cesare deve morire regia di Vittorio Taviani, Paolo Taviani Italia 2012
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cesare deve morire (2012)

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locandina del film CESARE DEVE MORIRE

Titolo Originale: CESARE DEVE MORIRE

RegiaVittorio Taviani, Paolo Taviani

InterpretiCosimo Rega, Salvatore Striano, Vincenzo Gallo, Giovanni Arcuri, Juan Dario Bonetti, Fabio Rizzuto, Rosario Majorana, Francesco De Masi, Gennaro Solito, Vittorio Parrella, Pasquale Crapetti, Francesco Carusone, Fabio Cavalli, Maurilio Giaffreda

Durata: h 1.16
NazionalitàItalia 2012
Generedocumentario
Al cinema nel Marzo 2012

•  Altri film di Vittorio Taviani
•  Altri film di Paolo Taviani

Trama del film Cesare deve morire

Una docufiction che segue i laboratori teatrali realizzati dentro il Carcere di Rebibbia dal regista Fabio Cavalli, autore di versioni di classici shakespeariani interpretate dai detenuti. Si seguono le loro prove e la messa in scena finale del "Giulio Cesare", ma anche le vite dei detenuti nelle loro celle.

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Voto Visitatori:   7,74 / 10 (42 voti)7,74Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
Miglior filmMigliore regia (Vittorio Taviani, Paolo Taviani)Miglior produttoreMiglior montaggioMiglior sonoro
VINCITORE DI 5 PREMI DAVID DI DONATELLO:
Miglior film, Migliore regia (Vittorio Taviani, Paolo Taviani), Miglior produttore, Miglior montaggio, Miglior sonoro
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Voti e commenti su Cesare deve morire, 42 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Edgar Allan Poe  @  16/01/2022 20:42:20
   8 / 10
Gran bel film dei Taviani, che a mio avviso riescono perfettamente nel loro intento. Personalmente l'ho trovato coinvolgente e parecchio interessante, oltre che ben realizzato nel complesso. Diciamo che, secondo me, i premi vinti hanno decisamente senso.

Invia una mail all'autore del commento Sgabroz  @  30/07/2015 15:41:33
   5 / 10
Come osservare una fiat duna di quindici anni. Freddo, per nulla appassionato ne appassionante. L'idea non è stata supportata dal lavoro attoriale.

ValeGo  @  18/01/2015 20:34:09
   8½ / 10
Intenso. Ben recitato. Drammatico. Uomini comuni che si trasformano in uomini d'onore, in personaggi storici, in eroi. Per loro attimi di gloria, le luci del palcoscenico. Poi, quando cala il sipario, si ritorna alla vita di tutti i giorni. Quelle 4 note della colonna sonora sono struggenti.
"Aver conosciuto l'arte mi ha fatto vedere questa cella come una prigione".
Mi ha toccato l'anima.

_Hollow_  @  11/07/2014 20:18:11
   8 / 10
Un bel film, ben girato, con una buona fotografia e un tema interessante. Al contrario di altri non mi ha affatto annoiato, anzi. Anche perché sono 76 minuti di film, sarebbe alquanto grave.
Mi sembra un'ottimo misto di cinema e teatro, magari non pari ma molto vicino a lavori come i due Edoardi terzi (che ho detto??!), Rosencrantz e Guildenstern ecc.
Alla fine, come fatto notare da qualcuno, Shakespeare è così "perfetto" che si presta ad essere rivisitato in chiave moderna e addirittura dialettale.
Se piace il genere, sicuramente non annoierà. Certo che se non piace il teatro o la sua rappresentazione cinematografica, andarsi a vedere "Cesare deve morire" non è una grande idea. Anche se merita.

I lati negativi, secondo me, sono un po' legati alla sua essenza di "documentario". Perché finché gli attori/carcerati vengono ripresi in maniera neutra come un normalissimo film, tutto va liscio. Anche se, di tanto in tanto, vengono fatti uscire con commenti un po' superflui (e un po' mal recitati per uno standard cinematografico) sull'analogia del Giulio Cesare con la loro storia personale, che magari sarebbe stato più intelligente velare e lasciare da percepire all'intelligenza dello spettatore.
Altre volte, vi sono veri e propri sguardi in macchina che lasciano un po' il tempo che trovano, dove con tono evidentemente teatrale viene espressa una qualche verità un po' banale.

L'eccezione è un po' il finale, in cui riprendendo e concludendo i primi minuti viene espresso il risultato dell'esperimento teatrale nelle vite dei carcerati: "Da quando conosco l'arte, questa cella è una prigione".
Colpendo ancora una volta (succede già in un'uscita del carcerato-Cesare) in modo un po' velato l'istruzione pubblica (che quell'arte non l'ha fatta conoscere) e convalidando la tesi del loro regista Fabio Cavalli secondo cui alla base dell'uomo vi è una necessità di espressione.

Bravi i fratelli Taviani!

Gruppo COLLABORATORI Compagneros  @  27/06/2014 19:38:15
   8 / 10
Shakespeare entra in carcere. Fantastico sentire il Bardo recitato in dialetto. Il risultato è un film bellissimo. La frase finale vale il prezzo del biglietto: "Da quando ho conosciuto l'arte, questa cella è diventata una prigione." L'arte, la bellezza, come cura, antidoto, e via di recupero e riscatto.
Un applauso ai fratelli Taviani.

Oskarsson88  @  09/11/2013 17:31:16
   6 / 10
Non mi soffermo sul messaggio che vuole dare e i propositi che sono sicuramente positivi, però a me ha annoiato abbastanza, insomma non mi ha preso. Anche se apprezzo l'idea..

7219415  @  09/11/2013 16:11:07
   8 / 10
Veramente una bella sorpresa!

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento pompiere  @  01/06/2013 14:50:33
   7 / 10
Il linguaggio di Shakespeare é così poliedrico che ben si adatta alla "prova del dialetto" ricavata all'interno del carcere di Rebibbia. Con "Cesare deve morire" i fratelli Taviani superano i confini della prigione attraverso una favella che, dopo quattro secoli, risorge per parlare al quotidiano.

xanter  @  09/05/2013 23:36:41
   6½ / 10
L'arte come mezzo di evasione, contro tutti coloro che invocano metodi talebani per punire chi ha sbagliato.

Chemako  @  10/03/2013 12:33:59
   6 / 10
Sufficienza piena...

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  24/02/2013 20:09:00
   7½ / 10
Ottimo film quasi neorealista dei fratelli Taviani trionfatore al festival di Berlino!
La forza del film sta anche nella scelta del cast, dei veri carcerati alle prese con un testo teatrale che collima con la loro realta'.
Non c'è un minimo di commiserazione per la loro situazione (giustamente) ma solo la visione della vita da dietro le sbarre con una grande voglia di riscatto che passa attraverso l'arte.
Ottima la scelta del bianco e nero...anche il cast fa bene il suo lavoro, in particolare un ispirato "Bruto"!

guidox  @  15/01/2013 22:08:20
   7 / 10
il tema del riscatto affrontato con una buona dose di contenuti, che però sono spesso ridondanti nonostante la breve durata.
buon film, anche se personalmente credo sia un stato un po' troppo sopravvalutato.

floyd80  @  05/12/2012 19:43:19
   6 / 10
La pellicola, vincitrice di innumerevoli premi, ci fa respirare l'odore acre delle carceri e allo stesso tempo il profumo dell'arte teatrale. Bravissimi gli attori e funzionale il bianco e nero, però a dirla tutta trasmette poco e alla fine dei conti non si capisce dove vuole andare a parare.

jannakis  @  03/11/2012 10:13:58
   4½ / 10
Sopravvalutato. E' un film noiosissimo, pessima l'interpretazione degli attori. Cosa avessero in mente i Taviani facendo questo film proprio non lo riesco ad immaginare.

davmus  @  17/10/2012 09:19:42
   5 / 10
Bellissima idea, ma poi la "messa in opera" non mi ha appassionato

Invia una mail all'autore del commento tnx_hitman  @  26/09/2012 17:27:41
   8½ / 10
Dignitoso film italiano diretto da chi di regia se ne intende.
Sguardi perforanti dei protagonisti che straziano lo spettatore,quest'ultimo coinvolto sino all'ultimo fotogramma dentro una pellicola che gioca a colorare l'anima dei detenuti di bianco e nero e a colori:il primo utilizzo di quella determinata tonalita'sottolinea l'ambiente del carcere decadente e ben lontano dalla speranza nel far risorgere la voglia di vivere a chi partecipa a quella vita spenta e cupa.
I colori invece prendono vita quando l'arte e lo spettacolo si impongono si fondono e diventano armi per sconfiggere la monotonia di un'esistenza contenuta in una prigione che intrappola le fantasie e i sogni dei nostri personaggi.

E piano piano assistiamo ad una trasformazione interiore da parte di chiunque partecipi alla rappresentazione di"Giulio Cesare",da qui si puo'percepire la fuoriuscita di rabbia,sorrisi da parte loro durante le prove e la loro resa finale dell'opera che si mescolano e fan capire che nessun essere umano puo'essere tenuto a bada o intrappolato,controllato e schiacciato terminando la loro creativita' e sensibilita'.No.C'e sempre una luce di speranza per tutti.

Detenuti compresi.Abbiamo tutti bisogno di una via secondaria per prendere ancora in mano le redini della nostra vita e purificarsi per il male compiuto precedentemente...il presente ci sorride ancora e ci accompagna verso la redenzione.Nessun uomo puo'contenere un'anima dilaniata e sofferente in eterno.

E questo film ci apre il cuore con un ritmo pacato ma un uso delle inquadrature che é una meraviglia.
Scoperto troppo tardi,ma per fortuna me lo sono rimediato.Il cinema Italiano puo'lasciare anche il segno quando si mette d'impegno.

andrea1994  @  20/09/2012 19:31:29
   8 / 10
Un film che fa capire ad ognuno di noi la triste condizione di molti detenuti, che nonostante la loro apparente durezza, nascondono un lato molto umano tale da permettere loro di apprezzare la bellezza dell'arte. Davvero stupenda la frase finale: "da quando ho conosciuto l'arte per me questa cella è diventata una prigione". L'arte è la prima forma di libertà. Ve lo consiglio tantissimo!

Invia una mail all'autore del commento marco986  @  07/09/2012 17:50:38
   7 / 10
Buon film dei fratelli Taviani da vedere

piripippi  @  28/08/2012 22:03:31
   8½ / 10
un film magnifico. un esperimento che cade sul surreale e sul malinconico. non possiamo parlare di attori ma i protagonisti esprimono il meglio di se stesssi. un film bellissimo

Gruppo REDAZIONE VincentVega1  @  09/08/2012 12:27:47
   7½ / 10
Magnifico gioco di scatole cinesi: teatro all'interno del cinema all'interno della vita rinchiusa in una prigione.

Il mescolarsi della realtà con la finzione è talmente poco percettibile che non sai mai se a parlare sia davvero Bruto o un anonimo carcerato di Rebibbia. Entrambi però sanno quale sarà la loro pena..

paride_86  @  27/07/2012 04:47:55
   5½ / 10
Sull'opera di Shakespeare non si può dire nulla di male, e farla recitare ai carcerati è sicuramente un'idea interessante e, in un certo senso, terapeutica.
Tuttavia ha senso considerare cinema la sua illustrazione? Non si tratta, in realtà, di un percorso che inizia e finisce nel carcere di Rebibbia?
"Cesare deve morire" è in realtà un documentario intriso di buonismo che non dimostra nulla, si limita a mostrare come alcuni detenuti - colpevoli di gravissimi crimini - preparano uno spettacolo teatrale.
Non c'è un parallelo con storie e percorsi interiori dei protagonisti, e quando i registi tentano di proporlo suona falso e forzato.
A trionfare è lo zucchero: assassini e criminali che recitano Shakespeare commuovono perché il messaggio che si sottintende è che il profondo valore dell'Arte possa salvare e redimere qualsiasi vita.
Ma per favore! Abitare in Italia, dunque, dovrebbe essere la panacea per ogni tipo di criminalità.

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Ultima risposta 23/10/2012 13.15.37
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR foxycleo  @  03/07/2012 17:01:56
   8 / 10
Opera incredibile. L'arte che si mescola alla realtà in una simbiosi perfetta con passaggi delicati come quello dal colore ai toni del grigio.
Emozioni e vita allo stato puro.
Imperdibile.

franzcesco  @  19/05/2012 19:58:07
   6½ / 10
Quando si vede un film premiato come miglior film a Berlino, miglior film italiano ai David ed altri 4/5 premi, è sempre uno "svantaggio": ci si aspetta un capolavoro o un film originalissimo.
Originale sicuramente l'idea, gli attori ed il contesto, da 9!
Ma non si può premiare solo questo.
Spesso noioso e soprattutto ripetitivo.
E poi la scena delle guardie carcerarie che commentano dall'alto è davvero squallida.
Comunque lo consiglio.

-Uskebasi-  @  26/04/2012 21:03:05
   7 / 10
E' un film unico, questo è poco ma sicuro, ma anche se l'idea è geniale e difficile, la parte centrale è leggermente noiosa e ripetitiva. I punti di forza sono sicuramente i provini e il ritorno nelle celle dopo la recita, ed è bellissima la differenza di emozione che ha lo spettatore tra la prima volta che lo vede e l'ultima, dopo essere entrato nelle vite dei personaggi ed aver capito quello che valeva per loro questa parentesi di vita nell'Arte. La frase finale di Cassio ha senz'altro colpito tutti.
Le scuole di recitazione dovrebbero chiudere a vedere questi veri detenuti davanti alla telecamera.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR oh dae-soo  @  23/04/2012 14:05:46
   8½ / 10
Portentoso.
Il film italiano dei fratelli Taviani che ha trionfato all'ultima Berlinale (20 anni esatti dopo l'ultimo trionfo tricolore con Marco Ferreri) è qualcosa di veramente potente, una pellicola dalla forza grezza, un'esplosione di visi, parole e gesti, uno schiaffo al cinema classico, un gesto di coraggio e di umanità davvero incredibile.
Forse è proprio nella sua eccessiva coerenza, nel voler dall'inizio alla fine portare avanti questo strepitoso esperimento cinematografico che Cesare deve morire può prestare il fianco a qualche critica.
Siamo nel carcere di Rebibbia.
Un gruppo numeroso di detenuti ha appena portato a termine il Giulio Cesare di Shakespeare.
Il film racconta i 6 mesi di prove prima dello spettacolo finale.
Cinema verità in tutto e per tutto. Non solo ci si affida a non professionisti ma sono gli stessi carcerati ad interpretare se stessi.
Tutto è vero, genuino, ogni viso (fantastici alcuni, ma il carcere ti segna), ogni luogo, ogni dinamica.
Si parte con i provini, straordinari, forse addirittura momento più alto dell'intero film. Uno dopo l'altro tutti i carcerati declinano le loro generalità commossi o incazzati, non c'è soluzione di continuità, nemmeno un attimo di respiro, i pianti e le grida si susseguono continuamente, e la sensazione che questi 10 minuti possano dar fastidio e mettere in imbarazzo attori molto più prezzolati è altissimo.
Scelto il cast si comincia a provare e sta tutta qui l'assoluta originalità del film, il colpo di genio. Il palco non è pronto, bisogna provare in ogni luogo libero del carcere. Lo spettatore per tutta la durata del film vede persone rapportarsi in maniera scespiriana ognuno con il proprio dialetto, ognuno mettendo dentro le parole del sommo drammaturgo un pò della loro vita. I carcerati pensano solo allo spettacolo, ogni momento libero lo passano a provare. E la tragedia va avanti quasi in tempo reale, non c'è mai una stessa scena ripetuta, è come se lo spettacolo finale che avverrà nel palco noi l'avessimo già visto tutto durante il film. A volte si ha l'impressione di vedere scene di vita vera ma poi il regista sbuca sempre dietro di loro. L'uso degli spazi è grandioso, una finestra può diventare una vista dall'alto su Roma in rivolta, Cesare cammina per il carcere e viene salutato da tutti, l'intero carcere è dentro lo spettacolo.
Ci sono momenti di stanca, è quello che dicevo prima, il film per coerenza continua a mostrare le prove dei carcerati senza alcuna divagazione. E in alcuni personaggi secondari (specie i secondini) il dilettantismo è marcato.
Ma si arriva anche a momenti quasi lirici con il discorso di Antonio e la folla di Roma (i carcerati nelle finestre delle proprie celle) che si ferma ad ascoltare.
Forse sarebbe stato addirittura meglio così, che lo spettacolo fosse stato questo itinerante per il carcere, un esempio di teatro strepitoso.
Ma anche in palcoscenico i momenti davvero intensi non mancano, specie la straordinaria morte di Bruto.
E così con una struttura circolare che funziona alla grande, lo spettacolo si chiude come avevamo visto all'inizio.
Gli applausi sono scroscianti.
Poi, dopo 6 mesi nei quali l'Arte ha sublimato tutte le pulsioni e le difficoltà dei carcerati, si torna in cella.
Niente sarà più come prima, quella persona che ti sta a fianco non è più Cesare, non è più Cassio, non è più Bruto ma è Giovanni, Salvatore, Cosimo.
E la toga non c'è più, non c'è più una parte da imparare, non c'è più la meravigliosa distrazione delle parole.
C'è una cella e basta, una pena da scontare e un caffè da preparare.
"E' da quando ho conosciuto l'Arte che questa cella mi sembra una prigione" dice quello che fu Cassio.
Magari ne farai un altro di spettacolo Cosimo, si sa mai.
Magari fuori.

jiko  @  09/04/2012 12:45:07
   8½ / 10
Potente e intenso, una docufiction che riesce a cogliere le corrispondenze tra la celebre tragedia di Shakespeare e le vicende drammatiche che hanno caratterizzato la vita dei detenuti, gli errori del passato e le colpe da espiare, il copione che recitano sembra adattarsi perfettamente alle loro tensioni e ai loro stati d'animo. Un film emotivamente potente, da vedere.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  08/04/2012 20:46:51
   8 / 10
Niente filmino educativo europeo di quelli che fanno sorridere e dire all'ipocrita di turno "uh quanto sn bravi e simpatici questi delinquenti...". Niente di tutto questo. I migliori Taviani degli ultimi trent'anni partono da questo presupposto. Bravi sì, "loro", perchè ciascuno di noi è in fondo prigioniero delle proprie catene, anche se il peso che porta è ben diverso. I volti con facce scolpite dal tempo, quel "tempo", strana parola che interrompe una deprimente continuità. Una discesa agli inferi, e non c'è bisogno dell'ultimo Sokurov a ricordarlo. Tensioni che implodono "per colpa di Shakespeare" raccontando una colpa soggettiva, simbolica e simbiotica, mai astratta. Una via crucis quasi preannunciata nella morte, cfr. indimenticabile l'ultima apparizione di Cesare con i suoi "discepoli" prima dell'atto finale.
Come nella vita, che paradosso sentire parole tipo "libertà, la tirannìa è morta" e non capire chi etichettare nella Vestale di Sodoma o Gomorra? I responsabili di questa recita dietro quelle mura stanno lì a seppellire l'antica sopraffazione, basta solo animarla per acuirne le dipendenze. Un breve miraggio di fuga alberga quando tutto si chiude, ermeticamente, nuovo segno del tempo. Molto molto Bressoniano, in forma ma non nella sostanza: perchè qui si "grida" il livore, sguardi che parlano e non pensano soltanto.
Unico neo, il limite della rappresentazione (e questo bisogna dirlo) come unica fonte possibile per esprimere la denuncia sociale di cui l'Italia non è ancora capace (v. l'ingessato Giordana su Piazza Fontana)

Invia una mail all'autore del commento Elly=)  @  06/04/2012 22:32:01
   9½ / 10
Cosa dire quando ti trovo davanti ad un mega schermo e hai appena assistito ad un film che ti ha emozionato così tanto da farti rimanere li, immobile, ad ascoltare il pezzo finale della colonna sonora e a leggerne i titoli di coda, non rendendoti ancora conto che il film è già finito.

CESARE DEVE MORIRE non è un film da 10 però sinceramente ha inventato secondo me un nuovo modo di parlare, di raccontare una storia: è stato a dir poco originale da parte loro utilizzare questo nuovo tipo di narrazione. Il film vale soprattutto per questa sublime scelta, una sceneggiatura che è stata scritta con testa riuscendo a raccontare una storia teatrale per intero tramite la storia cinematografica, non si tratta del semplice teatro nel cinema o del teatro filmato, no, qui si va semplicemente oltre i limiti della genialità.
Il film è sicuramente ben diretto, recitato, la fotografia, la colonna sonora, le scenografie sono tutte una fatta meglio dell'altra, mi soffermerei righe e righe a parlarne di ognuna. Quindi cercherò di essere il più breve possibile nel dire che cosa c'è di buono in questa pellicola, anche se si starebbe prima a dire cosa non c'è di buono, basterebbe una parola: niente!

Il film si apre con una pièce teatrale tratta da Shakespeare "Giulio Cesare", i colori sono molto accesi, con la grande prevalenza del rosso, capiamo che è la scena in cui Bruto si suicida, la scena finale. E' come se nell'aria ci fosse un certo nazionalismo, la commedia dell'arte, l'impero romano, alcuni dei tanti aspetti nostrani che tutto il mondo ci invidia. La tragedia finisce e tutti applaudono agli attori che vediamo, terminato lo spettacolo, entrare in alcune celle. Parte un flashback in b/n che racconta cos'è successo dai sei mesi precedenti fino a oggi e comprendiamo che gli attori in realtà sono dei carcerati. Attori carcerati che ai provini fanno abbastanza schifo, si notano infatti gli errori che fanno di solito gli attori principianti, ma poi in scena rinascono, dando vita ad una storia che entrerà in modo profondo nelle loro vite, e l'esempio più vivo è sicuramente il caso di Bruto. Si parla di recitazione nel film, ma anche nella realtà CESARE DEVE MORIRE vanta di un cast eccellente composto da Salvatore Striano, Cosimo Rega, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca, Juan Dario Bonetti,.. . Tiriamo un sospiro di sollievo, ci si sente più leggeri nel vedere come in Italia esistano ancora buoni attori, forse non tutto è perduto.

La parte in bianco è nero rappresenta il passato, quella a colori il presente. Cambia la fotografia ma cambia anche lo spettatore. Durante la prima volta che vediamo la scena finale dello spettacolo e il ritorno alle celle abbiamo un certo modo di proporci al film, c'è un distacco dalla loro condizione, poi, magicamente, prendiamo parte anche noi alla realizzazione della recita e nel finale del film, mentre rivediamo le stesse scene dell'inizio sentiamo che i nostri sentimenti nei loro confronti sono cambiati, il nostro modo di giudicare il personaggio ha subito un qualcosa, non è come negli altri film che è il personaggio a cambiare insieme alla storia, no, questa volta, mentre la proiezione avveniva, è lo spettatore ad essere cambiato.

Verso la fine del film un personaggio dice che è stata l'arte a cambiarlo, la sua vita dietro alle sbarre ha assunto un significato diverso da quando l'arte è entrata nella sua vita, e come dargli torto? In fondo l'arte è questo, una passione che libera l'uomo dall'essere afflitto dai mali capitatogli.

A questo film non si può rimanere indifferenti, dovrebbe essere compito di tutti noi andarlo a vedere al cinema, chi non ci va è proprio un ********, punto!

tumbleweed  @  06/04/2012 09:20:53
   9 / 10
Era necessario andare a vederlo, questo film senza orpelli e senza tanti colori: stupendo.

patt  @  03/04/2012 13:14:18
   9 / 10
E' stato come assistere a un processo simbiotico tra arte e realtà, il teatro come catarsi della vita e per questo di difficile commento, le parole sono quasi superflue davanti a un'opera di tale profondità.
Espressività davvero emozionante.

5 risposte al commento
Ultima risposta 05/04/2012 13.29.53
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Gruppo REDAZIONE Pasionaria  @  02/04/2012 22:14:22
   9 / 10
Lo voglio commentare a caldo, appena tornata a casa dal cinema. Un film bellissimo e commovente, dove la finzione si fonde con la realtà, come il colore sgargiante di scena s' incupisce nel piatto grigiore della vita. E al centro loro, i detenuti di Rebibbia in una tragedia teatrale che si sovrappone al dramma esistenziale delle loro vite lacerate, la forza catartica dell'arte, la scoperta di se stessi, che solo la creatività libera riesce a disvelare. Tutto ciò mi ha commosso profondamente.

I fratelli Taviani ci hanno regalato un'opera cinematografica magnifica , giustamente riconosciuta e premiata a Berlino. Fotografia eccellente in ogni inquadratura.

3 risposte al commento
Ultima risposta 04/04/2012 19.38.26
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marcodinamo  @  31/03/2012 11:24:38
   8½ / 10
Un film straordinario giocato magistralmente sul sottilissimo confine tra realtà e finzione. Meritatissimo Orso d'oro!

Gruppo COLLABORATORI gerardo  @  30/03/2012 15:43:14
   9 / 10
Io prendo quello che hanno preso gli altri prima di me, grazie. Aggiungo solo che i volti dei protagonisti sono straordinari, bellissimi (quello di "Bruto" su tutti), e che la fotografia è sublime.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR strange_river  @  19/03/2012 23:39:08
   9 / 10
Come già detto in altri commenti, anch'io penso che solo da una profonda maturità umana e artistica poteva nascere un film come questo: ci voleva una mano fermissima unita ad una lucida consapevolezza per essere in grado di rappresentare due piani narrativi, farli scorrere paralleli per poi andare a fonderli perfettamente in uno solo, dove messa in scena e realtà sono la stessa cosa.
Ci voleva altresì un grande coraggio per ordire un tale azzardo, sia in termini cinematografici che di significato civile.
Il carcere non solo è elevato a straordinario palcoscenico teatrale dell'opera shakespeariana, ma diventa il luogo reale di quella tragedia stessa; i detenuti non solo attori che prestano corpi e voce ai protagonisti del Giulio Cesare, ma essi stessi, la loro vita e i loro dolori, sono quei personaggi.
E' sufficiente la scena, bellissima, dell'elogio funebre di Antonio in quel cortile di cemento inondato di luce per sentire quale forza vitale attraversi questo film, da quale passione sia pervaso, da quanta verità sia attraversato.
All'inizio li vediamo uscire detenuti dalle celle, al termine rientrano Cesare e Cassio e Bruto.
Nella chiosa finale tutta l'amarezza di una sofferenza irrimediabile.

Gruppo STAFF, Moderatore Kater  @  18/03/2012 09:43:41
   10 / 10
Potente. Ecco come mi sento di definire questo film.
C'è una grandissima forza visiva e un'altrettanto grande forza espressiva nel crudo bianco e nero del carcere come nei colori vividi e primari della messa in scena. La storia fa da collante, l'opera immortale di Shakespeare scorre parallela alla vita passata e alle riflessioni del presente e Giulio Cesare, Cassio, Bruto, Antonio divengono ogni uomo e viceversa. L'arte rappresenta la vita o forse è la vita ad andare in scena. L'arte come momento di libertà, ma la libertà, per essere tale, deve essere completa.
Un'opera modernissima realizzata da due ottantenni, forse perchè bisogna aver capito molto della vita per fare un film del genere.
A mio parere un capolavoro.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR pier91  @  15/03/2012 21:15:17
   9 / 10
I versi universali di Shakespeare deformati dal lessico degli affetti, della terra natale, dell'intimità familiare. I fratelli Taviani celebrano l' Arte come invito all'osservazione di sé, alla riscoperta di un'emozione giovane, della fiducia ansiosa in un tutto ancora conquistabile. In particolare credo che il film rievochi quel momento della vita in cui il bisogno d'essere uomini liberi si avverte più urgentemente, quando le mura del proprio paese all'improvviso paiono soffocanti ed è più forte il desiderio d'evaderne. Ma è un sentimento smanioso destinato a scontrarsi con la vita, e con la nostra radicata inettitudine. Il carcere in fondo è metafora di questa connaturata fragilità, che pure va riconosciuta, accettata, quasi rispettata.
Si potrebbe affermare che "Cesare deve morire" sia un racconto di disillusione incompiuta. In un ambiente dove ogni azione è subordinata ad un severo controllo s'affaccia una speciale libertà, che è sostanzialmente la libertà di produrre un utile per se stessi prima ancora che per gli altri. In fondo creare, in qualsiasi forma espressiva, è prerogativa e necessità dell'uomo. Qualora non gli sia più concesso, la cella, o la casa, diventa una prigione.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  @  14/03/2012 07:56:00
   9 / 10
A riprova che la realtà anagrafica nulla ha a che vedere con l'età interiore, i f.lli Taviani portano aria fresca al cinema confezionando un'opera potentissima utilizzando pochissimi mezzi, scenografie scarne, tantissimo mestiere, ma, soprattutto, tantissima anima.
Ciò che sconvolge davvero in questo film è l'universalità del suo messaggio: un amico che era con me in sala, sconvolto, m'ha detto: "Ma quella prigione è il nostro mondo!". Appunto. La giustapposizione tra la realtà di questi carcerati che mettono in scena fino all'immedesimazione il "Giulio Cesare" di Shakespeare e la metaforizzazione della stessa nella nostra condizione di combattenti per una (illusoria) libertà dalle piccole e grandi tirannidi che ci distruggono la vita, funziona tremendamente bene e arriva dritta al cuore. Lasciandoci un amaro retrogusto in bocca: se l'arte è forse l'unico possibile atto umano liberatorio, è anche quello che ci introduce la consapevolezza del vivere e dunque una sofferenza esistenziale continua. Emblematica (e terribile) la frase finale del detenuto che rientra nella sua cella: "Da quando ho conosciuto l'arte, questo carcere è diventata una prigione".

Recitato splendidamente, con una fotografia espressionistica di rara suggestione ed efficacia (meraviglioso l'uso del bianco e nero per fotografare la realtà e del colore saturo per i momenti di rappresentazione teatrale o di quelli onirici), scenografie carcerarie brutali nel loro essere scarne, nude e crude, con un commento musicale lacerante, Shakespeare ne esce ancor più esaltato nella sua universalità e noi tempestati da irrisolvibili domande esistenziali. Senza contare l'ulteriore riflessione sull'istituzione-carcere che la nostra Costituzione vorrebbe rieducativa e riabilitante e che invece è degenerata in un moderno lager in cui finire di distruggere vite già segnate da percorsi sbagliati. Alla faccia della tanto sbandierata "centralità della persona umana" della cattolicissima Italia.

polbot  @  13/03/2012 11:55:33
   8 / 10
Un film importante, non di "facile consumo", ma estremamente vero, nudo, asciutto, originale nella forma, che trova il suo compimento nella scena e frase finale.

marimito  @  10/03/2012 21:41:27
   7½ / 10
Il confine fra la rappresentazione e la finzione cinematografica è praticamente inesistente. Un work in progress permanente, che non lascia spazio ad altro. L'unico momento di vita "reale" cinematografica finisce per divenire anch'essa paste integrante della rappresentazione; e per gli attori detenuti si aprono le porte del carcere; la mente vola..
I fratelli Taviani hanno portato in scena la portata liberatoria ed immaginifica dell'arte teatrale. Bello!

Crimson  @  09/03/2012 09:55:43
   8½ / 10
Alla ricerca della libertà. A volte noi che siamo al di qua delle sbarre dimentichiamo il suo significato, come se il solo fatto che siamo liberi dal punto di vista giuridico comporti la totale certezza del suo valore.
Congiura o assassinio. Sembra una sottigliezza, eppure il limite morale che scinde e determina la natura di un atto piuttosto che un altro è il centro verso cui dovrebbe convergere non soltanto la pena, ma la riflessione che anima ciascuno di noi.
Il 'Giulio Cesare' ovviamente ha una forte valenza simbolica. L'Arte è il mezzo attraverso cui interrogarsi per giungere a formare con chiarezza tale distinzione, che è alla base della convivenza civile.
La storia di Roma e il tessuto culturale su cui si fonda la nostra identità collettiva sono le dimensioni che si sovrappongono alle storie individuali, l'eredità con cui dobbiamo fare i conti. Ognuno interpreta una parte universale ricorrendo al proprio patrimonio culturale.
Non si possono mai recidere le radici. L'evoluzione del pensiero contempla una compromesso intimo con il proprio bagaglio, ineludibile fardello/risorsa personale.
Storie che a loro volta si fondono col Cinema tra finzione e realtà. Tutto ciò sprigiona energia vitale.
I Taviani realizzano l'ennesimo lavoro straordinario sul linguaggio e sul recupero dell'identità al fine di rendere individuale un percorso collettivo, farlo proprio metabolizzando i vissuti. Tra meta-cinema e realtà si crea un meraviglioso connubio che ha il sapore della libertà. Non è un film sulla detenzione, ma sul valore che la libertà deve avere per tutti. Lo stile è asciutto, teso, vero. Romanzare avrebbe intaccato la naturalezza e la spontaneità dei pensieri e delle azioni. Non tutto il processo viene mostrato perché c'è il giusto respiro per l'immaginazione, come se il silenzio che giunge da dietro quelle sbarre è smisuratamente più immenso di quanto l'occhio, la camera, la narrazione tout court, possano riuscire a cogliere nella loro convenzionalità.
Un film che racconta la dignità che si raggiunge attraverso un percorso di ricerca interiore che abbraccia la compartecipazione, il valore dell'universo. Specularmente, è la medesima dignità che il Cinema riesce a mostrare attraverso il suo potere trasformante.
Affermare il proprio Io attraverso l'Arte, questi autentici attori ci sono riusciti, scoprendo qualcosa di essenziale per ricominciare a vivere.
"Da quando ho conosciuto l'Arte, questa cella mi sembra una prigione". Queste parole, inequivocabili e intraducibili, mi hanno toccato profondamente.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  06/03/2012 22:17:43
   9 / 10
Non è un film sulla realtà carceraria, il carcere è il palcoscenico allargato del piccolo teatro all'interno di Rebibbia dove si terrà la rappresentazione del Giulio Cesare di Shakespeare, perchè sono i sei mesi di prove il fulcro narrativo di questo film. Ci vengono presentati detenuti, ma i Taviani fanno sconti: sono in carcere per un motivo preciso, hanno sbagliato e stanno pagando per le loro colpe. E' il vissuto tragico di queste persone che emerge e fornisce la spinta per entrare nei personaggi fin quasi a travolgerli, incanalando quel demone interiore e trasfigurandolo nel Giulio Cesare, storia di amicizia, tradimenti, complotti e "uomini d'onore".
Mi ha stupito in maniera profonda questo film dei Taviani, rispettivamente classe '29 e '31, capaci di rimettersi in gioco come due giovani registi in erba, affrontare vantaggi e svantaggi del digitale e fare un film molto moderno, fondendo insieme elementi di documentario, teatro e cinema con un equilibrio sorprendentesenza che nessuna delle tre forme espressive prenda il sopravvento sull'altra.
E' un film sull'arte come arricchimento personale anche e soprattutto per dei reietti, molti dei quali da "fine pena mai", su due mondi (vita reale e carcere) così lontani ma che necessitano di un avvicinamento, perchè il carcere è un luogo di espiazione di colpe questo sì, ma deve essere ricordato anche e soprattutto per il suo potenziale valore rieducativo.
Personalmente è stata visione ricchissima dal punto di vista emotivo, grazie alla capacità dei Taviani nell'immergerti in questa esperienza audiovisiva di volti e dialetti diversi, quest'ultimi in particolare perfettamente funzionali ad una maggiore naturalezza nella recitazione. Spiccano soprattutto uno straordinario Striano nei panni Bruto, il carismatico Arcuri nei panni di Cesare, ma quella frase finale di Cassio/Cosimo Rega (fine pena mai), quando tutto è finito e ognuno torna nella realtà delle celle, ti rimane scolpita e non ti lascia più.
Certamente sono impressioni personali formulate molto a caldo, ma penso e in fondo spero di aver assistito al miglior film italiano dell'anno, fino a questo momento.

9 risposte al commento
Ultima risposta 20/03/2012 11.27.17
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suzuki71  @  05/03/2012 10:04:07
   8½ / 10
Sconfessati i critici tedeschi: si rassegnino pure a un film piccolo e coraggioso, che non aveva convinto nessuno alla sua produzione. "Ma poteva essere stato fatto già negli anni 60"? beh si, e con questo? Un'idea intelligente e poderosa quella di far recitare un'opera carica di sangue, lealtà, tradimenti e intrighi a detenuti (!), alcuni veramente bravi, che danno anima e corpo e scoprono che un'altra vita è - o era - possibile, e si riscoprono a camminare su itinerari mai pensati. Verità e fiction si fondono perfettamente e il risultato è un'opera originalissima e compita: raramente così tanto autentico testosterone si ritrova al servizio di cotanta raffinatezza. Un film che genera riflessioni scontate e immediate, forse commuove di più. Regia sobria, la potenza è tutta in quel che succede. Bisogna vederlo, su questo non c'è dubbio.

"Da quando ho conosciuto l'Arte, questa cella è diventata una prigione".

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