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Buon corto di Svankmajer che molto deve a quelli di Brakhage (gli anni del resto erano quelli); collage visivi che usano i materiali più diversi (in tal caso pietre) per comunicare messaggi ed animazioni.
L'unico che salvo della produzione '60 svankmajeriana. Esordio incerto, ma svolgimento divertente e spensieratamente infantile. Uno dei pochi Svankmajer che non mi hanno comunicato un senso di disagio.
Sempre le animazioni, assi cronici del regista Jan Svankmajer, muovono i fili e del "senso" in un corto di otto minuti. "A Game with stones" si esalta in un contesto unico, un'unica scenografia composta da pochi oggetti, un orologio, una pentola e le pietre. Da questi oggetti è possibile trarre immediatamente il messaggio che la regia vuole lasciare a chi guarda il cortometraggio, oltre al grande lavoro tecnico con le inquadrature dell'orologio, Svankmajer cerca di rappresentare il ciclo della vita, le pietre sono gli individui. In linea di massima paragonare "A game with stones" a "Meat love" è indice di grande intelligenza critica. Anche in "Meat love", con la carne, la regia mira a proporre in scena un'ascesa e il consequenziale decesso di un corpo che muore (nel frangente in una pentola, guarda caso!) Questo cortometraggio del 1965 risulta persino metodico nella sua messa in scena ma sono proprie le ripetitive sequenze a donare spessore e messaggio; qui la chiave di lettura di Svankmajer tende verso un pessimismo dettato dal fatto che pure il tempo, una volta rotta la culla, gira a vuoto su se stesso annullandosi da solo. Il mucchio finale di pietre non è altro che la "massa" che non ha più un determinato collocamento; le cause di questo collasso sociale/umano è dovuto a ragioni che possono esser interpretate in diverso ed affascinante modo.
Pietre che hanno un cuore, non di pietra, sassi che danzano, giocano e fanno l'amore, animati dal soffio vitale di Svankmajer e cullati da una dolce melodia. Non attribuiamogli significati eccessivi come il ciclo della vita, semplicemente fa parte del filone dei corti, culminato nel lungometraggio Alice, in cui Svankmajer dialoga con la sua infanzia e cerca di rievocarla, come ogni artista che si rispetti dovrebbe fare.
Il finale quando la pentola(dove la vita comincia) si rompe è secondo me una inquietante previsione futurista del regista di come un giorno la vita non esisterà più e neanche il tempo(rappresentato dall'orologio) non avrà più alcun senso.