Pubblicato il 10/10/2012 08:39:11 da
peucezia
Marc Augé in un suo celebre saggio ha introdotto il termine magico del "non luogo" ovvero uno spazio privo di un'identità, una storia e delle relazioni.
Non luogo è l'aeroporto, non luogo è l'albergo e ambedue sono stati spesso protagonisti di pellicole cinematografiche di alterno successo. L'aeroporto ha avuto il suo momento di gloria con il film di
Steven Spielberg interpretato da
Tom Hanks, "
The Terminal", un vero trionfo della non appartenenza visto che il protagonista del film era costretto a permanere all'interno dell'aeroporto di New York a causa di un cavillo burocratico.
"
Ferrohotel", docufilm uscito nel 2011 e ben piazzato in vari filmfest sparsi per l'Italia e oltre confine, celebra ancor più definitivamente l'importanza del luogo che non c'è: il
Ferrhotel del titolo è un ex albergo per ferrovieri che nel 2010 è stato autonomamente occupato da un nutrito gruppo di profughi somali.
Come in un albergo "normale" ma all'insegna della precarietà più cogente gli occupanti si organizzano, fanno amicizia, vivono, passano.
Intuizione felice o coincidenza per i due registi -autori del documentario (Angela Barbanente e Sergio Gravili) o moda?
Interrogati preferirono soffermarsi sulla cinematografia d'impegno e impegno fu, vero e confermato.
Ma resta evidente quella celebrazione di un luogo che manca, occupato da persone che "non sono" essendo profughi in cerca. E tutto torna alle origini.
Allora, sabato 22 settembre 2012 ero all’Ippodromo delle Capannelle a Roma per assistere, tutto emozionato, al concerto dei Radiohead. Che detta così sembra una cosa facile, e invece arrivarci è stata un’impresa, con mezza Roma stipata sull’Appia, scene di panico perché si avvicinava l’inizio del concerto e non c’era un buco libero dove lasciare la macchina per chilometri e chilometri, stazioni dell’Agip prese d’assalto perché quell’ampio spiazzale in effetti è un parcheggio perfetto, e ‘sticazzi se la gente protesta, c’è il concerto dei Radiohead, sta per cominciare, la benzina la metti al Tamoil.
E poi, una volta parcheggiata la macchina, giù a correre a rotta di collo per raggiungere l’Ippodromo, maledicendo tutti i morti del malnato organizzatore dell’evento che ha preferito l’ignobile Ippodromo ad un più comodo Palasport, finché non ho raggiunto i varchi e non sono entrato, sudato e felice, a metà secondo brano in scaletta (“
Bloom”,
for the records). A quel punto mi giro alla mia sinistra, tutto affannato, e vedo affianco a me una ragazzina piccoletta, biondina, con la treccia ed uno zainetto in spalla che ancheggia tutta convinta sulle note dei Radiohead. “Questa l’ho già vista”, penso. Dopo una seconda occhiata mi rendo conto che è Carolina Crescentini.
Carolina Crescentini! L’unica attrice al mondo che se le dici “Come cagna maledetta sei perfetta” le stai facendo un pertinente complimento sulle sue capacità recitative! Carolina Crescentini. Lì per lì ci sono in realtà rimasto un po’ male: uno la Crescentini se la immagina slanciata torreggiante dal suo metro e settantacinque di vamp del tubo catodico (dalla mia prospettiva chiunque sia alto almeno 1,75 torreggia (forse la mia prospettiva non è granché attendibile (ma mia madre dice che sono bello lo stesso))), e invece ha le dimensioni di una statuetta del presepe un po’ troppo cresciutella.
Dopo questo iniziale attimo di smarrimento, mentre Thom Yorke si lamentava sulle note di “
Weird fishes”, la mia mente è stata invasa da ameni ricordi sulla carriera di Carolina Crescentini (che intanto continuava a dimenare la propria capoccetta a ritmo di musica, ma neanche tanto). E così ho ripensato al suo esordio cinematografico con “
H2Odio” di
Alex Infascelli, il film più brutto della storia del cinema italiano, in cui un gruppo di mentecatte si rifugiava in un’isola deserta per sottoporsi ad una dieta a base di sola acqua salvo poi essere trucidate da una di loro che si incazza abbestia perché le scopre a mangiarsi i buondì invece della Sangemini. Ma non era colpa sua, è che aveva la sindrome del gemello evanescente, diagnosticatale dallo psicanalista Platinette.
Insomma dopo un esordio del genere una avrebbe pure il diritto di deprimersi, e invece Carolina ha perseverato ed ha inanellato un altro paio di cacate tipo “
Notte prima degli esami - Oggi” e “
Cemento armato”, prima di essere chiamata ad interpretare il ruolo che la consacrerà ad icona: quello di Corinna Negri, la protagonista della meravigliosa prima stagione della serie TV “Boris”.
E’ la svolta della sua carriera: da allora, Carolina Crescentini per tutto il pubblico italiano diventerà la cagna maledetta, etichetta che, va detto, lei non farà nulla per scrollarsi di dosso, perseverando con filmacci orrendi in cui recita in modo approssimativo (a volerle bene), tipo “
Generazione 1000 euro” o “
Parlami d'amore”.
Epperò che ci volete fare, a me la Crescentini è sempre stata simpatica, e dopo aver visto che le piacciono i Radiohead mi sta ancora più simpatica, ed avendo constatato che è alta un metro e molto entusiasmo la mia simpatia nei suoi confronti è cresciuta ancora di più, perché non dev’essere facile fare la vamp figona se madre natura t’ha fatta piccoletta, eppoi perlomeno lei un bel personaggio è riuscito a regalarcelo, che di questi tempi non è mica poco, dando peraltro prova di una certa dose di autoironia (come peraltro Pietro Sermonti/Stanis La Rochelle, altro cane pazzesco).
E allora viva la Crescentini, che se la ribecco pure da Morrissey a ‘sto giro le chiedo l’autografo.
Pubblicato il 08/10/2012 15:03:26 da
foxycleo
Lo scorso 4 ottobre ha preso il via l'iniziativa di unificare le uscite cinematografiche a livello nazionale al giovedi' in maniera da poter allungare i fine settimana per favorire gli esercenti cinematografici. L'avvio a tale novita' e' stato dato da
Ted di Seth MacFarlane. Il papa' dei Griffin porta sul grande schermo un volgare, ironico e divertente teddy bear. Il compagno di giochi per eccellenza di ogni bambino americano (qui totalmente snaturato dal motivo per cui e' stato creato) si trova ad essere il maggiore ostacolo per la maturita' del protagonista umano del film interpretato da Mark Wahlberg. Il film e' nella prima parte trascinante sia nei dialoghi sia nel ritmo ed e' impossibile trattenersi dalle risate. La seconda parte scade spesso in un buonismo irritante senza pero' perdere totalmente la verve iniziale. La cosa davvero coinvolgente e' stata vedere e vivere una sala affollata che applaudiva ad ogni promozione lavorativa ottenuta dal volgare peluche ed a qualsivoglia battuta antisemita, razzista o rivolta alla tragedia dell'11 settembre; come se solo attraverso
Ted lo spettatore riuscisse ad ironizzare sulle proprie sfortune ed a liberarsi dal proprio benpensante involucro troppo borghese.
Pubblicato il 08/10/2012 08:34:37 da
L.P.Dopo aver appestato il festival di Cannes con la proiezione di mezzanotte e dopo essere sbarcato tra le pernacchie al Fright Fest di Londra, il nuovo film di Dario Argento ha una data di distribuzione in sala anche qui da noi.Il 22 novembre avremo l'onore di ammirare su grande schermo le gesta della mantide religiosa realizzata con il commodore 64 del nipotino Giggetto e un'Asia Argento al massimo delle sue capacità recitative, come si evince anche dal documento fotografico numero 1. Il fotogramma del millennio.
Dracula 3d segna il ritorno di Dario Argento dietro la macchina da presa (in questo caso una Alexa) dopo il disastro imbarazzante di
Giallo
Oltre alla figlia Asia, fanno parte del cast Rutger Hauer nel ruolo di Van Helsing e Thomas Kretschmann in quello del Conte. Alla base del film dovrebbe esserci il tentativo di riportare in auge un tipo di horror classico, sullo stile della vecchia Hammer. Purtroppo il trailer e le prime reazioni di pubblico e critica portano in tutt'altra direzione.
Distribuisce la Bolero, con estremo coraggio e sprezzo del pericolo.
Pubblicato il 05/10/2012 08:35:28 da
kowalsky
Il controverso
Salò di
Pasolini è uno di quei film davanti ai quali lo spettatore prova un sdegnoso rifiuto o una passiva accettazione, arrivando al punto - oh è capitato già - di compensare con il riso l'univoco imbarazzo e disgusto per certe scene e contenuti. Passa alla storia come il film più estremo che sia mai stato girato, anche se in realtà assistiamo a una metafora hard della nostra condizione sociale. In una vecchia edizione della mostra del Cinema, la retrospettiva dedicata al cinema di Pasolini mise in rilievo questa duplicità. Gli spettatori - davanti al Salò - ridevano di gran gusto (erano tutti sadici? Recitavano una parte?) tanto che alla fine viene da pensare che a recitare la parte di aguzzini nel film non avrebbero deluso. E' un po' come quando, durante una puntata di Quark, un esperimento come quello di un film tedesco che metteva in scena torturatori e vittime mostrò quanto ambo le parti si integravano perfettamente nei loro ruoli trasformando la loro indole in quella di spietati carnefici o remissive vittime. Il Salò è anche un film che rivela sempre nuovi particolari, particolari che ovviamente sfuggono ai molti che - come biasimarli? - promettono di non voler più vedere quel film per il resto della loro vita. E' interessante notare quanto il film faccia perno su una forma grottesca di
mise en scène - da De Sade all'Inferno Dantesco - che non disdegna toni ironici, con tratti anche esilaranti (v. la sequenza dei matrimoni combinati anche tra persone dello stesso sesso, e la stucchevole rappresentazione della/o sposa/o degna di uno spettacolo di Copi). E tutta la citazione da Commedia dell'Arte, omaggio al film
Femmes Femmes di
Paul Vecchiali (con le stesse attrici di quel film, Helene Surgere e Sonia Savange) è un siparietto che riesce miracolosamente a far ridere carnefici e vittime allo stesso tempo. In realtà accade per la seconda volta, dopo la presentazione - forse ignara forse no - delle future vittime davanti alla battuta di un laido personaggio che sembra uscìto davvero dal cinema fascista del cinema italiano di regime, un'Annibale Ninchi magari... Quanti hanno letto la rappresentazione Neutrale del Marchese de Sade? Ebbene, privato delle immagini più scellerate (una parola che nel libro ricorre spesso, scellerate, e quasi sempre in maniera "positiva") le pagine Sadiane trovano un'antidoto brusco alla parola Libertà, idealizzata come una gabbia di perversioni tra le più abbiette e ripugnanti del genere umano, facendo leva sul piacere come forma di distruzione di massa, e contestandone proprio l'implicito effetto erotico. E anche per questa ragione il testo di De Sade non potrà mai essere assunto a livello pornografico, perchè dal piacere trae la sostanza nichilista e iconoclasta del dolore assoluto, della consumazione cerebrale mentale psicologica e fisica della carne e del desiderio. A Pasolini l'aspetto sado-maso di De Sade non interessa, salvo perfezionarlo attraverso un potere temporale che come ammise egli stesso "vale per tutti i tempi". Pasolini ricorda di "odiare il potere che subisce", mettendo in scena la rivolta totale contro il consumismo, il conformismo, le imposizioni sociali. Per questo il Salò può essere nato vecchio, essendo un'operazione che stabilisce, con un nesso temporale preciso ma allo stesso modo infinito, il contesto dell'apologia fascista. Pasolini non perdona agli italiani la complicità alla Repubblica di Salò, al fascismo, denunciando l'eterna condanna a cui siamo stati predestinati fin dalla nostra nascita. E' un fascismo che non ha chiuso i battenti nel dopoguerra, ma che sotto mentite spoglie ha perpetrato altrettanti furti e ignominie trasformandosi in un rituale piccolo-borghese centrista e totalitario.
Come vedranno gli spettatori che ancora provano interesse per il Salò, le vittime - che vengono dal mondo rurale - ben prima, sembra dirci, della rivolta del mondo contadino agiografata dal Bertolucci di
Novecento - non riescono quasi mai a ribellarsi alla loro condizione, anzi sembra quasi non provino alcun interesse nel farlo. E' l'aguzzino che li sequestra la loro condanna oppure la proverbiale ignoranza di un mondo assuefatto alla propria condizione, privo pertanto di sogni ed esperienza? Tra i ragazzi prigionieri il figlio di un rivoluzionario è il primo a lasciarsi sopraffare nella sua prigionia, dimenticando i valori del padre e magari il nome del proprio padre. Ma esiste anche un'altra esperienza sottile che comunica disagio e impotenza davanti all'ideologia: uno dei soldati "fascisti" viene improvvisamente scoperto a copulare con una serva di colore (Ines Pellegrini) e prima di essere fucilato solleva fieramente il pugno chiuso in segno di sfida e di vittoria. Più complessa la sequenza, verso l'epilogo finale, del suicidio di Sonia Savange, la pianista, dove non si assiste realmente a un autentico senso di colpa per aver collaborato - anche se da tacita caratterista - a un simile disegno di morte e devastazione insieme a tutti gli altri. Come davanti a un punto interrogativo, lo spettatore ama percepire che sia così, lasciando il dubbio sulla nobile arte della musica costretta a fare i conti con l'esperienza succedanea della violenza visiva e concreta di quanto accade attorno a lei. La rappresentazione del film è molto raffinata, se si tiene conto dei costumi di Caterina Boratto o Elsa de Giorgi o Helene Surgere (le meretrici principali del film) mentre raccontano le loro scandalose esperienze. Il culmine della spettacolarità, anzi dell'anti-spettacolarità arriva proprio nel finale, davanti al quale sembra di assistere a un'omaggio al cinema espressionista muto ritualizzato con schemi prefissati del cinema nordico europeo più all'avanguardia (pensiamo a
Carl Theodore Dreyer). La
mise en scène è in b/n, rispetto ai barocchismi cromatici di gran parte delle sequenze del resto del film.
"C'era un'atmosfera particolare, sembrava di vivere nella realtà" ricorda un'attrice del film, ovviamente una delle "vittime" più memorabili. Scorrono allora i ricordi di quel forte senso di pericolo davanti a un cast di attori che visse Sodoma e Gomorra con la stessa inquietante percezione della realtà di un fatto di cronaca che poteva riguardarli più da vicino.
Quando ascoltiamo Elsa De Giorgi rievocare le pagine più oscure e raccapriccianti del libro di De Sade non possiamo fare a meno di provare una sorta di morboso interesse ma anche di sollievo davanti alle possibilità che questi aneddoti avessero una loro dimensione visiva e cinematografica. Ed è come dire che il film poteva essere molto più estremo e visivamente intollerabile di quanto non sia stato nella realtà. Ma forse è un'altra indicazione del disinteresse di Pasolini per i cosiddetti "fatti sadici", rispetto a un messaggio sociale tanto forte quanto - come vedremo in seguito - fortemente frainteso.
Il disgusto prende il sopravvento sull'immaginario, al punto che la scatologia (le feci del film erano in realtà, come ammise Paolo Bonacelli, cioccolata ricoperta di canditi) diventa letale soprattutto per l'atto simbolico tradotto come coprofiliaco.
Con Salò Pasolini mette in scena la rivolta totale di quanto aveva già abbondamente rivelato negli anni precedenti, una rivolta verso un sistema che diventa totalitario, fortemente dadaista - come indicato da qualcuno - ma definitivo. La sua brutalità è fortemente espressa fino all'eccesso, salvo preservare una sua intima, per quanto cruda, natura poetica, nell'esibizione dei nudi integrali, nell'inesperienza di ragazzi e ragazze, nella verginità di un rito consumato nella vitalità eterna e dolorosa della sopravvivenza, o della morte. In realtà in questo Inferno decorato da pitture del Rinascimento o da diafane rappresentazioni Giottesche, la prigione sociale coinvolge tutti, specialmente i carnefici, afflitti dalla condizione disperata e inesorabile della ricerca infinita di un piacere mortale, nella liberazione dalle loro infinite perversioni e crudeltà.