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VINCITORE DI 3 PREMI DAVID DI DONATELLO: Miglior attore non protagonista (Pierfrancesco Favino), Miglior attrice non protagonista (Michela Cescon), Migliori effetti speciali
Fabrizio Gifuni interpreta Aldo Moro, all'epoca del film Ministro degli Esteri. Straordinario nel suo tono sedativo e mellifluo, l'attore incide negativamente sulla pellicola grazie a una recitazione malamente impostata. Attraverso un approccio disordinato e sprezzante verso uno dei ruoli più importanti e saccheggiati dalle recenti narrazioni cinematografiche, si riflette il lassismo dell'attuale produzione nostrana verso quelle infedeli forme di dizione impassibile che bollano come fiction taluni tentativi propagandistici che aspirano all'empireo delle sale. In "Romanzo di una strage" nemmeno Marco Tullio Giordana resiste, e rivela un debole per il didascalismo, riprendendo un paio di mani giunte davanti all'altare della chiesa e fissando le location in luoghi all'aperto, sempre dopo il tramonto, o in interni cupi.
Perché non ci si può accontentare di un mezzo di espressione romanzato, filtrato da quella messa in scena finta che rinnega la volontà di essere documento storico definitivo, di lasciare una traccia severa; e che purtroppo alla fine appare mondana perché deve piacere a tutti, in primis alle televisioni che hanno investito i loro capitali e aspettano, avvoltoi tenaci, di trasmettere in prima serata l'opera finanziata (ovviamente annunciandola attraverso titoli strombazzanti concernenti i consensi della critica e con tanto di successo di pubblico senza precedenti). E chi se ne importa se nessuno ha fatto la fila per andare a vedere il prodotto nelle sale; ciò che preme è l'amo che verrà lanciato per far abboccare spettatori distinti (tra i quali l'immancabile casalinga di Voghera) che si impegneranno nella (e si vanteranno della) visione di "quei tragici fatti avvenuti tanti anni fa. Sapete, quando l'Italia andava male e in giro c'erano tutte 600; quando non esistevano i cellulari, c'erano quei cattivi dei fascisti, i comunisti e gli anarchici. Ah, e c'è pure una scena terribile: una goccia di sangue che scende sulla fronte di Lo Cascio. Mai visto un film così cruento!".
Nell'ipertrofia dell'immaginazione visiva, rimane il debole per i duetti tra Favino (l'anarchico Giuseppe Pinelli) e Mastandrea (il commissario Luigi Calabresi), tesi sulla corda di un'intima apprensione. Menzione speciale anche per Denis Fasolo nel ruolo di Giovanni Ventura. È soprattutto grazie a loro che si possono coltivare momenti durante i quali vengono fuori le contraddizioni di una società e di un periodo storico dove la lotta politica si confonde con il potere ambiguo delle istituzioni, la voglia di rivoluzione ortodossa con la volontà di distruzione cieca. "Romanzo di una strage" assume un senso compiuto solo se rapportato a quell'insieme di tragedie inspiegabili che hanno caratterizzato la storia del nostro paese. Stragi che hanno visto vittime innocenti perdere la vita senza che si siano date mai risposte e senza che la giustizia abbia potuto fare un decorso accettabile.
Se la fiction rappresentata fosse anche forma, si sarebbero ben descritte le ipocrisie e le ataviche scaltrezze delle istituzioni, dei supposti servizi segreti, e quella lunga stagione dei misteri irrisolti che furono gli anni di piombo. Invece il tassello di Giordana arriva come se fosse fuori moda, ispirandosi a un sistema "vecchio" di fare film di denuncia (mi viene in mente il tentativo di empatia emotiva de "Il muro di gomma" di Marco Risi, quest'ultimo comunque notevolmente più bello) e dimenticando la modernità dell'introspezione usata da Bellocchio in "Buongiorno, notte". Incanalare quest'opera è un po' come assistere ai rimpalli di responsabilità fra le istituzioni dello Stato: ciò che il nostro paese riesce a far meglio, da sempre. Vinto dal provincialismo, lo scritto sceglie di suddividere la vicenda in piccoli dieci capitoli non sufficientemente brillanti. Anzi, le sezioni spiccano per farraginosità e frammentarietà, rimanendo schiave di un intrigo fatto di ipotesi e rimpianti, perdendo di vista il senso di sdegno e rimanendo con una scarpa in mano.
Fantastoria senza alcuno spessore. Un film sciatto e pedestre da qualunque parte lo si voglia osservare. Quando vedo certi film italiani, nati sotto le migliori intenzioni, affondare in maniera così imbarazzante, mi travolge un senso di inesorabile tristezza...
Semplificazione, ma soprattutto reinterpretazione di uno dei fatti più scottanti della nostra penisola, Giordana con uno stile didascalico e lirico, tenta la via del "pareggio e palla al centro", finendo per creare più ancor più confusione e acidità. Probabilmente saranno molto più utili le polemiche che seguiranno...
Questo film non è affatto una ricostruzione dei fatti dell'epoca, bensì una DISTRUZIONE ed un tentativo di cancellazione della verità storica accertata. Voler far sembrare che anni ed anni di indagini non abbiano portato a nulla, basandosi su "fatti" già accertati come FALSI. Questi revisionismi storici poteranno un giorno alla beatificazione di Craxi così come da tempo si sta cercando di cancellare il valore dell'antifascismo e di far passare Mussolini per un grande statista. Non si discute della bravuta del regista o degli attori. Ma quando si PRETENDE di raccontare la STORIA si deve avere la decenza di evitare di farlo pescando da un libretto scritto fuori tempo massimo che ritocca quel che gli pare della storia col solo scopo di far polemica e, in questo caso, di tirarci fuori un film. Mi spiace ma non è confezionando bene una bugia che la si rende vera. Anzi, questo raddoppia solo la colpa.