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La storia mi ha coinvolto meno di quanto mi aspettassi ma il talento di Bava nel ricreare atmosfere e nella ricercatezza delle inquadrature è cristallino e indubbio. Non indimenticabili neanche gli attori.
"La ragazza che sapeva troppo" è un giallo di stampo molto classico a cui viene riconosciuto il valore di essere stato il capostipite dei gialli italiani, sicuramente è stato un tentativo coraggioso e ha il suo indubbio valore storico, tuttavia personalmente lo trovo ancora troppo legato agli schemi del giallo classico che nei paesi anglofoni era fiorito da diversi anni. Il tributo ad Hitchcock è palese fin dal titolo, gli elementi da cui prende spunto sono numerosi, a partire dalla scelta della ragazza, intesa come persona comune, al di fuori del contesto che si ritroverà casualmente coinvolta in una vicenda più grande di lei, ed arrivando all'undestatement tipico dell'umorismo inglese, che Hitchcock in particolare, ma in realtà anche altri suoi colleghi, si trascinava nelle vicende a tinte gialle o spionistiche.
La narrazione mi sembra funzionare bene nella sua relativa semplicità, anch'essa non originalissima e discretamente prevedibile in alcuni passaggi, tuttavia penso sia stata ben adattata allo scopo finale del film, ovvero quello di una crescente tensione e quello spiraglio di curiosità che regalano i dettagli.
Probabilmente il punto forte dell'opera però è la messa in scena, Bava non aveva ancora incominciato del tutto ad arzigogolare la fotografia dei suoi film con i suoi amati colori pop, qui piuttosto esalta un bianco e nero molto sobrio ed elegante, contrastato negli interni e luminoso nella diurna e splendida Roma, che fa da sfondo alla vicenda donando quel fascino vintage alla pellicola. In alcune parti centrali forse anche un po' palesemente Bava si concentra più nel mostrare la città in sé che nella risoluzione del caso, creando qualche tempo morto di troppo. Detto questo, penso che Leticia Roman se la sia cavata benissimo in questa pellicola e mi accodo ai pareri che sostengono sia stata una delle migliori attrici che Bava ha avuto a disposizione.
In definitiva, lo trovo un buon giallo, ma ancora troppo ancorato ai classiconi esteri
Dobbiamo aspettare ancora qualche anno prima che i vari Fulci, Argento, Lenzi, Ercoli etc... invadano le sale con film di genere thriller che ci regaleranno tanti piacevoli incubi; intanto però quel geniaccio di Mario Bava (insieme al suo produttore di fiducia Alfredo Leone) ci da un assaggio di quello che verrà con questo che è considerato il primo vero thriller italiano. L'originalità stà nell'ambientare nella solare Roma una storia torbida e nera, fatta di sanguinosi delitti e di follia ma allo stesso tempo il regista ligure strizza un occhio al pubblico inserendo qualche elemento da commedia sia per alleggerire la tensione che per ricordare che comunque siamo pur sempre nel contesto del cinema italico. Bava, come poi confermerà con i suoi lavori successivi, fà già capire di essere un maestro nello sfruttare gli spazi claustrofobici di un appartamento, dove il pericolo può sbucare fuori da qualsiasi angolo ed in più il suo uso del bianco e nero unito alle ombre ricorda l'espressionismo tedesco. La sceneggiatura, senza mai un momento di calo, ha un intreccio ed un risvolto finale che ancora oggi è da considerarsi tutt'altro che ingenua o ancora grezza e la voce fuori campo accentua ancora di più la sensazione di stare ad assistere alla trasposizione di un romanzo giallo. Insomma un film che è storia. Ogni volta che passo a Roma e capito a Trinità dei monti, mi soffermo sempre davanti alla quella porta con cancelletto sulla destra salendo.
Notevole, questo primissimo giallo all' italiana, dove la tensione è assoluta protagonista fin dalle prime inquadrature. Il finale mi è parso deludente sotto qualche aspetto, ma non scalfisce minimamente il giudizio di una pregevole pellicola, che se prodotta sul suolo americano, sarebbe sicuramente conosciuta maggiormente.
Una ragazza americana in visita di piacere in Italia si mette ad indagare su alcuni omicidi in cui è rimasta implicata senza volerlo e riesce a scoprirne l'autore. Se siete appassionati di gialli all'italiana vi sarete imbattuti prima o poi in quei film in cui l'assassino compie una serie di delitti per mascherarne uno solo (quello vero, motivato) che di solito è il terzo o quarto ("Giornata nera per l'ariete", "Una farfalla con le ali insanguinate", "Solamente nero", "Sette orchidee macchiate di rosso" etc.) oppure in cui il killer approfitta di una serie di omicidi per incastrare il suo e far ricadere la colpa sul serial killer (per es. "Lo strano vizio della signora Wardh")...bene, questo è il capostipite, in ordine temporale li sdogana tutti. Ma a sua volta questo modus operandi del film di Bava prende spunto dal famoso romanzo di Agatha Christie "La serie infernale" (The ABC Murders) del 1936, con tanto di iniziali dell'alfabeto, da cui sarà tratto poi l'omonimo film con John Malkovich (nelle vesti di Hercule Poirot). Questa doverosa premessa andava fatta, perchè, a dispetto del titolo, che sembra apparentemente avvicinarlo molto al film di Hitchcock quasi omonimo ("L'uomo che sapeva troppo"), del 1956, il film di Mario Bava ha uno sviluppo completamente diverso e prende da subito la strada del romanzo che ha per protagonista il più celebre investigatore belga dei romanzi gialli. Nora Davis arriva a Roma da New York e inizia subito ad avere una giornata davvero brutta. Il tizio che l'ha approcciata sull'aereo offrendole una sigaretta stava contrabbandando droga, la zia che avrebbe dovuto ospitarla muore di infarto quella notte e poco dopo viene aggredita a Piazza di Spagna. Non solo, ma mentre vacilla con la testa dolorante dopo essere stata scippata, pensa di vedere una donna che viene pugnalata alla schiena da un tizio! L'unica cosa buona che è successa è stata che ha incontrato Marcello Bassi, un giovane e muscoloso dottore interpretato da John Saxon. Saxon fa tutto il possibile per aiutare Nora ad arrivare in fondo al mistero (non ci sono corpi e nessuno le crede) ma penso che Marcello stesse solo cercando di entrare nelle sue mutande. Nora si trasferisce in un appartamento vicino a Piazza di Spagna a casa di Laura Craven-Torrani e Bava ci fa capire subito che questa è una brutta mossa facendo scorrere la telecamera verso una misteriosa porta chiusa prima che Nora se ne accorga, poi un'immagine incorniciata dell'uomo che Nora pensava di aver notato durante l'omicidio. Wow! Bava lo fa molto durante questo film, e ad essere onesti è per questo che sono un tale fan del suo lavoro. Ogni parte di questo film è ben costruita, dalla scena in cui Nora è attratta da un appartamento dove le lampadine nude ondeggiano al vento di una finestra aperta mentre una voce invisibile parla e schernisce Nora, all'uso delle ombre anche nelle scene più di routine (come alla tipografia, dove una semplice sequenza di 'tracciamento' di uno dei personaggi, l'ex cronista Landini, diventa una bella rappresentazione di ombre su tessuto). L'unica cosa che non funziona è parte della commedia, anche se è divertente che Saxon si ritrovi con vari infortuni (come l'indice fratturato) mentre il film va avanti. La mia scena preferita è quando Nora fa visita a qualcun altro che indaga sugli omicidi (Andrea Landini), e dall'esterno dell'appartamento sente il martellare di una macchina da scrivere. Dopo aver tentato di convincere la persona ad aprire la porta, la trova aperta e la telecamera fa una panoramica della stanza...su una macchina da scrivere in disuso...poi su un registratore che riproduce il suono di qualcuno che sta digitando. Mi piace quando Bava lo fa e lo porta all'estremo nei film successivi. Questo vecchio giallo (storicamente significativo perché è uno dei primi gialli) non ebbe molto successo e bisognerà aspettare fino al successo internazionale de "L'uccello dalle piume di cristallo" di Dario Argento per lanciare il genere in overdrive. Va notato infine che in questo lavoro Bava usa il contrasto tra accenni chiari e scuri con la stessa consapevolezza con cui Michelangelo Merisi da Caravaggio ha vissuto la pittura, quella di un visionario, che con la sua interpretazione della tecnica del chiaroscuro e dei suoi sapienti giochi di luce, ha anticipato l'uso della luce usata oggi per gli effetti speciali nelle produzioni fotografiche e cinematografiche. I due elementi della pittura di Caravaggio sono la luce e il buio. Il contrasto tra luce e oscurità non crea dissonanza, piuttosto i due elementi opposti si complementano, mettendo in evidenza un fatto importante: la luce diventa protagonista del messaggio del pittore. Lo sfondo non esiste più. Ci troviamo davanti a un chiaroscuro enigmatico e inquietante che sollecita l'anima. E Mario Bava sembra averlo assimilato davvero bene e ci vuole riportare indietro nel tempo di 400 anni fino al XVI secolo, in quelle stesse vie di Roma.
Così come nella "serie infernale" di Agatha Christie, il vero delitto è quello che corrisponde al cognome che inizia con la lettera C (Emily Craven). Non ci voleva molto ad arrivarci in fondo...soltanto 2 lettere, A (Gina Albert) e B (Maria Beccati), tutte ragazze giovani. Questa è stata l'intuizione dell'assassino. Un modus operandi che permettesse di 'arrivare' in fretta alla vittima predestinata, con una telefonata anonima che preannunciasse tutti i delitti e che creasse un po' di atmosfera (e che alla quale nessuno avrebbe creduto, a parte i giornali in cerca di clamore mediatico). Dopo di che chiusa la questione, dato che era la C che interessava, perchè correre ulteriori rischi? Nel racconto di Agatha Christie ci sarà un ultimo omicidio, con la D, per depistare ulteriormente le indagini, ma proprio perchè la D non interessava più ormai, il killer trascurerà alcuni particolari che poi però lo inchioderanno. Qui invece la C chiude il cerchio, ma il caso vuole che Nora faccia D di cognome (quante coincidenze eh?), per cui l'assassino sfrutta il suo cognome per eliminare un testimone scomodo e far ricominciare la serie dei delitti dell'alfabeto (dopo 10 anni dal delitto di Emily). Fortunatamente però non ci riuscirà. La donna con la lettera C era una ricca e cinica ereditiera americana, e sua sorella Laura, coperta dal marito (famoso e rinomato psichiatra italiano che lavorava a Berna), l'aveva uccisa per i soldi, perchè Emily voleva farla passare per pazza così da rimanere quindi unica beneficiaria del ricco patrimonio paterno. All'epoca fu trovato un capro espiatorio, un vagabondo psicopatico chiamato 'Straccianeve', e gli furono addossati i tre delitti, grazie anche agli articoli del giornalista Andrea Landini, in cerca di fama. Durante il processo però 'Straccianeve' urlò ripetutamente e disperatamente la sua innocenza alla corte, ma nonostante questo fu ugualmente internato in un manicomio criminale e morirà 6 anni dopo di trombosi alle coronarie. Landini non si diede pace e per 10 anni cercò di arrivare alla verità, perdendo anche il lavoro, inghiottito dal rimorso per aver mandato alla forca un innocente. Per questo motivo incontrò Nora a Piazza di Spagna la notte in cui lei assistì al delitto (di sua figlia, Maria, pugnalata alle spalle dal professor Torrani, marito di Laura), lo stesso posto dove morì Emily, davanti alla casa della sorella. Landini sperava sempre di trovare lì qualche indizio per risolvere il caso del killer dell'alfabeto. Lo aiuterà un breve colloquio con la proprietaria della lavanderia del Foro Italico dove aveva lavorato per breve tempo Maria, la figlia di 'Straccianeve', prima di arricchirsi (grazie al ricatto reiterato verso i coniugi Torrani). Landini e Nora trovarono alquanto strano questo improvviso cambio di situazione economica da parte di Maria, e così Landini arriva a scoprire tutto, ma prima di comunicarlo a Nora viene ucciso da Torrani (che lo fa passare per un suicidio, grazie a un foglio scritto con la sua macchina da scrivere, dove afferma di non poter più vivere con quel rimorso). La notte a Trinità dei Monti quindi Nora vede veramente Maria pugnalata alle spalle dal prof. Torrani, e non il vecchio omicidio di Emily di 10 anni prima (cosa che sarebbe stata difficilmente spiegabile anche con la metapsichica). E Landini cercò effettivamente di trarre in salvo Nora prima dell'arrivo dell'agente. Per questo motivo poi la seguirà e cercherà di proseguire con lei le indagini, riaprendo il caso Emily Craven dopo ben 10 anni. Ma Maria fu trovata annegata nel Tevere solo alcuni giorni prima che Nora ripartisse per New York, questo generò l'equivoco della mancanza del cadavere della donna. E dal momento che ci fu la foto sul giornale, non si poteva nemmeno più parlare di suggestione da letture poliziesche (Nora era appassionata di Edgar Wallace, Mickey Spillane e Agatha Christie) o manie visionarie, e nemmeno di sigarette alla marijuana, come quella fumata in aereo poco prima di arrivare a Fiumicino, anche se Mario Bava cerca abilmente di instillare fino alla fine il dubbio nella testa dello spettatore che tutto ciò fosse stato solo un sogno di Nora.
Grandi tocchi di regia di Bava per un film godibile, ma non eccezionale secondo me. La trama qua e la se ne va a spasso e a tratti ci si annoia. Qualche tocco ironico come quello sulle sigarette e due, tre momenti di tensione. Ben sfruttata Roma.
Parte della critica è solita attribuire a "La ragazza che sapeva troppo" il ruolo di iniziatore del filone dei gialli all'italiana ma io non sono pienamente d'accordo con questa tesi. Se è vero che in esso ci sono molti degli elementi che si troveranno nei gialli di molti autori a seguire, è anche vero che questo film ricalca i modelli americani ( Hitchcock omaggiato fin dal titolo ) ambientando però la vicenda a Roma. In ogni caso queste sono sottigliezze: ciò che conta è la bontà dell'opera, un film eccellente. Non tanto per la sceneggiatura, non priva di pecche, e nemmeno per la pur buona recitazione ( a me Leticia Romàn, da più parti criticata, è piaciuta ) quanto per la regia e la fotografia, entrambe di Bava, a cui quindi è giusto assegnare la quasi totalità del merito della riuscita della pellicola. La fotografia, in particolare, in bianco e nero ma soprattutto nero. Argento pescherà a piene mani da Bava: se nel successivo "Sei donne per l'assassino" saranno i colori ad influenzare Argento per "Profondo rosso", "Suspiria" o "Inferno", qua sono certe situazioni narrative a venire prese a modello: il rapporto moglie marito ( "L'uccello dalle piume di cristallo", "Quattro mosche di velluto grigio" ), il particolare che non si ricorda ( di nuovo "L'uccello dalle piume di cristallo" o anche "Profondo rosso" ), l'insanità mentale celata da un'apparente normalità, il protagonista che indaga parallelamente alla polizia... La tensione è anche maggiore rispetto al film successivo di Bava, aumenta man mano che il film prosegue e non mancano momenti di sana paura, pur non essendoci scene eccessivamente violente. Un film spettacolare, seppur datato; gli anni comunque non ne hanno scalfito la bellezza.
Uno dei primi esempi di giallo all'italiana . filone che poi portò Argento a passare all 'horror puro decretandone un mutamento generale. Bava qui registicamente è perfetto , e gira un semi film giallo , quasi un markettone alla città di Roma , la vera essenza del boom italiano di quel periodo , dove i registi americani facevano a bott per girarci le meglio sequenze . Ma oltre a questo abbiamo un livello di tensione che si riesce a percepire , merito anche dell'atmosfera ,delle interpretazioni del cast , tra cui la giovane americana protagonista che mi piaciuta moltissimo . La sceneggiatura molto **** per il periodo è un tantino forzata , ma il finale riesce a smorzarla rivolgendoci a noi spettatori qualche dubbio su ciò che abbiamo appena visto . Quello ch va considerato che in un ora e mezza non porta mai a punti morti o momenti inutili , e si riesce ancora oggi a guardare che è una meraviglia. Un film assolutamente da vedere per chi adora i film alla Hitchcook.
Per certi versi il più Hitchcockiano dei film di Bava, a partire dal titolo. Peccato per il tono troppo leggero e per la voce fuori campo, che ho trovato fastidiosa e fuori luogo. Eccellente regia con una stilizzatissima e raffinata fotografia in B/N che è il pregio maggiore del film.
Buon giallo di Mario Bava che dà un contributo non indifferente all'ascesa di un genere che, perfezionato da gente come Argento, Fulci ed altri, darà gloria al cinema italiano. Il cineasta italiano, che nel titolo omaggia in maniera palese il grande Hitchcock, abbandona momentaneamente i colori sgargianti per regalarci una Roma in bianco e nero che fa da sfondo ad un noir elegante, non esente da difetti (alcuni punti della sceneggiatura sono un po' deboli e non sempre i colpi di scena sono così riusciti) ma che riesce ad essere sempre teso pur non disdegnando qualche momento di leggerezza quasi comica. Bava ha anche la fortuna/merito di incappare qui in una Letícia Román che oltre ad essere bellissima è decisamente più brava della maggior parte degli attori con cui il regista si è ritrovato a lavorare in carriera.
E' il primo giallo italiano, e il suo valore storico è indiscutibile. La tecnica di Bava è stupenda con i suoi zoom e movimenti di macchina e, con Hitchcock come inevitabile influenza, costruisce una suspense tesa e avvincente con un finale assolutamente sorprendente. E' simpatica l'ironia nell'ultima scena che riprende la parte iniziale con quelle sigarette "elaborate". Bava si supererà con "Sei donne per l'assassino", dove più marcata è la componente thrilling con maggiori innesti di violenza, tanto da rappresentare gli albori dello slasher.
Ottimo questo film di M.Bava. Imperdibile per gli estimatori del genere giallo/thriller all'italiana, anche perché è il primo film Giallo all'italiana. Girato in una Roma bella e spettrale allo stesso tempo, anche grazie alla splendida fotografia. In questo film Bava cita Hitchcock, ma lo fa a modo suo e questo giova non poco alla pellicola. Finale col botto per un film uscito nel '63.
Il film che ha inventato un genere: il giallo all'italiana (fonte wikipedia) !!! Regia, fotografia sono il pezzo forte del film...alcune sequenze sono delle vere opere d'arte; inseme agli attori che sono bravi ed espressivi fanno sì che si crei momenti di suspance memorabili. Un gioiello del giallo che i cinefili più incalliti non potranno non apprezzare...
Cinquant'anni e passa e questo film è ancora cosi fantastico. Un vero e proprio giallo all'italiana, uno dei primi a fare da apripista a quello che è stato il genere più riuscito al cinema italiano negli anni a venire. La trama è molto classica, un omicidio nei minuti iniziali e le indagini del protagonista che iniziano parallele a quelle della polizia. Lo svolgimento è bellissimo e molto coinvolgente, qualche buono spavento e molti momenti di tensione ci portano fino alla conclusione dove assistiamo al colpo di scena tipico del genere. Davvero molto bello, tra i migliori del maestro Bava che preferisco in questi film che non sull'horror puro. Davvero da non perdere se appassionati di veri film gialli all'italiana.
Il papà di tutti i gialli all'italiana non poteva che portare la firma del maestro Mario Bava. Nel lontano 1962 infatti il regista getta le basi per questo genere che negli anni avvenire acquisterà fama e popolarità sfruttando proprio alcune caratteristiche che vennero usate per la prima volta in questo film. Oltre ai doverosi meriti storici,La ragazza che sapeva troppo rimane ancora oggi un buon giallo,forse invecchiato per alcune cose ma comunque abbastanza attuale nello svolgimento e nelle dinamiche. La storia è di quanto più classico ci sia,forse al giorno d'oggi può risultare un po banale,ma siccome l'intreccio è ben elaborato si lascia seguire fino alla fine. Il cast regge bene ed anche le fasi concitate sono di livello. Inoltre è lampante come molti elementi di questo film siano stati ripresi pari pari da Argento per il suo "L'uccello dalle piume di cristallo". Quindi in definitiva anche se La ragazza che... non è certamente il lavoro invecchiato meglio di Bava,rimane comunque una buona pellicola da vedere anche per l'importanza che ha avuto per il cinema italiano.
Buon giallo firmato Bava anche se invecchiato non troppo bene dato che le scene di tensione viste oggi sembrano quasi comiche. Bella la fotografia e appropriato l'utilizzo del b/n, se c'è un'altra cosa che mi ha dato fastidio è la canzone di Celentano nei titoli di testa e a metà film decisamente poco orecchiabile. Brava e bona la protagonista; per Bava puro esercizio di stile.
E qui Bava fa da apripista al giallo all'italiana, dalla quale attingerà Argento nella trilogia degli animali, il titolo è un inequivocabile riferimento alle 2 opere del maestro Hitchcock dalla quale Bava trae il gusto per l'ironia, e l'ultima sequenza delle sigarette ne è un po il manifesto di questo linguaggio più leggero. Dalla regia e dalla fotografia - ottimo in questo senso il ritorno al b/n- arrivano i maggiori meriti, la sceneggiatura barcolla un po bizzarra nel suo incedere contradditorio, enfatico l'ambientazione tra le scale e i palazzi di Roma che non ha nulla da invidiare alla suggestiva Londra gotica che il genere ci ha fatto conoscere.
Di spessore la presenza della Cortese che nell'outout finale ci regala un assolo mefistofelico mangiandosi letteralmente la Roman, poca roba anche Saxon che in futuro si creerà una discreta carriera.
Qualche incongruenza di troppo, cosa insita nel thriller italico, di cui questo film pare essere il precursore, anche se tutto sommato si lascia vedere. Anche se qualcosina in più era auspicabile...
Grande film di Bava considerato il primo giallo italiano. Non è perfetto ma tutto funziona bene e risulta ampiamente godibile. Film che ha fatto da apripista a certo cinema e che dopo tanti anni mantiene il suo fascino. Un altro, ennesimo, applauso a Mario Bava.
Film avvincente con molte scene degne d'essere ricordate (l'aeroporto, il primo omicidio, il bacio di Saxon sulla spiaggia). Puro e piacevole antiquariato la voce fuori campo (mi ha ricordato la voce dei dischi di fiabe degli anni '60\70) e la recitazione un po' teatrale di alcuni personaggi (ovviamente 1.000 volte meglio della non recitazione di molti film italiani d'ultima generazione).
Considerato uno dei primi,se non il primo, film "giallo" Italiano e non poteva che essere Mario Bava a portare questo genere nel nostro Paese! Il titolo rende omaggio al famoso film di Hitchcock (che pero' in originale s'intitola "vertigo") ma la storia è ben diversa... Girato in maniera divina con un ottimo bianco e nero che sembra illuminare le notti romane! Lo stesso Argento imparera' molto da pellicole come questa...
Un buon giallo di Bava, con tanti elementi thriller. Sembra un pò una fusione fra Hitchcock e l'Argento dei primi tempi, quello di "Il gatto a nove code" e "L'uccello dalle piume di cristallo". Oltretutto fu un'idea dei distributori, mi sembra, quello di chiamarlo "La ragazza che sapeva troppo" (a ricordare il film di Hitchcock "L'uomo che sapeva troppo"), per volgari ragioni di incassi. Tiene incollati (almeno io lo sono stato) allo schermo per la sua ora e mezza circa di durata. Bava è il mio secondo regista thriller preferito dopo Hitchcock, e il primo fra i registi horror.
Buonissimo film di Bava, da molti considerato precursore del giallo in italia. La pellicola vanta un pregevolissimo lato tecnico che compensa la noia che si avverte in alcuni punti. Bravissima leticia roman oltre che bellissima
Gran bel film di Bava, precursore del giallo all'italiana. Regia e fotografia, non servirebbe dirlo, sono superiori alla media del genere. Argento ha preso molto da questo film
Bava sempre un precursore,lo dimostra anche in questo giallo leggero che racchiude tutte le caratteristiche che veranno riprese da tantissimi altri,Argento compreso (almeno inizialmente): atmosfere tese,momenti di leggerezza e ilarità,una Roma notturna che in bianco e nero è particolarmente efficace,colpi di scena (qui abbastanza prevedibili) che possono essere tranquillamente esagerati,presenza del paranormale. Registicamente diretto benissimo,ennesimo capostipite per il regista di un genere che ha avuto le sue fortune. Il rimando a Hitchcock nel titolo è molto simpatico e del maestro inglese Bava riprende il gusto della suspance e dell'ironia. Godibile.
Bel giallo ricco di atmosfera inquietante e suspence pura, arricchita dalla bella fotografia in bianco e nero. Mi è piaciuta anche la trama caratterizzata da una falsa prevedibilità ed invece in grado di proporre molti colpi di scena. Una chicca per gli estimatori del genere e di Mario Bava.
"La ragazza che sapeva troppo",ambientato in una Roma splendidamente fotografata, è un mirabile esempio di thriller con sani richiami al cinema di Hitchcock (omaggiato sin dal titolo) e al noir. Racconta di una giovane turista americana che sbarcata nella capitale per far visita ad un'anziana parente, si troverà invischiata in un diabolico ingranaggio ordito da misteriosi personaggi. La costruzione in verità non è proprio perfetta,molte situazioni sono collegate tra loro in maniera un po' irrazionale e francamente il movente dell'assassino è a sua volta poco intrigante.Bava però gira che è un piacere,le sue inquadrature mai banali sono dimostrazione lampante delle grandi capacità dell'autore,eccellente nel generare e gestire la tensione in più occasioni senza mai far scadere nel ridicolo uno script che avrebbe avuto bisogno di qualche aggiustatina. Curioso che una sequenza sia stata ripresa l'anno dopo,rielaborata,dilatata e quindi presentata nel primo episodio de "I tre volti della paura". Sicuramente è un film importante,da molti considerato il capostipite del giallo all'italiana da cui hanno poi attinto a piene mani molti registi tra cui Dario Argento.Bava è abile ad inserire nel contesto più inquietante qualche risvolto romantico e soprattutto alcune sequenze venate da uno humor sufficientemente apprezzabile. Un film poggiante su equilibri precari che solo la maestria di Bava riesce a mantenere inalterati,la fusione di vari generi è infatti ben studiata,fattore che rende molto piacevole la visione.
Con "La Ragazza che Sapeva Troppo" inizia il fortunato filone del Giallo, thriller all' italiana col quale purtroppo Mario Bava, pur essendone l' effettivo creatore, è stato il regista che ha riscosso meno successo. Poteva intitolarsi "la ragazza che vide troppo", il riferimento hitchcockiano è un puro omaggio del regista ligure al regista americano. Inglese cioè. Non è una spy-story bensì un' occasione di ricreare le atmosfere noir anni '40, con tanto di off-voice nello script. Esemplare fotografia, tra carrellate di Hitch ("Rebecca"), panoramiche strette alla Welles ("Rapporto Confidenziale" su tutti) e una riproposta antologica di canzoni popolari di allora - in perfetto stile commedia all' italiana -, questa pellicola spicca anche per una buona dose di humor che forse lo esula un pochettino dal restante panorama di film di genere. Unico difetto la sequenza del "filo di arianna", troppo lunga e assolutamente ininfluente considerando il fatto che è stata creata per divertire e non diverte.
Straordinario giallo di Mario Bava che, con notevole anticipo sui tempi, stabilisce le regole fondamentali del genere. La fotografia è ottima nonostante l'età del film. Gli attori sono calati a dovere nelle proprie parti. L'inquietudine regna sovrana anche se allentata da alcuni divertenti intermezzi comici. Onestamente Dario Argento ha copiato molto di questo film per il suo "l'uccello dalle piume di cristallo"
Fenomenale giallo di Bava senior, anticipante il primo Argento (il particolare che non torna bene alla mente, l'orrore nella quotidianeità, ecc.).
Bava, un maestro con la mdp, qui cura anche la fotografia, con risultati sempre strepitosi; molta dell'atmosfera del film del resto è data da questo ottimo bianco e nero.
Qualche brivido, qualche derivatività Hitchockiana (già dal titolo...), qualche momento comico più o meno riuscito comunque imposto a Bava da esigenze americane, molta originalità (geniale la presa in prestito da Agatha Christie relativa agli assassinii basati sulle lettere dell'alfabeto).
Ottimi i 2 protagonisti John Saxon e Valentina Cortese.
Tra le vette più alte del cinema di Mario Bava, da non perdere.
"La ragazza che sapeva troppo" è un film degli anni '60, ma visto oggi devo ammettere che non soffre minimamente di vecchiaia! Alcune sequenze sono molto inquietanti, senza dimenticare il fatto che mantiene una certa eleganza dall'inizio alla fine. Due particolari sono stati poi ripresi da Dario Argento nei suoi migliori thriller (vedi spoiler), e quindi dobbiamo ringraziare Mario Bava per la sua genialità. Questi sono i film che mi fanno sentire orgoglioso di essere italiano: da vedere assolutamente!
- Il rapporto tra il dottore e sua moglie, che possiamo trovarlo ne "L'Uccello dalle Piume di Cristallo". Lui accecato dall'amore difende a tutti i costi la sua consorte, in questo caso arrivando persino a condannare un innocente.
- La mimica facciale della donna killer, praticamente la stessa che possiamo trovare in "Profondo Rosso"!
Primo giallo firmato Bava, nonché uno dei primi esempi di film del genere girati in Italia, La Ragazza che sapeva Troppo è un piccolo grande film dove l’immenso regista ligure mischia con la bravura che gli è propria colpi di scena, tensione, ironia e trovate eccellenti… Bava usa sapientemente l’ambientazione romana regalandoci una Roma davvero bella e suggestiva esaltata dalla sua regia e dalla sua fotografia… Il film scorre via con leggerezza intrigando ed incollando lo spettatore al video, peccato per la voce narrante fuori campo che se non è deleteria è quantomeno inutile… Insieme a Sei Donne per L’Assassino un altro di quei Bava da far vedere a chi è convinto che il giallo all’italiana se lo sia inventato il Darione nostro…
Un buon giallo. omaggio a Hitchcock e al noir americano, ricco di colpi di scena e sequenze mozzafiato... peccato solo che la protagonista, Leticia Roman (?), non abbia il carisma e il talento di Barbara Steele