Pubblicato il 30/10/2012 08:43:24 da
peucezia
Non se ne può più di questi film demenziali americani parolai dove trionfa l'amicizia finto cameratesca, il sesso a gògò, la droga all'erba e il rock and roll!
L'anno scorso esce un film australiano
TRE UOMINI E UNA PECORA, insulso titolo italiano dell'originale "A few best men" laddove per best man si intende in inglese chi fa da testimone alle nozze (generamente migliore amico o fratello dello sposo)... well, in questo film di stampo più anglosassone la perfettibilità di un matrimonio pseudotradizionale veniva "disturbata" dai poco convenzionali amici del nubendo. Tra gli interpreti, nel ruolo della sorella della sposa, Rebel Wilson, attrice sovrappeso che nella storia faceva di tutto per farsi notare e non al suo meglio...
2012: gli USA che al cinema, come i cinesi per le scarpe, copiano di tutto, per cercare di essere originali ci fanno una versione al femminile: "Bachelorette" che oltre al significato di donna che avrebbe superato la canonica età "da marito" sta più o meno per addio al nubilato "tradotto" da noi
THE WEDDING PARTY: assurdo parto di quasi un'ora e mezza (meno male!) fatto di parole in libertà e tutto quanto di più sconvolgentemente triviale abbia prodotto il cinema americano dai tempi di
PORKY'S e del più "nobile"
ANIMAL HOUSE.
Torna Rebel Wilson in versione meno trasgressiva e Kirsten Dunst, donna in carriera magra, bella e dolorosamente single perde clamorosamente cinquanta punti nel suo borsino personale.
Auspichiamo uno sciopero di massa da parte degli spettatori del globo terracqueo davanti a questo pseudo proposte del cinema stelle e strisce.
E quasi quasi vale più la pena prendere un biglietto per uno dei nostri film italici depressi e depressivi...
Ed anche quest’anno ci siamo: dal 9 al 17 novembre avrà luogo il Festival Internazionale del Film di Roma, il più amato dai Veltroni di tutta Italia.
Quest’edizione si presentava densa di rinnovamento: finalmente si è deciso di svecchiare il Festival, e quindi via Gianluigi Rondi, l’uomo bicentenario, e via Piera Detassis, più attenta all’aspetto patinato che alla sostanza delle cose! Vogliamo volti giovani per un festival giovane, gente fresca, carina e brillante, perché il cinema è anche questo, eppoi in tempi di rottamazione meglio stare al passo.
Spazio ai giovani, dicevamo: giusto quindi che a rimpiazzare Rondi sia quel giovincello di Paolo Ferrari (che era già anziano quando stalkerava giovani casalinghe a colpi di
fustini Dash) e che il posto di Direttore Artistico passi dalla Detassis a quel novellino esordiente di Marco Müller. Ora, io non lo so se questo tizio è lo stesso che quando era Direttore Artistico del Festival di Venezia diceva peste e corna del Festival di Roma perché gli pestava i piedi (magari mi confondo e invece si tratta di un centromediano del Bayern Monaco), ma a sentire le sue ultime dichiarazioni pare che si sia ricreduto e adesso il festival di Roma gli piaccia un casino.
“
Sono andato a ripetere in giro per il mondo che a Roma può nascere un Festival collocato a metà strada tra i grandi eventi di fine estate e gli appuntamenti di metà inverno. Un Festival che si apra anche al mercato e che esista senza intralciare la strada agli altri grandi eventi internazionali”.
Chissà le reazioni in giro per il mondo, quando hanno sentito ‘sta fregnaccia.
Ma dicevamo del programma del Festival. Uno dei Cavalli di battaglia di Müller, quando gli fu affidata la direzione artistica del Festival, era la sicura presenza di
Tarantino e del suo “
Django unchained”. Ovviamente la sua assenza dal programma del Festival ha quindi deluso molto: vuoi vedere che niente niente quella di Müller era la classica sparata a effetto per accalappiare sponsor?
“
In qualche modo Django calcherà il palco dell'Auditorium”, ha dichiarato Müller. “
Tarantino sta organizzando una cosa fantastica. Lo saprete tra dieci giorni”. Mhm, anche questa mi puzza. Io il dialogo Müller-Tarantino me lo immagino così:
“Pronto Quentin, sono Marco!”*
“Marco chi?”
“Marco Müller!”
“Il centromediano?”
“No, quello è mio cugino. Io sono il Direttore Artistico del Festival Internazionale del Film di Roma, e vengo qui ad offrirti l’opportunità di presentarci in anteprima mondiale “Django unchained”!”
“Eli, se è un altro dei tuoi scherzi del cazzo guarda che non è aria, mi stavo ammazzando di risate con “
W la foca” e m’hai interrotto. Ah, a proposito, nel prossimo film ci piazziamo un tricheco”.
“No Quentin, non sono Eli Roth, sono proprio Marco Müller ed io ero serio…Cioè, no, scherzavo, non pretendo proprio proprio che tu presenti a Roma il tuo ultimo film in anteprima, basterebbe anche solo che tu ce lo facessi proiettare…Anche solo il trailer…Insomma un pezzettino…”
“Ma voi non siete quelli che ogni anno proiettano un’anteprima del nuovo film di “
Twilight”?
“Ehm, sì.”
“No.”
“Quentin ti prego, in nome della nostra lunga amicizia, io ‘sta cosa già me la so’ venduta, e poi guarda che io sono mezzo tedesco ma non me la sono mica presa per “
Bastardi senza gloria”, eddai, fammi ‘sto favore!”
“Senti, se ti levi dalle palle in fretta ti mando un cartonato ed una locandina autografata da Franco Nero”.
“Oh grazie sei gentilissimo come al solito!!! Sei sempre un mito per me, pensa che io c’ho la suoneria del cellulare col fischiettio di
Kill Bill! Ciao eh, grandissimo! Grandissimo!”
“Ciao, sì, ciao”.
Ah, dimenticavo. Müller ha avuto un’altra grandissima pensata: da quest’anno in concorso a Roma solo anteprime internazionali. Ora, magari Al Bano si rifiuta di portare a Sanremo un pezzo inedito e secondo Müller
Spielberg o Tarantino dovrebbero portare ad un Festival periferico, nuovo e di rilevanza internazionale pari a zero il loro nuovo film in anteprima internazionale? Ovviamente no. Ed ecco infatti che il programma del Festival è prevalentemente popolato da film di autori sconosciuti o dati per scomparsi, che il film di apertura sia affidato a Bakhtyar Khudojnazarov, autore del pur pregevole “
Luna Papa” datato 1999, e quello di chiusura al regista catalano
Cesc Gay, il cui film più noto è il mediocre “
Krampack”.
Certo qualche motivo d’interesse non manca (ma su 59 film sarebbe abominevole il contrario): ad incuriosire sono soprattutto il ritorno di
Walter Hill con “Bullet to the head”, con
Sylvester Stallone,
Jason Momoa e
Christian Slater, “The Gang of the Jotas”, di Marjane Satrapi (già autrice dell’incantevole
Persepolis) e l’ultimo film di
Takashi Miike (in concorso), “Lesson of the evil”. Poi vabbe’, c’è un film di Roman Coppola, c’è il nuovo
Michele Placido che s’è già beccato bordate di fischi a Taormina, c’è
Larry Clark e c’è
Pappi Corsicato, cui incomprensibilmente qualcuno continua a dare soldi per girare film dopo quella vaccata inguardabile de “
Il seme della discordia”.
Ora, magari mi sbaglio, magari il coraggio di Müller sarà premiato e da questo Festival usciranno fior fior di capolavori che faranno la fortuna del cinema italiano ed internazionale: è possibile, e spero francamente di ricredermi. Però poi se la cosa migliore del Festival rimarrà il cartonato di Tarantino non prendetevela con me: io vi avevo avvisato.
C’è rimasto ben poco da esultare, e anche il ricordo nostalgico dell’Italia liberata, del valzer e del caffè cantato da De Gregori,
non basta più a consolare l’orgoglio ferito.
Tre escort vestite nelle tinte del tricolore sono posizionate una di fianco all’altra, pronte a ricevere le prestazioni di una classe politica indifferenziata e sodomita. E’ questa l’immagine più rappresentativa a cui una commediola impregnata di populismo come
Viva l'Italia ricorre per descrivere il malcontento contemporaneo. Poco importa che la casualità abbia indicato negli attori, chiamati ad interpretare la vergogna delle raccomandazioni, il volto di Raoul Bova, prestato da quando è in fasce ad una professione che gli è congenitamente inadatta, della tuttofare Ambra Angiolini, sprovvista di un particolare sapore ma aggiunta come il prezzemolo abbondantemente in ogni piatto, e di Alessandro Gassman, il cui cognome ogni volta ci ricorda quanto siano frequenti i casi di omonimia nel nostro paese. E poco importa se Massimiliano Bruno prima si schiera dalla parte dei precari e con loro si commuove, ma poi rivendica la dignità di chi si è fatto strada con le spintarelle; se prima si accanisce brutalmente con Michele Placido affidandogli lo spietato ritratto di un Onorevole ammiccante al Cavaliere, malato e abbandonato da tutti, e poi (se la statuetta del Duomo avesse colpito più su?) lo converte rendendolo Grillino, nella versione più ottimista e caritatevole. L’Italia in fondo è così, patria del voltagabbanismo e misto di ipocrisie e connivenze, e di ideali venduti al miglior offerente.
Peccato che nel calderone poliprospettico, che vorrebbe essere la giustificazione di una situazione attuale che solo i libri di storia postumi potranno sedare, le (a volte brllanti) punte grottesche rendano grotteschi e superficiali anche i problemi per cui ci siamo inginocchiati, buttando tutto in caciara allo stesso modo con cui il
Mutande pazze di Roberto D’Agostino si approcciava alla seria minaccia del neonato potere televisivo.
Finendo, nel caos generale mascherato dalla risata, per assolvere tutti.
Con l'arrivo dell'autunno il cinefilo italiano va in fibrillazione e inizia a consultare riviste e siti di cinema per programmare la propria stagione davanti al grande schermo.
Di seguito vi proponiamo un breve elenco di alcuni tra i film più interessanti in uscita nei prossimi mesi (cliccando sulla data verrete reindirizzati al trailer), sperando che la crisi e l'aumento del prezzo del biglietto (nonché di cibarie e bevande varie) non funga da deterrente per tenervi lontani dai tanto amati cinema.
Iniziamo parlando di
Amour di Michael Haneke, in uscita nelle sale proprio da questo week end. Vincitore dell'ultima edizione del Festival di Cannes, il regista austriaco ci parla dell'amore fra due colte persone ultraottantenni (interpretati da
Jean-Louis Trintignant e
Emmanuelle Riva). Amore che viene messo alla prova dopo che un ictus colpisce la donna, e che deve fare i conti con il dolore per la malattia e l'impotenza nei confronti della morte. Il film ha ricevuto giudizi entusiastici da parte di critica e pubblico e afferma, se mai ce ne fosse bisogno, il talento di un autore reduce da numerosi successi (fra cui
Il nastro bianco e
Niente da nascondere).
Amour di Michael Haneke
Rimanendo in tema Cannes, nei prossimi due mesi potremo godere di altri 4 film che hanno calcato la kermesse francese.
Il
31 ottobre uscirà
Oltre le colline, il nuovo film di Cristian Mungiu (già vincitore del festival nel 2007 con
4 mesi, 3 settimane e 2 giorni), che si occuperà di fede ed esorcismi seguendo la tragica vicenda di una donna in conflitto con il demonio.
Poi toccherà a Vinterberg (regista del bellissimo
Festen e fondatore del Dogma 95 insieme a Von Trier) con il suo
Il sospetto (
22 novembre), alle prese con una società gretta e crudele pronta a giudicare un uomo accusato di pedofilia ingiustamente.
Mads Mikkelsen ne Il sospetto
A sdrammatizzare le atmosfere sin troppo serie dei tre film sopra citati ci penseranno due autori come Wes Anderson e Ken Loach che presenteranno rispettivamente
Moonrise kingdom (
5 dicembre) e
La parte degli angeli (
13 dicembre). In entrambi i film la natura sarà lo sfondo di sogni, amori e speranze.
Passando da un festival ad un altro non possiamo non menzionare i film di Venezia 69.
Dopo che la sua data di uscita è stata spostata un paio di volte (prima il 14 dicembre poi il 20 dello stesso mese) la nuova fatica di Terrence Malick ha perso una data ufficiale e probabilmente verrà posticipato al prossimo anno.
To the wonder, che parla delle difficoltà di una coppia nel portare avanti un rapporto, dovrà dunque aspettare chissà quanto per essere visto dai fan del regista.
Malick, che dopo
The new world e
The tree of life sembra aver trovato nuovi stimoli, è già al lavoro su altri tre progetti: due film interpretati da
Christian Bale e un documentario sulle origini dell'universo; peccato però che To the wonder non abbia troppo impressionato gli addetti ai lavori (e anche il pubblico della Laguna) rivelandosi come uno dei film meno riusciti del regista. Ad ogni modo un nome così altisonante non può essere escluso da questa lista.
Olga Kurylenko e Ben Affleck in To the wonder
Dopo i già distribuiti
Reality,
E' stato il figlio e
Pieta, Venezia 69 ci proporrà poi un film di Robert Redford (
The company you keep –
20 dicembre), un thriller incentrato sulla ricerca della verità, e
Love is all you need (
21 dicembre), il nuovo film di Susan Bier, la bravissima regista danese vincitrice dell'oscar 2010 con
In a better world, qui alle prese con una storia d'amore estrema.
Allontanandoci dalle atmosfere festivaliere non vediamo l'ora di ammirare nuovamente Clint Eastwood impegnato come attore, questa volta in un film sul baseball, dove interpreterà uno scopritore di talenti con qualche problema di vista:
Di nuovo in gioco (questo il titolo italiano della pellicola) uscirà da noi il 29 novembre, qui potrete pregustarne il
trailer.
Clint Eastwood recita insieme a Justin Timberlake in Di nuovo in gioco
Da tenere d'occhio anche
La collina dei papaveri, il secondo film di Goro Miyazaki (figlio del più famoso
Hayao), che uscirà in Italia per un solo giorno, il
6 novembre, per poi essere distribuito direttamente in homevideo. Il nuovo film d'animazione dello studio Ghibli affronterà il tema della guerra tanto caro al Giappone, così come fecero
Una tomba per le lucciole e
Porco Rosso.
A
dicembre ci sarà spazio anche per il tanto atteso
Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato, diretto da Peter Jackson, che i fan dei mondi creati da
Tolkien aspettano da troppo tempo.
Da un altro romanzo sarà tratto
Vita di Pi (
20 dicembre), che Ang Lee dirige dopo che il progetto è passato nelle mani di
Shyamalan, poi di
Alfonso Cuaron e infine di
Jean-Pierre Jeunet. Il film si rifà all'omonimo testo di
Yann Martel e segue le avventure di un ragazzo disperso nel mare su una scialuppa di salvataggio insieme a un orango, una iena, una zebra e una temibile tigre del Bengala.
Leonardo Di Caprio per la prima volta diretto da Tarantino in Django unchained
Poi, visto che a Natale i nostri cari distributori italiani preferiscono lasciar spazio alle “vacanze di qua e di là” con i vari Christian De Sica e Massimo Boldi, dovremo aspettare un mesetto prima che da noi riesca finalmente ad arrivare il nuovo film di Quentin Tarantino:
Django unchained (
17 gennaio).
Preparate il portafogli, buona visione.
Povero Ridley Scott. Il tuo “
Prometheus” è squilibrato, modesto, ridicolo sotto vari punti di vista. Non funzionano né i personaggi né alcune situazioni. Ma di questo hanno già parlato legioni di critici e spettatori. Però. A parte questo. In nome di quale ragione commerciale, Ridley, hai ritenuto di poter sporcare la faccia a uno dei tuoi due unici veri capolavori, accettando la sceneggiatura di Jon Spaihts e Damon Lindelof, che è così spudoratamente
reazionaria? Non è la prima volta che fai un film criptatamente politico. Ma doveva essere proprio così biecamente nostalgico verso gli Stati Uniti di Bush? “Prometheus” è repubblicano sino al midollo. E, in questo momento, anti-Obama. Ottuso, gretto, è stato concepito da menti che stanno agli Stati Uniti progressisti come il Kowalski all’inizio di "
Gran Torino” sta al Kowalski che si immola nel finale del film di Eastwood del 2008. Anti-democratico, “Prometheus” è tristemente anti-idealista. E anti-“
Avatar”.
Di solito mi guardo dal manicheismo: ma in questo caso voglio essere manicheo. "Avatar" è altrettanto politico di “Prometheus”. Ma “Prometheus”, oltre a essere fatto parecchio male, è intriso di negatività e pessimismo, e – ciò che è peggio – se ne compiace. “Avatar” è un film meraviglioso, innovativo se non altro tecnicamente, ma soprattutto regala un sentimento di speranza coniugato a valori molto importanti*: “Prometheus”, oltre a utilizzare il 3D in maniera completamente insulsa (il 3D che proprio “Avatar”, nel bene e nel male, ha sdoganato) deliberatamente distrugge ogni speranza, e nemmeno ci regala la soddisfazione di spiegarci perché.
Elizabeth Shaw e Charlie Holloway sono descritti come due ingenui idealisti che credono nelle favole: l’universo là fuori non è popolato da alieni che potrebbero insegnarci quell’armonia che la genìa umana ha perduto, ma bramano solamente di distruggerci come fossimo un fastidioso formicaio. “Prometheus” si rivolta sadicamente contro quello spettatore che, credulone, si era illuso di poter contare su una trama diversa, ricca di chissà quali rivelazioni, dopo quell’incipit prometeico che rimane irrisolto e avulso rispetto agli sviluppi della trama. “Prometheus” è un film oscuro, che è rimasto fermo al cinema di fantascienza degli anni ’50: in piena guerra fredda, quando gli alieni erano cattivi e ci volevano distruggere. Il che, oggi, equivale un po’ a fare un film western in cui gli indiani siano collezionisti di scalpi: potrebbe funzionare solo come parodia (ciò che nella fantascienza fece Tim Burton con “
Mars attacks!”). E non mi si dica che pure “
Alien” era sostanzialmente fermo a quel tipo di fantascienza, perché in "Alien" non c’era alcuna intelligenza nemica che volesse la nostra distruzione, e la denuncia sottesa al film era piuttosto contro le logiche distorte che presiedono spesso le scelte compiute dagli uomini: la Compagnia aveva tenuto l’equipaggio all’oscuro dello scopo della missione (introdurre l’alieno a bordo, per fini militari). “Prometheus” deliberatamente ignora oltre quarant’anni di cinematografia hollywoodiana, da “
Piccolo grande uomo” ad “Avatar” passando per “
Incontri ravvicinati del terzo tipo” e
Balla coi lupi.
Ne esce un film che, ad ogni modo e comunque la si pensi, resta squilibrato, modesto, ridicolo e patetico. Non so come fare per accontentarmi del baraccone. Non so che farmene, di questo baraccone. Ma so che, se Bush non avesse vinto le elezioni del 2000 (coi brogli in Florida), probabilmente il XXI secolo sarebbe cominciato in modo diverso. E di questo stiamo ancora scontando tutti le conseguenze. Un film non è mai solo un film. Specie se è un blockbuster.
* sul mio alto concetto di Avatar rimando al mio
commento al film