Intellettuale russo viaggia in Italia sulle tracce di un compatriota, musicista del Settecento morto suicida. Gli fa compagnia una bionda italiana, ma la nostalgia per la madrepatria lo consuma.
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Uno dei film più intimi del cineasta russo, fortemente influenzato dalle sue vicissitudini personali dovute all'esilio dalla sua madrepatria per motivi lavorativi. Facile identificare il protagonista come un alter ego del regista stesso in questo sua progressiva discesa verso il dolore e la malinconia. Un disagio tangibile grazie ad una regia ed una fotografia straordinaria nei suoi piani sequenza dove le riflessioni ed i pensieri sono orientati verso un mondo ormai perduto. La follia e la fede sono un atto quasi necessario per plasmare i propri bisogni e desideri. Una necessità di fronte alla propria solitudine ed alienazione. Bellissimo il parallelismo fra il protagonista e Domenico della parte finale.
La solennità dei film di Andrei Tarkovskij non si misura con le parole, ma la filosofia e i discorsi che ci sono all'interno sì. NOSTALGHIA esprime in maniera comprensibile e sincera il disagio esistenziale dell'uomo, della società e dell'uomo nella società e questo è un punto a favore che si aggiunge ad una forma perfetta e che si autoriproduce con novità, unendo la bellezza e la forza dell'arte antica con la sua decomposizione. Palpabile la sensazione di sofferente depressione che l'autore trasmette. Il viaggio interiore è così profondo che è facile perdersi ma di questo capolavoro surrealista ogni elemento rimane impresso nella mente.
Film tra i più complessi del maestro russo, lento, ripetitivo, apparentemente senza metà. Ma l ermeticità, la lentezza, l incomunicabilità sono i mezzi per rappresentare la il sentimento russo di "Nostalgia", unico nel suo genere. Fotografia da 10.
Film straordinario ed evocativo, capace di mettere per immagini il sentimento doloroso della nostalgia. Gli ultimi 40 minuti sono un colpo al cuore. Faticoso, ma non è assolutamente da perdere. Grande.
Da grande estimatore di Tarkovskij, questo film mi ha deluso enormemente. Noioso, senza idee, confuso, autoreferenziale. Siamo lontani anni luce dai fasti di Andrej Rublev, Zerkalo, Stalker. Purtroppo la mano del sopravvalutato Guerra si sente eccome, trasformando quello che potenzialmente poteva essere un grandissimo film (e mi riferisco per esempio alle scene dei sogni, della Russia che riprendono in modo originale il discorso cominciato con Lo Specchio) in una stanca e vuota copia del peggior Antonioni. Blow Out aveva un senso però.
"Nostalgia, per noi russi, non è un sentimento leggero come per voi, ma una malattia mortale che spinge a viaggiare, alla ricerca della propria patria perduta.."
Allora, i russi se ne devono dare meno. La Nostalgia non è una loro prerogativa e l'arroganza russoide traspare perfettamente nel discorso fra Eugenia (co.glione lui che non si è fatto una tipa del genere) e Andrej sulla traduzione. Ma datevene meno retrogradi ubriaconi. Tarkovskij avrebbe fatto meglio a rimanere in casa sua, perché uscir di casa è stato un risultato per nulla felice. Nonostante ciò rimango sul sette perché non tutto è da buttare. Potrei essere molto più severo, ma in qualche sequenza ho apprezzato l'intento.
Una goccia d'olio più un'altra goccia non fanno due gocce ma una goccia d'olio più grande. La ricerca di un principio unitario che leghi tutto sta alla base di questo tuffo doloroso e autolesionista nella Nostalghia (come la dice il titolo,storpiata in russo); i film di Tarkovskij non sono una passeggiata,si sa,e anche Nostalghia può indisporre il più paziente degli spettatori tra carrellate lentissime e una storia che apparentemente non c'è,silenzi prolungati e azioni ripetute più volte. Però quanto ci si guadagna a cercare almeno di capire quello che il regista russo rigetta con tanta forza sotto forma di Arte,sotto forma di pellicola ed immagine. Anche questo suo penultimo lavoro è intensamente autobiografico e,manco a dirlo,personalissimo; proprio in virtù di essere così legato alla sua storia passata risulta anche una pellicola ermetica,chiusa,complicata e radicale. Il protagonista russo che si trova in Italia per compiere una ricerca su un suo connazionale è Tarkovskij stesso,la nostalghia che prova è un sentimento doloroso tipicamente russo che,come spiega,è differente da come viene sentito da un italiano; non è una malinconia lieve e passeggera ma qualcosa che ti si attacca all'anima e te la divora lentamente,la brucia senza che tu te ne renda conto. Il protagonista Gorkaciov è un uomo intensamente solo,affascinante ma che non riesce ad instaurare un rapporto con la sua compagna di viaggio Eugenia,semplicemente perché non vuole. O forse non ci riescono entrambi perché troppo diversi tra loro. Ad un certo punto si parla dell'incomprensione (linguistica,intellettuale e personale) tra Russia e Italia,insuperabile se non nell'abbattimento di tutte le barriere. Anche per questo i due non riusciranno mai a portare il loro rapporto in qualcosa di più ma dovranno necessariamente separarsi. Gorkaciov troverà un uomo che si legherà indissolubilmente a lui,Domenico (in cui molti hanno visto riflesso Guerra,sceneggiatore con Tarkovskij); Domenico è un pazzo che si è barricato in casa per anni rinchiudendo pure la famiglia nell'attesa della fine del mondo,per lui imminente: l'apocalisse non si è presentata ma in compenso i carabinieri si. Da quel giorno è visto come uno fuori di testa ma Gorkaciov riuscirà a comprenderlo veramente,a vedere oltre l'apparente follia la disperazione che anima quest'uomo simbolo di un'epoca disordinata: in questo senso è legato al russo per sempre,indissolubilmente,così come Gorkaciov è legato dalla promessa di portare la candela all'interno della vasca termale senza farla spegnere da un lato all'altro. Qui si compie il finale: Domenico allestisce a Roma sulla statua di Marco Aurelio un comizio da profeta e si da fuoco dopo un discorso inneggiante alla fratellanza e alla speranza che l'uomo possa imboccare la strada giusta; Gorkaciov compie la promessa fatta a Domenico di portare la candela nella vasca senza farla spegnere (a lui era sempre impedito perché pensavano volesse affogarsi),e dopo interminabili minuti di prove finalmente ci riesce,ma portato a compimento il favore muore mentre la fiamma non si spegne. Qui si ritorna al principio di un'unità non solo linguistica e culturale ma propria dell'anima: Gorkaciov e Domenico sono due pazzi entrambi,forse,due esiliati che compiono un gesto definitivo per affermarsi ma magari anche inconsapevolmente vengono consumati dai loro tormenti interiori fino a morirne. Affermano sé stessi con un atto radicale e solo apparentemente irrazionale.
L'atmosfera è carica di una pesantezza ipnotica difficilmente digeribile e il filo dei ricordi (che sarebbero poi i momenti interiori in cui la malinconia verso il paese d'origine si fa sentire) è presente a sprazzi,ma lo è fino alla fine. Non è in ogni caso un film perfetto ma Tarkovskij ci mette tutto sé stesso con un atto di dolore consapevole,si cita (lo fa nominando il padre poeta),si mette in gioco senza mezzi termini non come un autore per il grande pubblico ma consapevole che forse l'arte è l'unico mezzo che ha per non finire come Domenico,come Gorkaciov e quindi facendo un film per sé stesso. Ma scene di una bellezza clamorosa sono un pò dappertutto,dall'incipit al sacrificio con l'Inno alla gioia di sottofondo. Proprio in quella scena c'è una sottigliezza che risalta in una pellicola emotivamente fredda (meglio definirla ermetica): in mezzo agli uomini che ascoltano il discorso di Domenico,disposti sulla scalinata immobili come in un quadro,l'unico a reagire con partecipazione al sacrificio è il suo cane anche prima che il padrone si dia fuoco,preavvertendone le intenzioni (o la dissoluzione).
Difficile dire cosa l'immagine finale,e di conseguenza il senso di tutta l'opera,voglia dire: l'unità umana ricercata da Tarkovskij la si può trovare nella morte,nel sogno o semplicemente c'è sempre stata ma legati ad emozioni a cui diamo troppa importanza non ce ne siamo accorti?
«L'uomo ha un corpo solo solo come la solitudine l'anima ne è stanca e io cerco un'altra anima.» Arsenij Tarkovskij
Lento e complesso questo lavoro di Tarkovskij sceneggiato con Tonino Guerra. La visione può risultare pesante ma la meravigliosa fotografia, rende la visione molto gradevole.
Poesia e cinema. Non a caso fra gli sceneggiatori c'è Tonino Guerra in stato di grazia che assapora terre e passioni divorandole. La forza visiva del film è devastante, nel corso degli anni più volte mi sono ritornate davanti agli occhi alcune immagini del film. Un'opera d'arte che va oltre lo schermo, in un mondo d'intuizioni che sfiora il trascendentale.
Un profugo di un paese totalitario viene in Italia, quindi dalla terra al paradiso. Viene affascinato dalle innumerevoli bellezze del nostro paese; ma dopo poco subentra la noia. Se la felicità eterna fosse soltanto un lungo tempo, non risolverebbe nulla. Il protagonista comincia a girare e vede sul Campidoglio uno che si versa addosso della benzina per darsi fuoco a suon di musica. Muore per qualche ideale, per una cosa eterna, quello che i russi chiamano 'falsa eternità' di queste idee astratte. Per l'uomo morire per un ideale vale l'eternità. Nella scena c'è un cane che abbaia terribilmente. Il cane è il simbolo della vita, perciò abbaia: si può dare la vita per una cosa astratta? La vita è concreta, quindi anche il protagonista del film rimane colpito dall'abbaiare del cane. Dopo incontra una processione di donne che portano la statua della ******* e cantano: sono il simbolo del cammino verso l'eternità. Il protagonista chiede cosa si possa fare lì, e la donna lo fa mettere in ginocchio. E' come dire che non possiamo arrivare con la testa a capire, ma si tratta di un mistero che solo Dio può rivelare. Il mistero viene mostrato da un pazzo; questi offre al protagonista una candela e gli chiede di attraversare una piscina. La candela è la fede, e con questa fede ripassa tutta la sua vita. Il protagonista sta poi morendo in una chiesa scoperchiata, e vede come tutto ciò che ha vissuto stia ritornando, dalla gioventù sino al presente. Vive l'eterna memoria, "l'anamnesi liturgica" di tutto ciò che ha vissuto. Dunque niente di buono può essere perduto e tutto deve acquistare un valore eterno. Questa è l'eternità che ci consola, l'eternità della persona e del bene che ha fatto. Non stiamo assistendo ad un film, ma ad una liturgia: la commemorazione completa del Mistero in cui viene inserita anche la vita di tutti noi.
La lontananza di Tarkovskij dalla terra madre ha portato la scrittura di questo plot, prodotto e girato in Italia con contributo di Tonino Guerra (che è pesante anche lui), dal quale traspare come la nostalgia sia, nella loro cultura, un sentimento molto diverso dal nostro, opprimente e doloroso come la malattia che stava consumando l' autore russo. Si pone senz' altro come Cinema di grande riflessione, Capolavoro fotografico, non v' è dubbio, ma quando la durata di un film dipende da quante volte si spegne la candela in un unico ciak, è difficile per me volerlo approfondire. Non so, sembra quasi che Tarkovskij, al suo penultimo film, fosse intrappolato in un linguaggio autoreferenziale-trappola da cui non è stato più capace liberarsi. Basterebbe, comunque, anche il solo "Andreij Rublev" per entrare nella Storia del Cinema.
Nostalghia è un film difficile. E' facile, sostanzialmente sulla scorta di quanto già visto, ritenerlo per un film pretenzioso, snob, irritante e noioso. E' un film sicuramente imperfetto, ove i temi cari al regista sono sintetizzati in modo estremo. C'è chi non capisce nulla e lo reputa un capolavoro, c'è chi si annoia fino all'inverosimile e lo bandisce dalla propria classifica personale, ma lasciatemelo dire: c'è chi, come il sottoscritto, lo reputa un grande film. Tarkovskij è sempre stato molto umile ed autocritico (riconosceva sempre di aver esagerato con certe lungaggini quando queste mettevano a dura prova la pazienza dello spettatore), come lo è un vero artista. Egli riteneva che un film deve mettere alla prova lo spettatore, costringerlo ad essere vigile ed attento per poter dargli una propria interpretazione, quale esperienza di vita. E' facile rinnegare questo film (francamente la prima volta che l'ho visto non mi era piaciuto), quanto lo è morire dissanguati all'ascolto di un'opera di Wagner. Ed è legittimo: per troppo tempo abbiamo visionato film pretenziosi ed inutili, scambiati per vera arte. Dunque Nostalghia può risultare noioso, ma a parere mio (criticabilissimo) v'è, dietro alla sua estetizzante scansione di inquadrature uno sforzo sovraumano: quello di suscitare emozioni autentiche. In pratica nostalghia veicola un grido d'aiuto contro i processi individualistici dell'uomo, mediante l'orrore pubblicitario e mostruoso di un suicidio, sincronizzato ad un messaggio di speranza: il sacrificio di Gorcachov, il russo, idealista forse e irrimediabilmente attratto dalla follia di Domenico. Per la cronaca: in Russia soprattutto i pazzi erano considerati dai più come degli illuminati, in quanto specchio della natura umana. Tarkovskij nel corso della sua durissima e tragica vita (ricordo che a malapena riusciva a pagarsi le bollette della luce) è stato immensamente onesto e sincero ed eroico nel denunciare (nonostante il suo pessimismo) l'esistenza di un processo spirituale fondamentalmente distaccato da quello materiale, e di un forte legame tra noi e la Russia (e quindi tra ogni nazione e l'altra) nell'ultima, struggente inquadratura dell'Izba contenuta dentro la cattedrale italiana. Personalmente mi ha coinvolto e commosso. Punti negativi: lievemente irritante l'apporto di Guerra, un po' frammetarie le citazioni dei suoi temi preferiti. Il personaggio dello scrittore russo a tratti è criptico e "antipatico". Eccessivamente sintetico e misurato. Rimane per me un grande film (imitatissimo il suo stile, soprattutto da gente come Von Trier), sostanzialmente inadatto ad un pubblico ipercinetico-, con tutte le sue limitazioni dovute NON ad un atteggiamento snob, piuttosto, come qualcuno ha suggerito, ad una eccessiva chiusura in sè.
P.s. se c'è un regista da linciare (permettetemi di dirlo) io me la prenderei con Kim Ki Duk e la sua poetica veramente criptica e fine a sè stessa (mi riferisco in particolare al suo Primavera, estate, inverno...e ancora primavera), come omologazione alla "pillola di saggezza orientale predigerita per le mezze calze occidentali"; se siete estimatori di quest'ultimo non potete lamentarvi di Nostalghia!
Bisogna arrivare preparati prima di guardare questo film. Prima di tutto si differenzia dagli altri per il mezzo di espressione che utilizza, cioè quello della poesia, del simbolo, della suggestione. Ogni immagine, dialogo, scena che viene presentata non deve essere considerata per quello che superficialmente rappresenta o significa, ma per i movimenti sentimentali, estetici, riflessivi che riesce a suggerire. La scansione e la durata temporale vengono tolti dal ritmo quotidiano (frenetico, consequenziale) a cui siamo abitutati, per assumere una dimensione astratta e contemplativa. Siamo nell’ordine delle idee universali e non nell’accadere dei singoli fatti in sé. Nell’espressione poetica delle idee, bisogna dire che Tarkowskij è un vero maestro: le sue immagini hanno una grande suggestione ambientale e coloristica, creando un’atmosfera incantata in cui ci si perde volentieri. Quindi con la cinepresa crea lo spirito giusto per entrare nel suo mondo di assoluti e sensazioni pure. Un mondo non facile da comprendere e, bisogna dire, molto più complesso e astratto rispetto ai suoi film precedenti. Tarkowskij si è ormai creato un suo mondo mitologico in cui si è rifugiato sempre di più, perdendo forse lo sguardo totale sullo spirito umano per chiudersi in se stesso, nelle sue considerazioni sempre più pessimistiche, aggrappandosi alla sua fede. Certamente ci sono vicende autobiografiche che hanno inciso nel film. Uno dei temi è infatti quello dello straniamento, di trovarsi lontano dalla propria terra e dalla propria cultura, in un mondo bello e culturalmente ricco ma che non è il proprio. Ci sono quindi le barriere linguistiche e culturali che impediscono uno scambio proficuo di idee negli uomini. In ogni caso, seguendo le indicazioni simboliche tipiche di Tarkowskij, si riesce a inquadrare abbastanza bene i tre personaggi e il loro significato. Eugenia rappresenta l’atteggiamento moderno di vita: scettico, egoistico, curioso della spiritualità ma che si rifiuta di viverla. E’ chiaro che lei non riesce a entrare in sintonia con il sublime e lo spirituale, perché non vuole sottostare a una legge sopra di lei o ritornare ai ruoli tradizionali che venivano riservati alla donna (fare figli). Anche lei viene fatta parlare, espone le sue ragioni, ma rispetto agli “scettici” di Stalker, ha una connotazione più negativa, meno dignitosa, con un’accusa velata di opportunismo. Domenico, il pazzo di Bagno Vignoni, rappresenta il parossismo della spiritualità, quando arriva a rovesciarsi e a diventare (auto)distruttiva nel suo contrasto con il mondo materiale e convenzionale. La sua figura è il fallimento del realizzarsi della spiritualità sulla terra. E’ circondato da molti simboli, fra cui il cane, il classico rappresentate della fede (il cane è “fedele”), l’acqua che penetra nella sua dimora che è il flusso vitale delle idee e infine il fuoco, che è l’intensità della propria passione interiore, la quale finirà per bruciare il personaggio stesso. Altro significato del rogo finale è forse un’allusione ai roghi che bruciavano gli eretici, gli unici forse che avevano visto chiaro nell’(in)evoluzione umana e che perciò dovevano essere eliminati. Il russo rappresenta forse il regista stesso, nel suo difficile percorso esistenziale pieno di incertezze, contraddizioni, speranze deluse. Il suo contrassegno è una piuma scesa dal cielo, ben stampata sui suoi capelli: è perciò il testimone, l’evangelista, lo scrittore di ciò che puro, spirituale e poetico. La sua missione si risolve simbolicamente nel tentativo di attraversare la piazza d’acqua di Bagno Vignoni con una candela accessa; tentativo riuscito a costo pure di sacrificare la propria vita. In questo atto ci sta tutta la sua missione di tramandatore e salvatore della flebile fiammella della fede, della speranza nella spiritualità umana. Una piccola e tenue speranza. Si tratta di un film meraviglioso nella sua resa visuale e poetica, segnato però da un triste sentimento pessimistico. Rappresenta senz’altro un’involuzione, un chiudersi e un ripiegarsi di Tarkowskij nei suoi valori, ma bisogna ammirare il suo eroico sforzo nel tradurli e nel cercare di tramandarli.
il cinema di tarkovskij è fatto di immagini, di poesia, di simboli. nostalghia non è il suo migliore lavoro e in alcuni punti si sente un po' di eccesso di manierismo. ma rimane un'opera che va oltre la semplice nozione di film, il suo fascino è nei silenzi, nelle inquadrature, nell'acqua, nella malinconia che esce da ogni fotogramma. tarkovskij è un genio e anche quando non è al meglio regala perle che farebbero la fortuna di molti altri registi.
Bellissima la fotografia di Beppe Lanci, meravigliosa l'interpretazione dell'attore russo. Poetica visiva e non solo. Riconoscibile la mano di Guerra nella sceneggiatura, ma ciò che colpisce è la regia perfetta. Probabilmente non sarà riuscito come Stalker, ma resta un’opera meravigliosa in cui le lunghe carrellate e i meravigliosi piani sequenza danno vita ai personaggi. Non c’è finzione, non c’è montaggio, ma solo il ritmo caustico e lento della vita.
E' per me molto imbrazzante votare questo film, perché non riesco come pure sarebbe "comodo" ad accodarmi con due righe a chi lo definisce un'opera geniale e nello stesso tempo non sono forse in grado di esprimere tutte le perplessità che mi ha suscitato. non si può parlare di capolavoro per un film (che non deve essere una galleria fotografica) che, accanto a momenti eccelsi, ha cadute di tono narrativo che fanno abbioccare lo spettatore, ed è, soprattutto, gelido. Purtroppo è totalmente privo di una sia pur debole vicenda, o meglio sembra che Tarkovsky non si curi di raccontare. A mio parere il cinema senza narrazione ben difficilmente si salva: ci sono eccezioni, ma Nostalghia non è fra queste. Ha immagini bellissime; un giovane autore può imparare molto da un'opera sperimentale, ma non è cinema fatto per essere visto dal pubblico. Inoltre la ripetizione di "topoi" fortunati non è indice di genialità, ma di abilità a rivendere il proprio passato. Cani, acqua che scorre, pioggia negli interni; scene nere; protagoista con "frezza" d'ordinanza. Tonino Guerra non aiuta, anzi con tutta proababilità nuoce. Retorico a tratti (non solo nei dialoghi, ma, soprattutto, nei muri scrostati). E' vero, come è stato scritto, che molta lentezza può essere perdonata a Stalker, o meglio è giustficiata, mentre qui non ha senso. Il taedium vitae può averlo il personaggio, non l'autore. Domiziana Giordano non è una grande attrice, e neppure una maschera adeguata. Unica riserva: l'ho visto una sola volta e per giunta di pomeriggio: chissà che rivedendolo più volte non cambi idea. Infine opere del genere non possono che avere, comunque, un voto più che dignitoso. Sotto (o appaena sopra) la sufficienza è solo ciò che, per banalità, offende l'intelligenza comune. Non un film comunque complesso, e, per fotografia ed accuratezza, senza dubbio ai massimi livelli.
Film girato in Italia prodotto dalla Rai. Spettacolare sequel di Tarkovskij. Il piu maturo tecnicamente nella conduzione registica con la fotografia che ha sempre distinto l'autore russo. Per il resto vi consiglio una visione.
Certamente l'elemento che affiora maggiormente in questo film è proprio la nostalgia. Tarkowskij esule in Italia ma profondamente legato al suo paese. Trovo intrigante il modo con cui un russo ha fotografato il nostro paese. Forse non è il migliore ma resta un film sublime.
Non si capisce quanto ci sia di sofferto, quanto di autocelebrativo, quanto di eccelso. Non si discutono le capacità cinematografiche del regista, ma resta un'opera a tratti morbosa, a tratti irritante, a tratti sublime. In sostanza mi trovo d'accordo più con chi la critica che con chi la loda. Di certo siamo lontani da capolavori della storia del cinema come Stalker o L'infanzia di Ivan. Ad ogni modo da vedere se siete amanti di un certo cinema.
Insieme allo Specchio il film piu´autobiografico di Tarkovskij, con una fotografia eccezionale (come in tutti i suoi film) e un finale, come ha scritto Lotito, che lascia stremati.
Penultima tessera del mosaico filmografico del regista, Nostalghia è con Sacrificio uno dei film simbolo dell'ambiguità tarkovskiana, a metà strada tra i novelli implosivi de "Lo specchio", le lacerazione dello STalker e l'esplosione del gsto irrazionale di Alexander. Se è vero che Nostalghia non è un film sulla nostalgia è però soprattutto un film sull'ossessione dell'espulsione di questa nostalgia russa attraverso l'idea della negazione sulla quale appare ruotare l'intera opera. Un capolavoro. (Fabrizio Borin, L'arte allo specchio)
Tarkovski esce per la prima volta dal suo paese e si porta in Italia per girare un film complesso e geniale, malinconico e struggente. finale da brividi.