Durata: h 3.25 Nazionalità:
Italia, Francia1963 Genere: drammatico
Tratto dal libro "Il gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Al cinema nel Settembre 1963
Sicilia. La fine di un epoca e l'arrivo di nuove realtà, visto attraverso lo sguardo del principe Salina, molto peoccupato con l'arrivo dei garibaldini, di mettersi al riparo da ogni cambiamento.
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Colosso di Visconti che in questa trasposizione del romanzo di Tomasi di Lampedusa, diventata forse la sua opera più celebre, non rinuncia alla sua critica tra le righe e la sua tipica rappresentazione di un'aristocrazia decadente, nel bel mezzo di un contesto di estremo cambiamento come l'Unità d'Italia, narrando gli eventi di questa ricca famiglia nobiliare, il cui patriarca don Fabrizio, si trova nel bel mezzo di una sorta di crisi esistenziale, in cui progressivamente prende coscienza del passare dei tempi e dell'inesorabile fine dell'aristocrazia.
"Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi", frase più famosa del film pronunciata da Tancredi, nipote di don Fabrizio, che egli stesso da aristocratico è diventato un accanito sostenitore garibaldino, tanto da arruolarsi tra le sue fila, e alla fine la sceneggiatura mostra solo quella breve porzione di storia della famiglia, un accenno al tramonto di questo sistema vigente, mostrando efficacemente il contesto, con addirittura diverse scene di massa riguardanti le battaglie dei mille, e soprattutto nella seconda parte, una componente sfarzosa e allo stesso tempo decadente riguardante il matrimonio di Tancredi con Angelica, figlia di don Calogero, uomo di umili origini che si è arricchito fino a diventare il sindaco del paese, antitesi della parabola di don Fabrizio e della sua famiglia nella lunga sequenza della festa fatta di valzer e lunghi balli, che mostra tutta la cerimonialità e il legame della famiglia aristocratica alla stessa, nelle loro grandi dimore in cui don Fabrizio si aggira malinconicamente a riflettere, giocando anche con la dicotomia tra gli ideali, la tradizione, il prestigio e l'adattamento ai tempi, emblematico l'episodio del cavaliere Chevalley e della proposta di un ruolo di prestigio nel nascente regno d'italia a don Fabrizio, che a suo modo è diventato un rudere, almeno ideologico, col suo essere ancorato al passato con una visione particolarmente nostalgica e malinconica.
Messa in scena invidiabile, a parte il grande manipolo di attori, da Burt Lancaster ad un giovane Alain Delon, Claudia Cardinale nel ruolo della nuova sposa e addirittura un ruolo rilevante per Mario Girotti, ai tempi ancora non conosciuto come Terence Hill, ma forse quello che rimane impresso più di tutti è il ruolo di Lancaster, col suo continuo riflettere e porsi domande sulla sua esistenza, il suo viso pervaso di difficoltà e amarezza, rende molto bene il mood decadente dell'opera.
Molto bello per quanto riguarda la componente visiva, ovviamente le splendide scenografie siciliane, dalla vivida campagna dai colori mediterranei in cui il giallo e i colori caldi risplendono, alle grandi e mezze vuote dimore della nobiltà, con la regia di Visconti che è ben capace di calibrare il respiro epico della pellicola, senza mai esagerare con la pomposità.