Recensione point break regia di Kathryn Bigelow USA 1991
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Recensione point break (1991)

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locandina del film POINT BREAK

Immagine tratta dal film POINT BREAK

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Immagine tratta dal film POINT BREAK
 

Point break. E' il nome che i surfisti danno ad un punto il cui fondale si presenta roccioso. E il fondale è importante. Artefice diretto delle onde, le ammaliatrici dell'acqua. Poi il brivido del punto di rottura, e nient'altro.

Los Angeles. Una banda esegue con precisione e maestria una rapina dietro l'altra senza mai cadere in fallo. Un lavoro veloce e pulito e nessuna violenza. Unico segno distintivo: le maschere di quattro famosi presidenti americani, una chiara provocazione, anzi una bella beffa. A cercare di fermare i rapinatori ci sono una matricola fresca di promozione e un veterano della sezione speciale dell'FBI. Un'acuta intuizione da cui partire è l'inizio dell'indagine, e, attraverso gli occhi del giovane agente infiltrato, prende il via un viaggio nel mondo del surf e della filosofia dell'adrenalina pura.

Per l'interpretazione del ruolo dell'intraprendente e sveglio agente appena promosso troviamo un Keanu Reeves giovane e acerbo, di cui però già s'intravedono i tratti salienti del suo stile interpretativo, dimostrando di avere le qualità per essere convincente. Il suo personaggio, l'agente speciale Johnny Utah, è pronto all'azione, fremente e vivo, un temerario che sa azzardare e impara a conoscere il gusto per le emozioni forti. Come gli verrà detto, lui ha i suoi demoni e la sua determinazione e audacia nei confronti del surf lo porteranno a seguire nuove vie, seppur senza contaminare i suoi valori di buon servitore della giustizia. Una nota negativa per il doppiaggio, Mauro Gravina non riesce a trasmettere l'emozione e il colore della voce dell'attore, non preservandone l'identità: a conferma di tale valutazione vi è la scelta fatta per i successivi doppiaggi di Reeves, affidati a due più ferrati, o forse soltanto più pertinenti, doppiatori, dalla voce quando camaleontica e risoluta, Luca Ward, quando calda e intensa, Francesco Prando.

Ad affiancare Reeves c'è Gary Busey nel ruolo del suo partner di lavoro, Angelo Pappas, irascibile e confusionario agente che ha però fiuto nella comprensione degli eventi. Un'interpretazione solida che odora di omaggio: il richiamo è infatti inevitabile e lo spettatore attento e allenato alle associazioni fisionomiche ben individuerà in Gary Busey il giovane Leroy del film cult "Un mercoledì da leoni". Chi meglio di lui, che continuamente alterna la sua identità con quella del personaggio che fu nel celeberrimo film, poteva esprimersi su abitudini, usi e costumi dei domatori delle onde, i surfisti? Nessun'altro. Non c'è neanche discordanza cronologica tra "Un mercoledì da leoni" e "Point Break", anzi sembra che il secondo segua il primo come una naturale successione degli eventi. Un ragazzo che con i suoi amici inseguiva le mareggiate dell'oceano, come un branco (definizione Di Pappas che ben si confà al gruppo del film cult), che vive i dubbi e le resistenze della guerra del Vietnam (elemento accennato in "Point Break") e che potrebbe tranquillamente ritrovarsi agente dell'FBI nella stessa Los Angeles della sua giovinezza. Una possibile strada della vita. Così Busey guida Reeves alla scoperta di un mondo a sé stante, quello dell'oceano e della spiaggia, quello di chi ama l'emozione di un momento e il pericolo che non smette di elettrizzare. C'è l'attenta osservazione delle dinamiche del gruppo, con l'ambientazione e le regole del surf: i ragazzi "agiscono" e si muovono in branco, il loro movimento è dovuto alla soddisfazione della fame, come animali, ma questa non è una fame qualsiasi, e non è quella materiale. La fame che spinge i surfisti pare sia quella emozionale e, secondo l'interpretazione specifica di questa pellicola, quella spirituale. Un bisogno impellente che li anima, li esorta e li eccita, li unisce e poi li placa nel momento in cui possono fondersi con l'onda, cosicché possono lottare per se stessi e per il gusto di sentirsi vivi dentro, veramente.

E' con questo concetto che ben si sviluppa l'immagine affidata alla recitazione di Patrick Swayze: l'aitante surfista che poco a poco si svela e che gradualmente si concede all'attenzione di Johnny Utah, affascinandolo a sua volta. E' chiamato Bothi, diminutivo di Bothisattva, che nella filosofia buddista è colui che ha deciso di seguire "la via dell'illuminazione", e si presenta immediatamente come un personaggio carismatico e con l'indole da leader. E' un inusuale surfista-guru, un sacerdote dello spirito e della tavola che accarezza la natura, un paladino della sensazione e della ribellione contro IL sistema che, secondo il suo pensiero, annienta lo spirito umano.
Durante lo svolgersi della storia non mancano i momenti in cui Bothi dispensa pillole di saggezza e frasi che risuonano come dogmi hippie molto intensi e profondi, tra cui spicca anche il concetto di non violenza. E' essenzialmente uno stratega della psicologia, che concilia le sue idee spirituali e naturalistiche con alcune tattiche che usa per compiere azioni di intimidazione e imposizioni forzate.
Saprà mostrarsi molto determinato pur di arrivare ad ottenere ciò che vuole, fino all'epilogo del film.
Un elemento latente ma comunque percepibile nella sua personalità è la follia, ben gestita da Swayze, che la controlla e la calibra nelle parole e nella gestualità ma avvertibile nello sguardo.

In questi personaggi si insinua l'elemento della triade in rapporto al Surf, che ascende al ruolo di vera e propria religione e filosofia di vita. Così Pappas ne diviene il mentore, colui che vede e consiglia, dopo aver assaporato le rivelazioni della "dottrina", arriva in fondo e osserva con occhio critico. Bothi, il fulcro vivente di questo cammino spirituale, colui che segue l'illuminazione, ha la placidità di chi sa e la vivacità di chi vuole rendere gli altri partecipi, ed infine Johnny Utah, l'adepto, che viene iniziato ai misteri di questa via, attraverso la ricognizione (con Pappas) e l'esplorazione tramite le prove (con Bothi e il suo branco, i primi approcci, l'accettazione, la difesa, l'inseguimento dell'onda di notte e il volo nel vuoto) fino al raggiungimento della consapevolezza di una certa vita, di un percorso interiore.
Ed è nell'iniziazione al surf di Utah che si osserva il graduale dispiegarsi della vicenda. L'indagine non è mai in secondo piano e l'agente porta in parallelo i due sviluppi delle sue azioni che alla fine si incrociano e si scontrano, in una lotta agguerrita per l'affermazione di una o l'altra strada: la vita del sistema o quella dello spirito. La soluzione del caso e la consegna alla giustizia della verità aiuteranno Utah a comprendere anche se stesso.

L'approccio al movimento e alla spinta adrenalinica verso il rischio è un aspetto ben studiato dalla regia che non si aggrappa passivamente agli eventi bensì li segue senza affanno, in una maniera molto naturale, trasmettendo un'idea realistica degli avvenimenti.

Di grande impatto emotivo le scene chiave di iniziazione "alla natura": la rincorsa dell'onda dell'illuminato e dell'adepto che si spiega come una rinascita, e dischiude la comprensione verso gli uomini che compiono questo affascinante sport e accende la curiosità per l'emozione osservata. Un successivo momento in cui, conseguente ad azioni e risvolti importanti nella trama più prettamente poliziesca, avviene l'incontro con il cielo e il vuoto aereo, tipico dello skydiving, in cui i protagonisti si lasciano trasportare, immette nello spettatore un forte impulso di empatia, verso un momento in cui l'uomo sembra liberarsi dei suoi limiti naturali per divenire una cosa sola con la natura, pronta ad accoglierlo e sorreggerlo.

Due sport, il surf e lo skydiving, che ci guidano alla scoperta di un nuovo modo di essere umani e di vivere la vita, mettendoci di fronte alla forza inarrestabile della natura, che non viene contrastata ma viene assecondata, senza turbarla.

Quello diretto da Kathryn Bigelow è un poliziesco inedito, un gioco di azione e di movimento che tanto punta su una visione estrema dello sport ma che si concede anche ad un messaggio spirituale e profondo, mostrando una prospettiva intimistica e interiorizzata sull'affrontare la realtà naturale che si alterna vivacemente al ritmo avvincente dell'indagine e dell'inseguimento, pretendendo a ragione, e ottenendo, la piena attenzione del pubblico. La variazione sul genere e l'angolazione interessata al mondo del surf possono, a primo acchito, non convincere, ma il risultato da prova del contrario e la visione si rivelerà senz'altro piacevole e godibile.

La colonna sonora è presente al momento giusto, ricalcando un'epoca, quella degli anni Novanta, proprio attraverso quei suoni e quegli arrangiamenti caratterizzanti.

A proposito dell'ambito musicale, da segnalare il cameo di Anthony Kiedis, "losangelino" d.o.c., leader e voce dei Red Hot Chili Peppers, gruppo emerso proprio in quegli anni, di stampo fortemente californiano palesemente manifestato. Si muove spedito (anche se poco padrone di una scena che non è quella sua solita del palcoscenico musicale) come membro di un gruppo di surfisti antagonista in alcune sequenze d'azione.

Ritornando al contesto prettamente musicale, la colonna sonora ospita una cover della famosa "Smoke on the Water" dei Deep Purple, rivisitata in chiave metal-sperimentale dai Loud House. Un arrangiamento che riflette la potenza dell'emozione estrema e adrenalinica che investe i personaggi. E in questa visione prorompente della vita e delle scelte che cambiano nell'arco di un istante, gli elementi del mondo mostrano icasticamente il turbinio di eventi all'interno dello spirito umano: "Smoke on the water, fire in the sky", fumo sull'acqua, fuoco nel cielo.

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Recensione a cura di ele*noir - aggiornata al 26/02/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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