scene da un matrimonio regia di Ingmar Bergman Svezia 1973
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scene da un matrimonio (1973)

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locandina del film SCENE DA UN MATRIMONIO

Titolo Originale: SCENER UR ETT AKTENSKAP

RegiaIngmar Bergman

InterpretiLiv Ullmann, Erland Josephson, Bibi Andersson, Jan Malmsjö, Gunnel Lindblom, Wenche Foss, Bertil Norström, Anita Wall, Rossana Mariano, Lena Bergman, Ingmar Bergman, Barbro Hiort af Ornäs

Durata: h 2.35
NazionalitàSvezia 1973
Generedrammatico
Al cinema nel Novembre 1973

•  Altri film di Ingmar Bergman

Trama del film Scene da un matrimonio

Una coppia di sposi con due bambine è apparentemente felicissima, ma a poco a poco i due si accorgono di non comunicare più. Lui si fa un'amante, e marito e moglie divorziano. Più tardi, quando entrambi sono risposati, si rendono conto che è possibile iniziare un rapporto su basi nuove.

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Voto Visitatori:   7,91 / 10 (27 voti)7,91Grafico
Miglior attrice straniera (Liv Ullmann)
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Miglior attrice straniera (Liv Ullmann)
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior film straniero
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Voti e commenti su Scene da un matrimonio, 27 opinioni inserite

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Goldust  @  24/05/2022 16:02:10
   8 / 10
Lo sceneggiato televisivo dal quale questa comunque esaustiva pellicola è tratta deve aver esplorato tanti altri punti focali di questa storia d'amore giunta al capolinea, tuttavia anche in questa versione giunge allo spettatore tutto il grande trasporto emotivo e di significati che Bergman mette nei suoi sposini in crisi, non lasciando inesplorato nessun pertugio personale possibile sul perchè ed il per come l'amore è così capriccioso e difficile da addomesticare per distruggere e ricomporre le due figure protagoniste con un'analisi psicologica di rara accuratezza. Non c'è tempo nè spazio per altri luoghi o personaggi, in campo ci sono solo le anime - sempre più in balia degli eventi - di Marianne e Johan: lo stile registico minimal è diretta conseguenza di questa scelta e vengono quindi privilegiati i primi piani, le gestualità di tutti i giorni, gli sguardi carichi d'amore o di rabbia e compassione. Tale lezione tecnica verrà presa ad esempio da molti cineasti ( Woody Allen su tutti ) e resta molto moderna ancora oggi. Certo, tre ore di dialoghi ed immagini fisse non sono uno scherzo neanche per lo spettatore meglio disposto, soprattutto in epoca serial; ma il film resta indispensabile nella filmografia dell'autore e gli interpreti sono davvero eccezionali. Da vedere insomma, almeno una volta.

marcogiannelli  @  02/12/2021 20:44:43
   7½ / 10
Noah Baumbach sarà grato a Bergman per avergli sostanzialmente scritto il film di successo. Sì perché Marriage Story prende proprio spunto da questo megalavoro del regista svedese, come si può intendere anche dal titolo.
La pellicola in realtà era una miniserie tv che però poi fu sistemata e portata con un minutaggio lungo ma accttabile al cinema.
E quello che fa Bergman è raccontare un rapporto reale, vero, umano. Un rapporto inizialmente perfetto che piano piano verrà fuori per quel che è realmente. E un rapporto che poi si evolverà simmetricamente, vedendo prima uno più forte, poi l'altro.
Per farlo si avvale sostanzialmente di due attori (più qualche comparsa) e dei dialoghi scritti come il signore comanda.
La coppia raccontata come un personaggio unico e al centro della sua opera. Non importano nemmeno le figlie, gli amici (se non quelli che mettono la pulce nell'orecchio), i parenti.
A livello registico Bergman non si deve sforzare più di tanto, è un film fatto di dialoghi e di recitazione, teatrale fino al midollo. E' forse questo il difetto maggiore, perdere parte dell'autorialità per lasciare spazio ad un prodotto che è per la tv.
E magari andava tagliuzzato ancora.

Filman  @  30/11/2020 14:32:35
   9½ / 10
Oggi è impossibile pensare alla storia di un matrimonio, nei suoi alti e bassi, senza ripercorrere ciò che SCENER UR ETT AKTENSKAP (Scene da un Matrimonio) ha già scolpito nel tempo, spiegando con pochi set, due attori e fiumi di parole cosa voglia dire un rapporto sentimentale umano, depurato della retorica e delle falsità ma placcato delle più veritiere realtà: l'amore è scontato quando problematico, mentre la sofferenza, il dolore e l'odio sono propedeutici alla convivenza.
E' come se per Ingmar Bergman l'amore non esistesse davvero e fosse solo uno stato emotivo successivo ad una forte presa di coscienza. E' così che due facce rivolte in direzioni diverse possono coesistere nella stessa inquadratura, dopo una profonda analisi interiore che l'autore la rende esteriore dimostrando doti di scrittura dei dialoghi e di direzione degli attori migliore di quasi tutti i drammaturghi del suo secolo.
Questo capolavoro è l'apoteosi di molti connotati del regista.

DarkRareMirko  @  19/08/2020 22:59:03
   9½ / 10
Bergman al suo meglio; c'è anche una versione tv più lunga, che sarei curioso di vedere.

Attori stratosferici, dialoghi sempre perfetti (Bergman dava il meglio di sè nelle sceneggiature, del resto), personaggi tratteggiati in modo tutt'altro che superficiale, grande stile in quella che è forse, tra le migliori se non la migliore rappresentazione della vita/crisi di coppia (Allen e Kubrick devono molto a questo).

Tra i migliori e più famosi film (o sarebbe meglio dire "scavi piscologici") del genio svedese, in questo caso pure premiato al botteghino.

kafka62  @  08/03/2018 19:47:44
   7 / 10
Quello della coppia è sempre stato un tema caro a Ingmar Bergman, presente, ora in forma di commedia brillante ("Una lezione d'amore", "Sorrisi di una notte d'estate") ora in forma di cupo dramma esistenziale ("La vergogna", "Passione"), in gran parte della sua cinematografia. E' solo con "Scene da un matrimonio", però, che il regista svedese affronta questo argomento isolandolo completamente (almeno nelle premesse) dalle altre problematiche filosofiche, sociologiche e religiose (l'esistenza di Dio, i condizionamenti della società, ecc.). Nel film, infatti, lo sfondo (dalle scenografie all'ambiente cittadino) è il più possibile neutro e insignificante, mentre i personaggi secondari non entrano quasi mai fisicamente in scena (dei bambini si odono solo le voci al di là della porta della stanza da letto, l'amico di famiglia e l'amante di Marianne sono fuggevoli ombre all'altro capo del telefono). I due protagonisti vengono in tal modo staccati dal contesto sociale e parentale (che esiste, naturalmente, ma rimane fuori campo) e proposti al pubblico in una solitudine praticamente perfetta, che li rende entrambi delle figure quasi astratte, dei modelli archetipici della condizione della famiglia moderna. Dati questi presupposti, Bergman è in grado di operare uno studio in profondità, una mise en abyme della crisi irreversibile della coppia e dell'istituzione che da sempre la rappresenta, il matrimonio. Bergman sceglie per far questo la via più difficile, partendo da una situazione apparentemente idilliaca (Johan e Marianne sono felicemente sposati da dieci anni, sono benestanti, hanno due figli e filano d'amore e d'accordo) per svelare progressivamente l'inconsistenza e l'illusorietà di questo equilibrio. Il regista invita lo spettatore – voyeur privilegiato dell'indagine introspettiva – a guardare al di là della superficie delle cose (al di là cioè dell'immagine "ufficiale" che i due coniugi offrono di sé nella sequenza iniziale, in occasione dell'intervista concessa a un rotocalco femminile), sotto le pieghe di un rapporto che, dopo un decennio, è come un corpo a prima vista florido e sano, in realtà internamente roso dal cancro. Lentamente, senza farsi prendere dall'ansia di raccontare, o peggio ancora di spiegare, egli fa emergere nei due protagonisti, attraverso un'implacabile analisi comportamentale, condotta con l'abilità (e la freddezza) di un entomologo, paure, insicurezze e insoddisfazioni reciproche. John e Marianne, pur posti di fronte a situazioni "perturbanti" (la scoperta di Marianne di essere incinta, la routine quotidiana avvertita come costrizione, il calo del desiderio sessuale), fanno finta di niente, accantonano inconsciamente le difficoltà (quella che Bergman chiama, con il suo consueto spirito di geniale osservatore della realtà, "l'arte di nascondere la spazzatura sotto il tappeto"), cercano insomma di non pensarci (un po' come capita a chi – e tra questi vi sono anche le persone più colte ed istruite – rifiuta irrazionalmente l'idea della morte), e anche quando i problemi rimossi si presentano inevitabilmente davanti ai loro occhi (la visita della coppia di amici in crisi, l'anziana cliente che vuole divorziare perché nel suo matrimonio non c'è amore) ritengono che a loro "non può succedere", un po' considerandosi come l'eccezione che conferma la regola. Ingenuamente, perché i problemi fatalmente esplodono non appena l'impressione di normalità della vita coniugale si rivela una autosuggestione (ovvero, con le parole di Johan, una "ritualizzazione della sicurezza", dovuta più alle abitudini tranquillizzanti e ai feticci della società del benessere che a un solido convincimento interiore).
"Scene da un matrimonio", diviso in sei episodi che coprono un arco di tempo di dieci anni, ha una struttura inequivocabilmente geometrica (e in un certo senso anche musicale): da una situazione iniziale di equilibrio instabile (nel senso visto più sopra) segue la sua brusca e inaspettata rottura (Johan confessa alla moglie di avere un'amante e la abbandona, sconvolta e crudelmente ferita nell'amor proprio); quindi, dopo sporadici incontri che rivelano in entrambi una profonda angoscia (inutilmente nascosta sotto una maschera di compiaciuta soddisfazione o di cinismo), si assiste al progressivo rovesciamento dei ruoli (ora è Marianne ad essere emotivamente più forte e a permettersi di respingere con indifferenza i goffi tentativi di riconciliazione di Johan), per approdare infine a una situazione di equilibrio simmetrica (e diametralmente opposta) a quella di partenza, che dimostra, più di ogni altra considerazione, come la coppia possa esistere e funzionare solo come antidoto alla solitudine e alla paura della morte, come tacito patto dettato dal reciproco interesse (e possibilmente fuori del matrimonio, visto che i due protagonisti, ormai divorziati e risposati, riescono a ritrovare insieme la pace – ma l'incubo notturno di Marianne rende meno sicura questa conclusione – solo come amici-amanti). Il film non nasconde la sua intenzione, in qualche modo pedagogica, di voler essere un caustico e strindberghiano pamphlet contro l'istituto del matrimonio e contemporaneamente un atto di fede nei confronti dell'amore, ma, soprattutto negli ultimi tre episodi, assurge anche ad autonoma riflessione esistenziale (la quale peraltro, pur se magari di striscio, non manca mai nelle opere di Bergman), con risvolti neppur troppo velatamente sociologici. E' soprattutto il quarto episodio ("Valle di lacrime") ad allargare il campo di osservazione del regista dall'angusto spazio della coppia (che rimane comunque nettamente privilegiato) a quello più ampio dell'inconoscibilità dell'io, della condizione umana (il monologo-confessione di Johan sulla solitudine ontologica dell'individuo) e del rapporto con gli altri (i condizionamenti che l'ambiente sociale e familiare riverberano sulla personalità in formazione del bambino sono al centro della rievocazione memorialistica dell'infanzia da parte di Marianne: "Nel mondo ben protetto in cui Johan ed io abbiamo vissuto con tanta egoistica leggerezza è implicita una componente di crudeltà e brutalità che mi spaventa sempre più quando ci ripenso. La maggiore sicurezza che si acquisisce viene pagata a caro prezzo, e cioè con l'accettazione dell'incessante distruzione della propria personalità. E' facile snaturare fin dall'inizio i tentativi di autodifesa di una bambina in tenera età; nel mio caso avvenne con iniezioni di un veleno la cui efficacia è garantita al cento per cento: la coscienza sporca").
La sequenza in cui Marianne legge il diario al marito (che peraltro è la più bella del film, con quelle vecchie fotografie che scorrono lentamente sullo schermo, creando un effetto di nostalgica rievocazione parzialmente in contrasto con le parole pronunciate fuori campo) mi sembra sancire in maniera inoppugnabile il predominio che in questa pellicola la pagina scritta ha sull'immagine filmica. A differenza di altri film realizzati per il piccolo schermo (un esempio su tutti, "Il rito"), dove Bergman era riuscito a creare delle pregevolissime composizioni plastiche e figurative (giochi di luce, personaggi posti su più piani, ecc.), "Scene da un matrimonio" rivela troppo scopertamente la sua origine televisiva. Lo stile è estremamente semplice ed elementare (macchina da presa immobile, assenza di musica, interi episodi girati in un unico ambiente), senza per contro riuscire a raggiungere il pathos e la stilizzazione dei migliori kammerspielfilm, le inquadrature sono ovvie (primi piani o piani americani dei personaggi da soli, cinepresa alle spalle del personaggio che ascolta, totali con i due personaggi affiancati o ripresi di profilo) e raramente vi sono invenzioni visive (un uso intelligente del fuori campo è fatto solo in occasione della lettura del diario da parte di Marianne, laddove alla fine della sequenza scopriamo – effetto a comprensione ritardata – che Johan si è addormentato e non ha ascoltato nulla di quanto lei ha letto). Alla lunga affiora persino l'impressione di una sovrabbondanza di dialogo (anche se la sceneggiatura è un gioiello di analisi psicologica), ma ciò che mi sembra determinante nel negare al film un interesse e un valore autenticamente cinematografici è il fatto che esso potrebbe funzionare così com'è, senza particolari aggiustamenti, anche come pièce teatrale o persino come trasmissione radiofonica (e con questo non voglio togliere nulla a Liv Ullmann e a Erland Josephson, la cui bravura nel rendere coi loro volti le più diverse e sottili sfumature psicologiche – più la prima che il secondo, ma ciò dipende a mio avviso dalla maggiore complessità del personaggio femminile – è a dir poco strabiliante).

impanicato  @  19/02/2015 01:07:47
   7½ / 10
Ho cominciato a guardare questo film con delle alte aspettative dovute al fatto che amo il cinema di Bergman in tutto e per tutto, specialmente per i temi trattati e la fotografia. Una caratteristica del regista é quella di racchiudere in poco tempo, solitamente in meno di due ore, tutto ció che vuole trasmettere. Stavolta, come in Fanny & Alexander, ci viene proposto un adattamento di una serie tv ed la durata si dilata, arrivando a quasi 3 ore. E' un notevole rischio poiché ci si potrebbe distrarre facilmente, ma cosí non mi é successo poiché il film é dialogato per tutta la sua durata con solo qualche breve silenzio. Bergman si affida, come suo solito, alle parole per descrivere sentimenti e situazioni con ottimi risultati.
Stavolta vengono parzialmente abbandonati i temi cari allo svedese quali "il silenzio di Dio" o lo studio della psiche e si concede di trattare di argomenti piú semplici (cosí potrebbe sembrare) quali l'amore e la famiglia, tanto che molti potrebbero facilmente identificarsi con i due protagonisti. Personalmente é stata una "botta" nel senso che molto di ció che ho visto, l'avevo giá provato, creandomi una sorta di turbativa, un'ansia durante la visione. Lo deve essere stato anche per il regista che potrebbe essere facilmente accostato al personaggio di Johann, lui che ha avuto tante donne e tanti figli sempre trascurati. Ed é proprio lui che paga lo scotto principalmente: da uomo forte, come si definisce, ad uomo che si abbassa a fare gesti meschini e che ritorna bambino. Buona la prova di Erland Josephson. La mattatrice della pellicola peró é Liv Ullmann, sia per la sua eccezionale interpretazione che per il ruolo in sé. Una donna ubbidiente, che non ha mai detto di no, che si ritrova come parte forte del rapporto.
Verso il finale si sprecano certe analisi sulla vita, sull'amore. Forse la vita é il valore che le diamo, né piú né meno. Sicuramente sono tali da suscitare in noi piú di una domanda.

massapucci  @  19/11/2014 23:19:14
   8½ / 10
Gran film! L'ho apprezzato di più alla seconda visione. Interpretazioni sublimi, in particolare quella della Ullman. Sceneggiatura indimenticabile. La regia sarebbe magistrale, come al solito per Bergman, se non fosse che il film risente un pochetto la trasposizione da serie talevisiva quale originariamente era.
Le 2 ore e 35 non si avvertono, nonostante il film consista praticamente solo di dialoghi: già solo tale constatazione "vale il prezzo del biglietto".
La visione, consigliatissima, richiede una certa concentrazione.

Ciaby  @  15/07/2013 20:54:53
   8 / 10
Un'ottima analisi di coppia sorretta da un'interprete meravigliosa (Ullmann) e da una sceneggiatura a dir poco invidiabile che è in grado di alleggerire la lunghezza chilometrica della pellicola - ho visto la versione da 163 minuti, tuttavia- . Ancora una volta Bergman sa il fatto suo.

suzuki71  @  07/01/2013 11:31:11
   9 / 10
Straordinaria perfezione di una sceneggiatura che rende i 200 minuti un bicchier d'acqua....

jannakis  @  19/12/2012 10:32:25
   8 / 10
analisi approfondita e spietata dell'amore, illusione e disillusione lottano fra loro in un succedersi di circostanze a distanze temporali diverse; l'evoluzione e l'involuzione di sentimenti incerti e profondi. I protagonisti sono due coniugi alla ricerca di se stessi e di una verità ineffabile.
film conturbante e avvincente nonostante la durata.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  12/10/2012 21:29:36
   7 / 10
Riduzione cinematografica di uno sceneggiato televisivo dove Bergman racconta dei legami affettivi di una coppia con due figli...
Malgrado la lunga durata il film si lascia seguire con piacere grazie all'ottima sceneggiatura ,che sviscera il 90 per cento dei problemi di coppia, e alla bravura dei protagonisti, soprattutto la Ullmann.
Girato qusi tutto in interni e composto da lungi dialoghi in diversi momenti temporali divisi in capitoli.
Un buon film che lascia angosciati con quella sensazione di impossibilita' di trovare la felicita' coniugale.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  08/07/2012 16:12:57
   8 / 10
C'è poco da fare: Bergman potrebbe girare un film ambientato in una sola stanza riprendendo i primi piani di due attori e risultando più cinematografico di tutti i registi del mondo. A conti fatti, lo ha davvero fatto (ovviamente ho esagerato le condizioni però...): Scene da un matrimonio, osannato da tanti, è effettivamente un film bellissimo. è l'analisi lucida, dolosa e crudele del rapporto coniugale, con vari sprazzi di speranza disseminati qui e là. Bergman dirige sobriamente, ancora più del solito, si nasconde dietro i volti di due attori superbi come Josephson e la Ullmann, li fa amare, odiare, carezzarsi, picchiarsi, parlarsi addossi in continuazione senza mai sembrare di troppo, dividendo il film in capitoli che a modo loro potrebbero essere visti slegati gli uni dagli altri e in maniera autoconclusiva risultando sempre chiarissimi e chiarificatori.
Non credo avesse mai utilizzato cosi tanti primi piani in un solo film fino a quel momento, ne è pieno: la cosa straordinaria è che, pur durando quasi tre ore, non ci si annoia e anzi ci si distrugge insieme alla coppia e si è rapiti intensamente dai loro atti.
Altri tocchi di genio: ridurre i protagonisti a solo due, tranne brevi comparsate di amici di famiglia in crisi e colleghi di lavoro; evocare solo attraverso le parole gli amanti, gli amici, le figlie di questa coppia che in tal modo diventa centro e prigione dell'intero schermo. Si ha la sensazione di entrare in claustrofobia sempre, salvo poi che Bergman ci fa respirare la sua ora d'aria tra un capitolo e l'altro per poi ripiombare in interni borghesi, stantii, anonimi. In una parola: Bergman è un mago, gioca con le emozioni e sa come provocarle nello spettatore. Non c'è altro da dire se non che questo è un film per la televisione poi ridotto al cinema. Anche per questo il suo essere ancora più cinematografico, pur essendo uno dei lavori più teatrali di Bergman, lo fa assurgere ad un valore più alto ancora.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR pier91  @  06/04/2012 14:51:34
   8 / 10
C'è la sincerità brutale che sempre ha contraddistinto Bergman, quella che subisco ogni volta con impotenza ignobile. Mi salva poi una lunga, dolorosa rielaborazione, alla fine della quale riesco (o sono convinta di riuscire) a discernere empatia e criterio. Quindi sì, "Scene da un matrimonio", almeno la versione televisiva divisa in sei episodi, è un'opera sovrabbondante ed esageratamente individualista. Ma è anche un racconto di incomunicabilità umana straordinariamente vivido. Gran parte del merito va all'interpretazione geniale di Liv Ullmann. Quando si copre il volto col lenzuolo, o quando si morde ferocemente la mano, la coscienza della finzione vacilla.

Invia una mail all'autore del commento Elly=)  @  11/08/2011 00:39:42
   6½ / 10
Quella di Johan e Marianne é la storia di una coppia ideale. Non litigano quasi mai, quando lo fanno, lo fanno con ragionevolezza. E allora cos'é che non va nel loro matrimonio? Tutto e niente. Tutte le relazioni sono complicate e la loro vita e innegabilmente basata su un mucchio di meschini compromessi. Due attori straordinari per un film diventato paradigma della vita di coppia e dell'amore.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR jem.  @  20/03/2011 23:23:54
   10 / 10
I rapporti umani sono inspiegabili, specialmente quelli amorosi. Tale inspiegabilità viene descritta perfettamente in questo stupendo capolavoro che mi ha lasciata sbalordita.

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  10/02/2011 23:02:04
   8 / 10
Ho visto questo film con delle aspettative negative. Spaventato dalla durata, ho pensato ad un polpettone noioso, ripetitivo, pieno di elucubrazioni astratte. Invece sono rimasto piacevolmente sorpreso. Il film fin dall'inizio mi ha coinvolto, mi ha appassionato, le quasi tre ore sono volate via in un baleno. Eppure è un film dagli orizzonti molto limitati, estremamente teatrale, esclusivamente concentrato su due personaggi, con il mondo esterno che viene lasciato quasi completamente fuori. Qual è allora il suo segreto?
L'intuizione di Bergman è stata quella, stavolta, di portare direttamente sullo schermo spezzoni di vita realmente sentita e realmente vissuta. E' questo il primo sentimento che si sente a pelle fin dalla prima scena: avere a che fare con gente come noi, anzi potremmo benissimo essere noi al posto loro. I fatti, i sentimenti, le situazioni, il succedersi degli umori e dei pensieri espressi ad alta voce hanno un impatto diretto nell'animo dello spettatore, sono patrimonio ampiamente e profondamente condiviso. Per questo si forma subito empatia con i personaggi e finiamo per identificarci con loro. In pratica vediamo rappresentate le nostre esperienze. Un giovane forse fa fatica a capire, ma una persona di 40-50 anni si sente coinvolta totalmente e in un certo senso si sente in dovere di farsi quasi un personale esame di coscienza, soprattutto riguardo la propria vita affettiva.
Fino a questo film Bergman impostava le sue pellicole su qualche principio etico generale o universale, con questo film scende invece quasi terra-terra e per rendere le esperienze descritte più vere e convincenti, usa a piene mani la sua autobiografia. Mascherate dietro la storia di Johan e Marianne ci sono le esperienze concrete di Ingmar. Sposatosi più volte, aveva avuto diversi figli che vedeva e seguiva di rado. A ciò si aggiungono un sacco di altre storie con varie donne. Insomma, di esperienza di rapporti intensi poi andati male ce ne aveva da vendere. Per questo tutto appare così realistico, spontaneo ed estremamente naturale.
Se dietro Johan c'è in gran parte Ingmar, allora bisogna dire che Bergman è dotato di grandissima onestà intellettuale. Johan è il personaggio che paga il prezzo più alto. Partito con alta considerazione e confidenza in se stesso, si perde per strada e finisce accettando la sua imperfezione e il suo fallimento con grande e coraggiosa filosofia.
Marianne è la proiezione di tutti i rimorsi di Ingmar, le donne che ha amato, illuso e poi lasciato. Il suo percorso è l'inverso a quello di Johan; partita da incertezza, insicurezza, senso di inferiorità, finisce per sentirsi più forte e superiore rispetto al suo ex-punto di riferimento supremo. E' un po' il simbolo dell'emancipazione femminile in pieno svolgimento agli inizi degli anni '70. La sua esigenza al diritto di godere della pienezza del sesso è parallela a quella che reclamavano le donne dell'epoca. La sua vittoria è però apparente e pure lei soffre nel finale di rimpianti, delusioni, paure (espresse in un terribile sogno raccontato).
Il finale ci lascia di nuovo con il dilemma principe di tutto il cinema di Bergman: la perdita di un "centro" che governi la vita umana (il concetto di "Dio"). Tempi difficili aspettano l'esistenza degli uomini che verranno (cioè noi), dovranno arrangiarsi e convivere con l'incertezza e l'insicurezza in tutti i rapporti umani.
Quello di "Scene da un matrimonio" è un realismo didattico, ciò che dovrebbe fare la televisione: farci riflettere su noi stessi, sul nostro modo di vivere, non darci risposte ma spingerci a essere sempre lucidi e consapevoli della strada che percorriamo. E' proprio questa la più grave perdita della nostra epoca; non tanto "Dio", quanto la capacità di conoscere noi stessi, di riflettere e ammettere i nostri mali.
Un'opera come questa nella tv di oggi sarebbe inconcepibile: è questa la nostra più grande disgrazia.

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Ultima risposta 27/08/2012 19.45.51
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paride_86  @  16/07/2010 03:26:18
   6½ / 10
Ridotto a quasi tre ore da uno sceneggiato Tv che ne durava circa due in più, "Scene da un matrimonio" è senz'altro un film introspettivo e intelligente nelle intenzioni.
Detto questo, almeno dal mio punto di vista, non è privo di difetti, innanzitutto formali: la scelta di non mostrare quasi mai personaggi diversi dai protagonisti è sicuramente calcolata e volta a focalizzare il nucleo del discorso sul loro rapporto, ma sommata alla lunga durata e all'assenza di una vera colonna sonora finisce per stancare lo spettatore; il passare degli anni (10 in tutto), inoltre, non viene evidenziato dal trucco o dal modo di vestire degli attori e questa, a mio avviso, è una pecca molto grave perché la maturazione dei personaggi e la loro evoluzione personale è fondamentale nella vicenda.
Veniamo poi ai contenuti:

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Senza dubbio i protagonisti sono grandi attori, specialmente Liv Ullmann, che in questo film ha dato una felice interpretazione di un personaggio complesso e sfaccettato.
Un merito che va riconosciuto al film è senza dubbio l'aver parlato con schiettezza dell'importanza del sesso nella coppia, e di averlo fatto cerebralmente, senza immagini pruriginose.
Tuttavia ho molte riserve su questo film e per quanto ho detto prima non lo considero uno dei migliori risultati di Bergman.

Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  25/07/2009 13:00:18
   7 / 10
“Scene da un matrimonio” è, a mio avviso, uno dei film meno riusciti di Ingmar Bergman per ragioni che attengono in massima parte al profilo formale. E già, perché sul nucleo tematico di base nulla da eccepire: ottima l’idea di tracciare un percorso di coppia a partire dal principio della crisi coniugale, per poi seguirne lo sviluppo fino alla svolta positiva: la prova provata del teorema, secondo cui il matrimonio, con tutte gli annessi riti, abitudini, regole, pianificazioni ed eventi ciclici non può che rivelarsi come la proverbiale tomba dell’amore.
Il film parte benissimo con il confronto a quattro: nella cornice di una perfetta casa borghese (ove la disposizione degli oggetti, dei mobili e delle suppellettili richiama quel “formale” senso di sicurezza che ammanta, come una patina artificiosa, il nucleo familiare cui appartengono) si mette in scena una cena invelenita dalla bile che, tratto tratto, affiora dai discorsi acrimoniosi di due coniugi prossimi al divorzio. Di qui principia la china discendente del rapporto tra Marianne e Johan, i quali perverranno progressivamente alla presa di coscienza dell’inaridimento della loro vita di coppia, con conseguente separazione. Ma, proprio a questo punto, interviene il colpo di scena superbamente congegnato da Bergman: quella che sembrava una passione ormai morta e sepolta si scopre, invece, essere un sentimento ancora vivo, che aveva soltanto smarrito il suo nitore e il suo respiro nello spazio angusto e asfittico di quella gabbia costituita dal rituale cattolico-borghese del matrimonio, dismesso il quale i due ex (galeotti/)sposi hanno potuto ritrovarsi e riassaporare la bellezza di ciò che sembrava essere perduto per sempre. Così, dall’inquadratura dei due volti l’uno dietro l’altro, con gli occhi rivolti in direzioni divergenti, si passa al primo piano degli stessi ma questa volta l’uno di fronte all’altro: segno di una riconciliazione simboleggiata dallo sguardo dell’amante che si perde nel reciproco.
Dunque, un attacco diretto e duro all’istituzione, a cui viene dato scacco con l’esaltazione dell’esatto –e riprovevole, secondo il senso comune- opposto: l’unione non formalizzata, che si traduce in una ossimorica dis-unione coesiva, fondata sulla libertà e sulla assenza di vincoli.
Discorso indubbiamente encomiabile, ma che poteva essere esplicitato con meno lungaggini e parentesi discorsive: quasi tre ore di inquadrature fisse e movimenti lenti della mdp, con una inclinazione ad una verbosità pleonastica, rendono il risultato finale apprezzabile, per quanto mi riguarda, soltanto dal lato dei contenuti.
Si tratta, ad ogni buon conto, di un film da vedere, perché fa riflettere molto.

wega  @  27/09/2007 21:14:25
   5 / 10
non mi è piaciuto..il tema non mi interessa..e l'accondiscendenza del personaggio della ullman addirittura fastidiosa.

3 risposte al commento
Ultima risposta 25/07/2009 17.11.21
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Gruppo COLLABORATORI Harpo  @  09/09/2007 18:58:55
   9 / 10
Il solito grande Bergman, queste volte alle prese con la vita di due coniugi.
E' straordinario vedere come questo regista sia riuscito a scandagliare tutti gli aspetti della vita umana, sempre con magistrale attenzione.

Beefheart  @  22/06/2007 22:42:03
   7½ / 10
Profonda e riuscita rappresentazione, originariamente nata come sceneggiato televisivo, di un rapporto matrimoniale apparentemente ottimale ed effettivamente difficile e travagliato. Una coppia medio borghese, Johan e Marianne, marito e moglie, ambedue sulla 40ina, due figlie piccole, due professioni gratificanti, con tutti i requisiti per una vita serena e soddisfacente, si trova, negli anni, ad attraversare fasi altalenanti tra momenti di crisi ed arditi riavvicinamenti. La storia, narrativamente divisa in sei capitoli, inizia nel momento in cui i due, sull'onda dell'idillio iniziale, si accomodano sull'autoconvincimento del reciproco amore eterno ed inossidabile e si interrogano perplessi sui fallimenti sentimentali delle coppie di loro amici. Via via, in quasi tre ore di film, la sintonia tra Johan e Marianne si fa sempre più logora sino a lasciare in evidenza contrasti, insofferenze ed insanabili spaccature, ma senza mai scomparire del tutto. Il tutto risolto principalmente con lunghi dialoghi, efficaci, semplici e lineari come l'intera sceneggiatura; lunghe inquadrature fisse, primi piani, fotografia essenziale ed ottima recitazione. Girato praticamente tutto in ambienti interni, senza commento musicale, incentra tutta l'attenzione sulla credibile riproduzione di quelle incontrollabili dinamiche distruttive che possono compromettere una vita di coppia ma anche far crescere e maturare. Nel complesso direi che 155 minuti di Bergman che parla di crisi matrimoniale, di primo acchito, potrebbero sembrare tantini, ma l'estremo realismo, favorito dalla solita attenta analisi del fenomeno da parte del regista, ne fa comunque un'opera godibile.

ds1hm  @  28/03/2006 14:47:29
   8½ / 10
che dire di "scene da un matrimonio". Ho guardato spesso la versione cinematografica rimpiangendo quella televisiva (non la conosco ma la immagino stupenda). Forse è solo una fissazione mentale della mancanza e della privazione di scene e di dialoghi ma quando ho confrontato il "Fanny & Alexander" integrale con la versione cinematografica di 180' quest'ultima mi è sembrata un delitto (e la stessa cosa la penso per scene da un matrimonio). Mi viene subito da riflettere su questa cosa:versione televisiva. E' il mio personalissimo sogno vedere un giorno i grandi cineasti slegati dall'incubo botteghino e dedicarsi alla realizzazione di progetti sperimentali e/o di approfondimento di tematiche che al cinema sarebbero sicuramente ignorate ma che su qualche (ipotetica televisione di cultura) troverebbero pieno ricnoscimento.
in riferiemnto a scene da un matrimonio credo sia la prima volta che Bergman si svincola da personaggi creati dalla sua mente per rappresentarci persone prese dalla realtà, persone borghesi del quotidiano inchiodate come tutti noi alla loro identificazione attraverso le loro abitudini.
L'analisi del matrimonio credo trovi piena sintesi in un titolo delle sei puntate che ricordo di aver letto da qualche parte in passato: il titolo era "L'arte di nascondere la spazzatura sotto il tappeto". Attualissimo anche se oggi sarebbe interessante analizzare la vita di coppia influenzata e direi funestata dai tanti elementi esterni di difficile analisi e di imprevedibili riflessi sentimentali ed umani.

Invia una mail all'autore del commento damix  @  20/03/2006 15:45:04
   5 / 10
non è stato il massimo a mio avviso...ok daccordo, il tema è interessante e tutto quanto...però TROPPO LENTO E NOIOSO...tuttavia credo ke sia un film che faccia riflettere....

P.S. oltre che lento e noioso è pure lungo!!!!

10 risposte al commento
Ultima risposta 28/03/2006 18.14.23
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regista  @  18/02/2006 23:59:43
   10 / 10
sei grande ingrid

2 risposte al commento
Ultima risposta 18/03/2006 14.10.15
Visualizza / Rispondi al commento
Crimson  @  31/10/2005 00:20:10
   6 / 10
Una cena a quattro: due coppie di coniugi benestanti che discutono del più e del meno. Sotto la patina di felicità e complicità pian piano si manifestano orrori e rinfacci mostruosi tra la coppia non-protagonista (la mitica Bibi Andersson e l'attore che interpreta il vescovo in Fanny&Alexander, di cui non ricordo il nome) fino a sfociare nelle lacrime. Questa scena magistrale è tra le primissime di questo film che sin dall'inizio punta dritto e senza fronzoli al tema che lo caratterizza per l'intera durata in modo ossessionante: la crisi del matrimonio. Dalla scena appena riportata in poi ci sono praticamente solo e sempre dialoghi tra i due protagonisti (la bravissima Ullmann e Erland Josephsonn), quasi tutti in camera da letto.
Trattandosi di una riduzione di uno sceneggiato, il film ha uno stile quasi "documentaristico". A mio giudizio interessante, ma ho faticato moltissimo nel vederlo. Ci tengo a sottolineare come il tema sia sviluppato alla perfezione, in modo assolutamente maniacale (a momenti si vive il rapporto giorno per giorno in tutte le più incredibili - e apparentemente di poco conto- sottigliezze) ma alla lunga personalmente mi ha davvero stancato.
Il tema trattato è molto interessante, ma formalmente preferisco analizzarlo in un contenitore più dinamico e scorrevole, e soprattutto più breve nella durata!
Per questo sul tema ho preferito "Sete" o "Donne in attesa", che trattano il tema in forma diversa, meno drammatica e meno particolareggiata, ma con la stessa efficacia a mio avviso.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Antoniusblock  @  16/09/2005 18:08:52
   10 / 10
Altro capolavoro di Bergman.

Mpo1  @  09/01/2005 22:55:31
   9 / 10
Questo film è la riduzione di uno sceneggiato televisivo in 6 puntate, adattato per il cinema dallo stesso autore. Proprio a causa della sua origine televisiva, all'inizio ero un po' prevenuto su questo film ma ho dovuto ricredermi: si tratta di un altro grande film di Bergman. Gli elementi televisivi si vedono chiaramente: è meno curato formalmente rispetto ad altri film di Bergman, è girato prevalentemente in interni e basato quasi totalmente sul dialogo. Ma è davvero interessante. Attraverso l'impietosa analisi della crisi di un matrimonio, il film tratta della difficoltà dei rapporti interpersonali, di come sia difficile capirsi, di come sia impossibile essere felici.



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