La storia di una grande famiglia alto borghese che ha ormai perso i suoi valori. Specchio di una società votata alla falsità, all'egoismo e all'infelicità. Sullo sfondo, Calais, spazio di transito per i rifugiati.
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L'ultimo film di Haneke continua coerentemente il suo percorso di critica antiborghese, lo fa con uno spirito nichilistico meno accentuato, rinunciando ad una certa seriosità che ha mantenuto per buona parte della carriera ma comunque indirizzando una critica caustica al ceto benestante che arriva dritta al punto, lo fa descrivendo questa bizzarra famiglia proprietaria di un'azienda edile, tra gli scandali che la coinvolgo e svariati episodi atti a smascherare tutta l'ipocrisia, l'egoismo e il cinismo dei personaggi, come si vede fin dall'inizio con quel crollo della struttura e le conseguenze che ha portato come il ferimento dell'operaio, mostrando un'empatia quasi nulla da parte dei responsabili nei confronti dell'uomo finito in ospedale, una perdita dei valori evidente che viene trasmessa anche alle nuove generazioni, anche ai nuovi media, Haneke infatti attualizza questa sua disillusa visione al mondo contemporaneo con internet, altra vetrina per apparire sfruttata perlopiù dalle giovani leve della famiglia, ma anche mezzo per l'adulterio, come si vede nella figura dello zio, ne esce fuori un ritratto lievemente grottesco, che enfatizza una certa aridità di sentimenti così come un'etica ridotta al minimo, quanto basta per mantenere una sottilissima facciata che offusca la visione di tutto il marcio dentro i componenti, con anche diverse conseguenze psicologiche su loro stessi, basti vedere il personaggio di Pierre, giovane figlio che ha ereditato l'impresa con problemi di alcolismo ma anche controllo della rabbia, ogni personaggio per come descritto sembra arrivato ad una determinata fase, se i bambini hanno già sviluppato una certa cinicità, portandoli ad un'empatia pari allo zero ma lontani dalla consapevolezza della situazione, il nonno, interpretato dal grande Jacques Louis Trintignant nella sua ormai totale rassegnazione che vede la morte come una salvezza, fa quasi tenerezza nonostante tra i presenti sia stato quello che ha dato il via alle danze di questo terribile spettacolo.
Haneke dirige con la sua solita maestria, ritmi dilatati, lunghe sequenze a camera fissa, un certo realismo stilistico che stavolta, a differenza di diverse opere precedenti, è un po' in antitesi ai toni filo grotteschi della pellicola, in ogni caso, non l'ho trovato tra le sue opere più originali, né emotivamente potenti, un onesto lavoro che non aggiunge molto ad una grande filmografia.