendicarsi ridicolizzando il casato e dimostrando al signorotto quanto vuoti siano i suoi ideali. Hanshiro, difatti, è l'unico personaggio che si può definire "valoroso", ma al contempo è anche l'unico che si rende conto della vacuità del bushido, da lui definito un orpello vuoto e inutile. Il codice d'onore del guerriero diventa quindi qualcosa di sola forma e niente sostanza, un semplice mezzuccio per apparire onorevoli quando in realtà si è vili e inetti. I tre samurai che più degli altri avevano ridicolizzato Motome per la sua viltà, in realtà poi si scoprono deboli in combattimento; al punto tale che uno di loro viene definito da Hanshiro come uno che "ha imparato a nuotare sulla terraferma", volendo dire con ciò che è uno che si vorrebbe definire guerriero quando in realtà non ha mai fatto alcuna battaglia. La loro viltà è inequivocabile quando alla fine si scopre che i tre, a cui era stato tagliato il codino da Hanshiro, onta gravissima per un samurai, si erano finti malati per non farsi vedere (anche perchè avrebbero dovuto fare seppuku per l'umiliazione subita). Emblematico è anche il comportamento del signore della casa, la cui unica preoccupazione è quella di risolvere la situazione senza che si venga a sapere dell'umiliazione subita al di fuori delle mura. E infatti, alla fine, ci viene fatto sapere che egli riuscirà nel suo scopo e la sua famiglia godrà negli anni a venire di gloria e reputazione sempre crescenti, ma lo spettatore ormai sa quanto queste siano vuote e prive di significato. Vuote come il fantoccio, venerato come un oggetto sacro, che sta a rappresentare gli antenati e quindi gli antichi valori, contro cui Hanshiro si scaglia nel momento della sua morte (provocata significativamente da degli archibugi, contravvenendo così al bushido). La critica di Kobayashi, comunque, non per forza è limitata ai valori del passato, ma si può benissimo applicare anche al Giappone moderno, perchè la tendenza a voler "salvare la faccia" e a dare più importanza alle apparenze e alla rispettabilità che alla sostanza è comunque rimasta in vari aspetti della società. In definitiva, "Seppuku" è un film a mio avviso assolutamente da vedere, sia per la sua importanza nella storia del cinema giapponese, sia per il suo indiscutibile valore oggettivo.

Tom24  @  10/11/2007 23:49:30
   8½ / 10
"Seppuku" si presenta come un lavoro fondamentale nel panorama giapponese degli anni passati, sopratutto nell'ambito del giappone fudale. Un grande maestro quale Kobayashi riesce alla perfezione nell'intento di mettere in discussione i valori samurai, porre in forte contrasto i sentiementi dipietà e giustizia inquadrando la figura del ronin, servendosi di una forte vena di drammaticità. Magistrale la regia, i giochi di sguardi e i silenzi ben calibrati, come d'altronde lo splendido uso dello spazio ed i dialoghi, sempre taglienti ma per nulla banali. Un appunto speciale va sicuramente a Nakadai, uno fra i miei attori preferiti, secondo solo a Mifune in Giappone. Peccato che sia un film così poco conosciuto ( e non solo questo), troppo difficile da reperire qua in Italia, anche se in tutto il mondo è riconosciuto come pilastro del cinema mondiale.

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Ultima risposta 25/11/2007 21.05.25
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Dick  @  11/08/2007 18:48:12
   8 / 10
Un bel film contro le vessazioni e le ingiustizie sociali di una certa tradizione girato quasi tutto in interni con inquadrature fisse anche se c' è la sfida del duello all' aperto proprio bella per l' ambientazione e non mancano comunque impennate di movimento.

4 risposte al commento
Ultima risposta 15/11/2009 06.39.38
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