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Prosegue il perfezionamento della poetica di Wong Kar-wai, che in questa sua opera seconda intesse un coinvolgente incrocio di storie e personaggi accomunati dal bisogno d'amore in relazione allo scorrere di un tempo ingannatore. La maggior libertà con cui Wong destruttura le convenzioni narrative si rafforzano nelle intuizioni visive di Christopher Doyle (prima collaborazione), la cui fotografia virata in grigi e verdi sprigionano il malessere dei personaggi, captandone ogni linea e movimento. Il cast è eccezionale, composto da tutti gli attori feticcio di Wong, perfetti volti prostrati dai dibattimenti. Fantasmagorico l'enigmatico cammeo finale di Tony Leung, che allude a risvolti che colpiscono l'immaginazione (soprattutto se si vede questo film dopo In the Mood for Love e 2046).
Film di momenti, di mancanze (tutti i protagonisti vorrebbero qualcuno che non hanno o che perdono), film di errori e di un'umanità colta nel suo farsi, disfarsi e trascorrere. Un'opera in cui Kar-wai anticipa molti dei temi dei suoi futuri film e in cui soprattutto mette in mostra quel suo stile che lo ha reso celebre nel mondo come uno dei grandi maestri del cinema asiatico (e non solo). Montaggio e fotografia a livelli spaziali.
Presentato come quasi un prequel di "In the Mood for Love", questo film, in realtà, funziona molto meno. Sia per le prove degli attori (forse ancora acerbi) sia per la sceneggiatura, che ci mostra sì personaggi interessanti ma che girano abbastanza in tondo. Inaspettati momenti di violenza in un'atmosfera altrimenti molto rarefatta (questo sì, più vicino al film successivo). Finale disorientante
Days of being wild è il film che ben delinea il Wong Kar-Way futuro. Una Hong Kong sospesa, deserta, quasi onirica dove un mosaico di personaggi intrecciano le loro relazioni. Un melò elegante dove l'amore non è mai ricambiato nella stessa misura. Amare intensamente ma non essere riamati dall'oggetto del desiderio. Una condanna alla solitudine.
Secondo lungometraggio di Wong Kar-wai e proprio per questo penso ne risenta dell'inesperienza del regista che successivamente si rifará alla grande con film molto piú profondi ed interessanti. Questo comunque non é da buttare. Si intravedono tutti gli elementi ricorrenti della filmografia del cineasta di Honk Kong: tanti amori che si intrecciano, i viaggi, la lentezza delle vicende, la malinconia. Purtroppo peró la trama non é un granché e buona parte delle vicende mi é sembrata inutile. Il finale é invece davvero fatto bene, come solito di Wong. La regia é quasi impeccabile, la musica é piacevole. Le prove degli attori sono sufficienti, spiccano sugli altri Leslie Cheung e Maggie Cheung, quest'ultima affascinante nella sua semplicitá. Lo consiglio a chi vuole cominciare la filmografia del regista.
Insomma niente di che questo Days of being wild, uno dei primi film di WKW. Un film che, forse a causa della non piena maturità del regista, risulta freddo e, almeno personalmente, non si crea empatia con nessun personaggio (colpa anche delle non esaltanti prove degli attori). Poco approfondito il tema della mancanza della madre mai conosciuta, in generale è tutta la sceneggiatura che rende il film pesantuccio. Ha il merito, almeno questo, di avere in nuce gli elementi del futuro cinema di WKW che daranno frutti ben più saporiti.
Il solito Wong: amori che si incrociano, speranze con un inedito rapporto madre-figlio. Interessante, ma il regista ha prodotto cose più sublimi ("Fallen Angels", "Hong Kong Express")