palombella rossa regia di Nanni Moretti Italia 1989
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palombella rossa (1989)

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locandina del film PALOMBELLA ROSSA

Titolo Originale: PALOMBELLA ROSSA

RegiaNanni Moretti

InterpretiNanni Moretti, Asia Argento, Silvio Orlando, Mariella Valentini, Alfonso Santagata, Claudio Morganti, Eugenio Masciari, Mario Patané, Luigi Moretti

Durata: h 1.29
NazionalitàItalia 1989
Generecommedia
Al cinema nel Settembre 1989

•  Altri film di Nanni Moretti

Trama del film Palombella rossa

Dopo un incidente in macchina Michele Apicella, dirigente del PCI e giocatore di pallanuoto, perde la memoria. Durante la partita contro l'Acireale, che vale lo scudetto, avrà dei flashback che gli faranno riacquistare la memoria.

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Voto Visitatori:   7,79 / 10 (43 voti)7,79Grafico
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Voti e commenti su Palombella rossa, 43 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Oskarsson88  @  30/06/2019 21:15:53
   6 / 10
A tratti divertente, ma non conoscendo bene la situazione politica di quegli anni mi risulta difficile decifrare nello specifico le varie rappresentazioni. Progetto comunque originale

VincVega  @  21/02/2019 19:03:56
   6½ / 10
Pellicola metaforica di Nanni Moretti, personalmente mi ha preso meno rispetto ad altre, forse dovuto all'eccesso di autocompiacimento ed auto-indulgenza, ma ammetto che non mancano momenti riusciti e divertenti. Fa pensare comunque che Moretti ci aveva visto giusto sulla crisi della sinistra negli anni a venire.

Goldust  @  04/01/2019 16:39:34
   8 / 10
L'opera più metaforica e ricercata di Moretti: attraverso l'espediente narrativo dell'amnesia, il protagonista della pellicola ( nonché alter ego del regista ) Michele Apicella si vede costretto a ripensare alla propria esistenza ed a ripercorrere i propri errori proprio durante la finale annuale del campionato di pallanuoto. Grandi momenti di cinema si alternato ad alcuni passaggi a vuoto, mentre slanci surreali alla Fellini fanno spazio ad una critica "di pensiero" politico sulla crisi del Pci: su tutto la parabola sempre calzante della partita sportiva e la riflessione ancora oggi attualissima sull'importanza del linguaggio nella vita ( nel quale, benché lo difenda da giornalisti pressapochisti, il politico Apicella è il primo a non credere, visto il susseguirsi di concetti vuoti che inanella nella famigerata Tribuna Elettorale dalla quale tutto ha inizio ). Che sfocia, quest'ultima, nella celeberrima battuta: "chi parla male pensa male e vive male".
La scena clou è la grottesca ed interminabile sequenza del rigore decisivo, dove pubblico e squadre accorsi nell'impianto sportivo si prendono una pausa dall'incontro per seguire le ultime battute del Dottor Zivago trasmesso al televisore del bar, con annessa delusione collettiva finale.
E come non ricordare il tremendo allenatore Silvio Orlando con il suo "Marca Budavari, marca Budavari, marca Budavari!!"

Gruppo COLLABORATORI Compagneros  @  09/09/2018 19:14:52
   7 / 10
Crisi personale che è lo specchio riflesso - nell'acqua di una piscina - di una crisi politica che riguarda la sinistra italiana, e non solo.
Uno dei lavori migliori di Nanni Moretti, con un paio di sequenze assolutamente memorabili.

kafka62  @  10/05/2018 11:53:18
   8 / 10
Quando ha scritto "Palombella rossa", a Nanni Moretti non devono essere sfuggite le numerose affinità che legano il suo film al capolavoro di Federico Fellini, "Otto e mezzo". Affinità non solo tematiche e stilistiche (che già erano presenti, ad esempio, sia pure ad un livello più generico e meno mediato, in "Sogni d'oro"), ma perfino diegetiche. Non credo che sia casuale il fatto che ambedue i film inizino con il protagonista rinchiuso in un'automobile e si concludano all'insegna di un'armonia utopistica e "artificiale" (davanti a un'impalcatura che è, per Fellini, set di un film che forse non si farà mai, e, per Moretti, luogo dove far sorgere un "sole dell'avvenire" di cartapesta). In entrambe le pellicole, poi, due ambienti acquatici (le terme e la piscina) sono deputati alla guarigione del protagonista (rispettivamente dall'esaurimento nervoso e dall'amnesia) e alla chiamata a raccolta di tutti i personaggi della sua vita. Comune ai due film è inoltre il loro substrato onirico. Non mi riferisco tanto al frequente ricorso di Moretti al sogno (che pure in "Palombella rossa" è importante e in un caso – Michele adulto che sogna Michele bambino che sogna di camminare in strada con le pantofole – è addirittura configurabile come "sogno di secondo grado", come nel Buñuel de "Il fascino discreto della borghesia"), quanto al fatto che tutta la pellicola è sospesa in un'atmosfera allucinata e irreale, di sogno appunto.
Ai meccanismi dell'attività onirica rimanda il complesso impianto spazio-temporale di "Palombella rossa". Anzitutto, il tempo, inteso come successione cronologicamente ordinata di istanti, non esiste più. La piscina in cui si gioca la partita costituisce infatti una dimensione "altra" in cui il tempo si allunga, si contrae, si accelera e si rallenta. Non è solo una questione di carattere tecnico o narrativo (l'uso del ralenti, ad esempio, o dell'ellissi), ma una questione sostanziale. La partita perde infatti ogni aggancio con la sua durata canonica e si protrae magicamente fino a notte inoltrata. Tutto è arbitrario, tutto può succedere, anche che sul più bello i giocatori abbandonino il campo per andare ad assistere, davanti al televisore, alla scena finale de "Il dottor Zivago". E tutto ciò, si badi bene, "naturalmente", senza che questo venga mai visto come una alterazione, una violazione della norma. Accade in fondo qualcosa di simile al meccanismo con cui il soggetto dormiente, allentando progressivamente i freni inibitori della propria razionalità, si inoltra per mezzo del sogno nel territorio dell'inconscio. Il tempo della partita praticamente non compare mai, se non a scandire gli ultimi fatidici secondi. Paradossalmente, però, questo scampolo di incontro è quello destinato a durare più degli altri (da solo occupa circa un sesto dell'intero film), in una sorta di parossistico prolungamento della tensione emotiva. La sequenza è memorabile: dapprima i due falsi rigori e la testata dell'avversario, quindi la scena già citata de "Il dottor Zivago", il ricordo della Tribuna Politica, e infine la canzone di Battiato, fanno sì che Moretti-Michele procrastini masochisticamente fino al limite dell'umana sopportabilità l'agognato orgasmo del gol, per scoprirsi al termine dolorosamente impotente (cioè incapace di segnare).
Se in "Palombella rossa" il tempo è arbitrario, lo spazio risulta altrettanto incongruo. Come in un sogno, Michele può essere dappertutto, egli sembra possedere il dono dell'ubiquità: noi vediamo, ad esempio, Michele seduto in panchina, durante un'azione di gioco che porta la squadra avversaria al gol; quando la macchina da presa inquadra il pubblico esultante, ci accorgiamo con sorpresa che, sulla terrazza che sovrasta gli spalti, c'è ancora lui, Michele, che cammina pensosamente avanti e indietro. Lo spazio del film si compone di più livelli: quello dove si gioca la partita e quello in cui, magari a pochissimi metri di distanza, è possibile estraniarsi completamente, vuoi per un'intervista televisiva, vuoi per una conversazione con la figlia od una rievocazione dell'infanzia. Si tratta di uno spazio che, pur nel realismo degli elementi oggettivi (una piscina anni '50, con i muri dalla vernice celestina, le gradinate di cemento, una veranda e un bar), appare fondamentalmente indeterminato, indefinito. A tratti sembra anzi un luogo prevalentemente psichico (come l'Overlook Hotel di Kubrick o la Tana kafkiana), del tutto incapace di fare da argine ai mostri generati dall'inconscio. Dai suoi confini slabbrati irrompono incessantemente personaggi indesiderati (i due ossessivi, il sindacalista, il cattolico), che sembrano sapere su Michele più cose di quante lui stesso ne conosca (come i personaggi de "Il processo" di Kafka nei confronti di Josef K.), che gli si rivolgono familiari e insinuanti, arroganti e supponenti, che si ostinano a tirarlo dalla loro parte e che, per la loro natura, assomigliano a fantasmi della memoria, a rimorsi, a complessi di colpa, a materializzazioni di paure vanamente rimosse nel passato. Ad essi è impossibile sfuggire, ed è altrettanto inutile cercare di controllarli e dirigerli (i due ossessivi, ad esempio, implorano Michele di parlar loro, ma quando Michele tenta di aprire bocca, quelli non gli lasciano dire nulla).
D'altro canto, se è innegabile che l'acqua appare come un luogo protettivo, un elemento risarcitorio, una sorta di liquido amniotico in grado di dare a Michele alcuni dei pochi momenti di appagamento, è altrettanto vero che la piscina è il luogo della solitudine e della sconfitta. Michele, intellettuale-militante in crisi che vorrebbe ripartire da zero, vede infatti svanire nella piscina l'utopia che ha accarezzato con feroce determinazione. L'acqua è, soprattutto, l'elemento che fa sentire la fatica di dire certe cose (agli attori, costretti a recitare in modo inusuale e improbo, e a Michele, che nell'acqua si arrovella inutilmente cercando di dare risposta ai suoi interrogativi): magistrale, in questo senso, è la lunga tirata di Michele contro il linguaggio scritto, girata quasi in un unico, difficilissimo (per l'interprete) piano sequenza. L'acqua è infine il luogo dell'incomunicabilità per eccellenza, lo spazio in cui le domande ("Perché tutta questa paura di noi?") o le preghiere ("E non hai pietà tu di me?") cadono, inascoltate, nel vuoto.
Tempo e spazio creano, come si è visto, un contesto di sublime irrealtà, in cui ambiente, azioni e personaggi sono spesso immotivati o incoerenti. Che dire, ad esempio, della veranda-studio che sovrasta la piscina e che serve a Valentina, la figlia di Michele, per prepararsi agli esami? E delle innumerevoli contraddizioni che popolano il film? Non può sicuramente sfuggire il fatto che la partita inizi di giorno, a spalti quasi vuoti, e ad un tratto (non gradualmente, ma proprio così, di colpo) ci si trovi in piena notte, con la tribuna gremita di tifosi. Si tratta, è ovvio, di contraddizioni volute dall'autore, che hanno (lo dico a costo di ripetermi) lo scopo di conferire al film la magica libertà del sogno e dell'esperienza psichica. Allo stesso tempo, però, Moretti dirige la pellicola con un'attenzione estrema per gli aspetti realistici. Sfruttando il suo passato di pallanuotista di discreto livello e facendo ricorso a veri giocatori, il regista ritrae la pallanuoto in maniera perfettamente credibile, evitando tanto le fastidiose falsificazioni di tanti film pseudo-sportivi (in cui il protagonista – automobilista, pugile o fantino che sia – finisce sempre per apparire come una appendice posticcia dell'ambiente sportivo autentico) quanto i cliché delle riprese televisive (fatte soprattutto di campi lunghi e di inquadrature indifferenziate). La cosa più importante è però un'altra: la partita, pur non essendo il perno del film, non è neppure un puro e semplice pretesto narrativo, accantonabile con noncuranza nel momento in cui l'intenzione metaforica del regista ha finalmente modo di dispiegarsi. "Palombella rossa" è un film che parla della politica, del linguaggio contemporaneo, della memoria, della incomunicabilità e di tante altre cose ancora, ma è anche un film in cui due squadre si affrontano per vincere il campionato, e questo scontro è condotto con un uso sapiente della suspense (come finirà la partita?), fino al fatidico rigore finale. Non solo, ma in un film frammentato, discontinuo, fatto di cesure e salti temporali, di centinaia di schegge impazzite, la partita di pallanuoto è ciò che permette di tenere unito il tutto, l'intimo elemento di coesione. E' peraltro stupefacente come Moretti, anche laddove il film prende altre direzioni, non perda mai di vista la verosimiglianza. Quando la macchina da presa, in una delle numerose divagazioni extra-agonistiche del film, inquadra il bordo-vasca, spesso nel campo visivo continuano a entrare frammenti di gioco, quasi a voler ricordarci che la gara sta proseguendo; e quando, fuori della piscina, Michele (polo principale dell'azione) inveisce contro la giornalista per avere usato nel suo servizio espressioni sbagliate, a pochi metri da lui l'allenatore (polo secondario) continua a sbraitare verso la vasca. Insomma, il massimo del surrealismo si accompagna al massimo di realismo, come solo nelle opere dei grandi artisti è dato di vedere.
Questo atteggiamento, solo apparentemente contraddittorio, rende plausibile una lettura del film articolata su più livelli. Prendiamo, per esempio, la canzone di Battiato che Michele ricorda, nell'ultimo, decisivo flash mnemonico, di aver cantato alla Tribuna Politica e che il pubblico intona con lui in piscina. Ebbene, è indubbio che le parole del cantautore ("Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri, non accontentarmi di piccole gioie quotidiane, fare come un eremita che rinuncia a sé") siano da prendere alla lettera. "Palombella rossa" è un film contro la volgarità, il cinismo, l'indifferenza, e la canzone di Battiato, con il suo testo "impegnato", traduce tutto questo in un inno facilmente comprensibile dal pubblico. Così, quando Michele canta "questo secolo ormai alla fine, saturo di parassiti senza dignità", egli non fa che esprimere il suo savonarolistico disprezzo per il mondo contemporaneo. Contemporaneamente, però, la canzone cantata all'unisono dal pubblico (che diventa una cosa sola con Michele) crea una atmosfera trasognata e incantata: cala la violenta tensione agonistica, viene messo a tacere lo spirito di squadra, si forma una magica armonia in cui tutti si sentono reciprocamente affratellati. Ecco il secondo livello di lettura: la canzone non è solo un messaggio, più o meno esplicito, lanciato al pubblico, ma esprime simbolicamente la speranza che il mondo possa andare, una volta tanto, secondo i nostri desideri, anche se tutto ciò è un'utopia. C'è infine un terzo livello sul quale agisce la canzonetta, livello che si può definire strutturale. La canzone, cioè, si inserisce come corpo estraneo nella struttura del film, apportandovi una componente straniante ed incongrua. Non ci si aspetterebbe mai che, in un'intervista pubblica, il funzionario di partito si metta, con un'espressione seria e concentrata, a cantare, o che la partita venga interrotta da un simile intermezzo extra-agonistico. Ma questo stravolgimento è l'essenza stessa di un film che non intende stare alle regole e rispettare i canoni cinematografici tradizionali, che spiazza e disorienta in continuazione.
Lettera, simbolo, struttura: "Palombella rossa" gira incessantemente intorno a questi tre cardini. Come tutti i film morettiani, "Palombella rossa" è anzitutto riconoscibilissimo e comprensibilissimo ancorché ci si voglia limitare all'assorbimento meramente testuale e diegetico: non c'è nulla che impedisca a chi lo voglia di appassionarsi all'andamento della partita oppure di ridere di Michele che prende a schiaffi la giornalista. Moretti non nega il piacere "popolare" di una empatia istintiva e immediata, fatta anche di battute destinate a rimanere scolpite nell'immaginario collettivo (basti pensare al famoso "facciamoci del male", diventato ben presto un modo di dire abbastanza diffuso tra i giovani). E' chiaro tuttavia che il film è anche (e soprattutto) costituito dalla sua componente extratestuale, giacché "Palombella rossa" ha una evidente (seppure non facilmente decifrabile) connotazione allegorica. La partita di pallanuoto è infatti qualcosa di più di un incontro sportivo, è una metafora della vita e del mondo di oggi. Questo livello plurimo di lettura influenza anche la qualità del simbolismo, che nel film di Moretti è eccelsa. Recentemente ho avuto modo di vedere un deludente film di Fernando Solanas, "Il viaggio". In esso i simboli abbondano, ma sono quasi tutti pedissequi e grevi: per far vedere che l'Argentina sta affondando, Solanas non trova di meglio che inventare una inondazione che allaga le strade di Buenos Aires; per dimostrare che i paesi latino-americani sono asserviti all'imperialismo statunitense, escogita un congresso dei "Paesi Inginocchiati", dove i vari membri parlano e si muovono stando proprio così, in ginocchio. In questo (e in moltissimi altri) film il simbolismo non si innalza mai al di là di una soglia di pedestre didascalismo, in una sorta di scala 1:1 tra situazione simboleggiata e simbolo. In Moretti ciò non avviene: affine per molti versi a "La tana" di Kafka, la piscina di "Palombella rossa" è sì emblema dei grovigli della psiche umana, ma anche luogo concreto (al punto che si possono afferrare persino gli odori) in cui agiscono personaggi straordinariamente vivi e si succedono situazioni narrative in sé perfettamente concluse e autonome. Si prenda ad esempio la scena del rigore: i dubbi che portano Michele a sbagliare il tiro (e che vengono splendidamente espressi con il ralenti ed il monologo interiore, ad indicare la diversa velocità del pensiero rispetto ai movimenti del corpo) simboleggiano sicuramente le autodistruttive esitazioni di un partito che, a furia di non saper trovare una precisa e coerente collocazione storica e politica, ha finito per perdere la propria identità, ma nel contempo sono i dubbi istintivi che attanagliano qualsiasi giocatore che si trovi nella condizione di dover tirare un rigore (tiro a destra oppure a sinistra?), e perciò sono perfettamente assimilati alla situazione scenica, possono essere cioè compresi anche senza la mediazione della decifrazione crittografica. Per finire, questa dimensione extratestuale interagisce con la struttura filmica, diventa cioè modo di essere del film, al punto da fissare le sue stesse coordinate stilistiche (la surrealtà, la comicità, l'ambiguità spazio-temporale). Così, l'acqua alta che, ad un certo punto, impedisce a Michele di avanzare può essere facilmente spiegata con una specie di fobia infantile riemersa attraverso i ricordi; simboleggia, ad un secondo livello (ancora una volta il riferimento a Buñuel, e in particolare a "L'angelo sterminatore", è d'obbligo), la difficoltà di un partito di avanzare e la sua paura di contaminarsi andando verso l'infido "centro"; epperò è anche, per la sua incongruità (la paura dell'acqua alta per un giocatore di pallanuoto non è razionalmente ammissibile), una situazione comica, che rompe in una risata, attraverso la creazione di un sorprendente anticlimax, il ritmo della partita (un analogo ragionamento può essere fatto per molte altre sequenze, da quella de "Il dottor Zivago" a quella dell'intervista).
A questo punto, il passaggio dal cinema al meta-cinema diventa quasi ovvio. L'iniziale riferimento a "Otto e mezzo" del resto non poteva portare che a questo, a considerare cioè il film come una riflessione dell'autore sui meccanismi creativi della sua arte, sul suo modo di fare il cinema e di rapportarsi al cinema. Nelle scene in cui l'amico rievoca alla giornalista l'episodio giovanile della cattura del fascista, Michele sembra non a caso un regista posto di fronte a un'inquadratura venuta male ("Che scena orribile!"). Del resto, ho scritto più sopra che il tempo, in "Palombella rossa", si allunga e si contrae, si accelera e si rallenta, dando al film l'eterea dimensione del sogno: e cos'è in fondo il cinema se non un sogno molto particolare? Scriveva Luis Buñuel (ancora lui!) nel 1954: "Il meccanismo creatore delle immagini cinematografiche è quello che, fra tutti i mezzi di espressione umana, richiama meglio il lavoro dello spirito durante il sonno. Jacques Brunius ha fatto osservare che il buio che invade a poco a poco la sala equivale all'azione di chiudere gli occhi. E' allora che comincia sullo schermo e al fondo dell'uomo l'incursione notturna dell'inconscio; le immagini come nel sonno compaiono e scompaiono, il tempo e lo spazio cronologico e i valori relativi di durata non corrispondono più alla realtà; l'azione ciclica deve compiersi in alcuni minuti o in più secoli; i movimenti accelerano i ritardi". Se il cinema è soprattutto, come sostiene Buñuel, organizzatore di sogni, "Palombella rossa" è l'espressione all'ennesima potenza di questo cinema. Nello stesso tempo, in "Palombella rossa", è tutto il cinema di Moretti ad essere rimesso in gioco. Nel film compaiono infatti diversi spezzoni del primo cortometraggio del regista, un super 8 girato nel 1973 ("La sconfitta"). E', questo, un esperimento che già qualcuno prima di lui aveva tentato (Bergman, per fare un solo esempio, aveva utilizzato in "Passione" alcuni brani de "La vergogna"). Tuttavia in "Palombella rossa", oltre ad assumere una valenza quasi autobiografica, esso sembra esprimere la paura del regista di perdere la genuinità e la sincerità che avevano caratterizzato gli esordi con la cinepresa a passo ridotto. La ricerca da parte di Michele della propria identità può essere in fondo interpretata come la ricerca da parte di Moretti, dopo i successi di "Bianca" e di "La messa è finita", di nuovi territori cinematografici ancora da esplorare. Il pubblico, che col tempo ha finito per identificare il cinema di Nanni Moretti con un ben preciso cliché ideologico-generazionale, si aspetta ogni volta da lui la riproposta delle sue idiosincrasie, delle sue giaculatorie, del suo personaggio scarsamente integrato nella società in cui vive. Moretti non può sfuggire a tutto ciò, così come Michele non può sfuggire ai due ossessivi che lo perseguitano assillandolo coi dolci che lui preferisce. E allora, alla luce di questa situazione "freudiana", la "palombella" non può essere proprio il simbolo di un modo di fare il cinema che, come il tiro a parabola che scavalca il portiere, è sempre uguale a se stesso, eppure ogni volta è abbastanza diverso da riuscire a sorprendere?
Essere uguali, ma al tempo stesso essere diversi: questo sembra essere l'assillo non solo di Moretti-regista, ma anche di Michele-deputato comunista. "Palombella rossa" è infatti un film a suo modo politico, che affronta in maniera quasi profetica (di lì a poco il PCI cesserà di esistere, trasformandosi in PDS) la crisi profonda di un partito e di un'ideologia. Moretti è ben attento ad evitare gli stereotipi del filone (peraltro scarsamente frequentato in Italia negli ultimi tempi) del cinema politico. "Non volevo fare un film realistico sulla crisi del solito militante comunista, i soliti dibattiti in una sezione lontana, …, la solita telefonata triste alla solita moglie solitamente in crisi (perché le difficoltà politiche vanno sempre insieme nei soliti film alle difficoltà familiari), i soliti discorsi con i soliti figli che non ti capiscono e che tu non capisci… Insomma, non mi andava di fare il solito film di sinistra sulle solite contraddizioni di un comunista". Come si è visto più sopra, Moretti sceglie la strada dell'astrazione e dell'allegoria. La perdita della memoria da parte di Michele viene in tal modo caricata di un significato simbolico e ricollegata ad altre sintomatiche amnesie del cinema morettiano, da quella di "Io sono un autarchico" (in cui ci si chiede che senso avessero le manifestazioni per l'Irlanda) a quella del protagonista di "Bianca" (a un certo punto andavamo tutti, era d'estate, andavamo tutti in Portogallo. Non mi ricordo più perché… Si, per andare a vedere un colonnello, si chiamava Otelo de Carvalho. Chi era?"). In "Palombella rossa" l'amnesia spezza il rapporto con il passato e lascia il protagonista senza più certezze né identità. "Dio è morto, Karl Marx è morto, e neppure io mi sento troppo bene" è una famosa battuta di Woody Allen, che si adatta perfettamente al personaggio di Michele. Quando egli esclama "Io sono comunista! Ecco chi sono, sono un comunista!", l'effetto è irresistibilmente comico, perché questa scoperta contiene in sé, direi quasi implicitamente, un che di anacronistico. A partire da questa singolare "auto-agnizione", tutto il film appare come un continuo tentativo di rimettere insieme i frammenti sparsi di una esistenza e di una militanza politica, al punto che l'amnesia assurge a essenza stessa della discontinuità strutturale del film.
Questo continuo arrovellarsi e scavare nel passato (prossimo e remoto) non è senza significato, perché il comunismo è una vera e propria religione laica, e come tutte le religioni vive di un rapporto "liturgico" con il passato, un vero e proprio cordone ombelicale con la tradizione e l'ortodossia dei padri. Smarrire questo trait d'union vuol dire anche perdere del tutto quella tensione ideale e quella coscienza di classe che, in anni ormai lontani, faceva sembrare davvero prossimo l'avvento di una nuova era, più libera e più giusta. Privato di queste radici, Michele vaga intorno alla piscina, completamente estraniato dalla partita, alla ricerca di una risposta plausibile al dilemma, più volte ripetuto, "cosa vuol dire essere comunisti oggi?". Intorno a lui una schiera di presenze minacciose ed enigmatiche lo tormenta senza sosta, amplificando i suoi dubbi e le sue contraddizioni: il sindacalista, che lo investe con una raffica di "alternative democratiche", "riforme di struttura" e altri assiomi che riempiono la bocca ma non dicono nulla; il ciellino, che si ostina ad assimilarlo a lui; gli ossessivi, che gli agitano davanti un ideale di terroristica purezza e moralità. A queste presenze e a chi, come l'arbitro o l'intervistatore della Tribuna Politica, gli rinfaccia l'inutilità del suo partito, Michele non sa opporre altro che una impacciata retorica e un sempre meno convinto dogmatismo. Persino i flash che fanno riaffiorare dall'oblio alcuni episodi del passato non servono a molto: la scena del fascista gli appare disgustosa ("Che scena orribile! Ma davvero è successo tutto questo?"), i suoi esordi in politica sono altrettanto pieni di interrogativi ("Non vedremo mai il comunismo?… Almeno un pezzetto della fase di transizione!… Sì, ma siamo seri, ma che ci frega a noi dei desideri delle masse?") e gli valgono un ceffone da un compagno di partito.
La raffica di "Ti ricordi? Ti ricordi? Ti ricordi?" che l'amico di un tempo indirizza a Michele fa addirittura sorgere il dubbio che quest'ultimo, vittima come il Funes di Borges di una memoria divenuta troppo ingombrante, abbia inconsciamente desiderato di azzerare il proprio passato, per cercare di sfuggire al fallimento ideologico di una intera generazione e avere in tal modo la possibilità di ricominciare da capo. Ma – sembra chiedersi Moretti – c'è ancora bisogno di comunismo? Il regista romano è troppo intelligente per non porsi questo interrogativo con autoironia. C'è una bellissima sequenza in cui Michele, durante una fase di gioco sotto la porta della squadra avversaria, rivendica tetragonamente il diritto di cittadinanza del comunismo nella società contemporanea e stigmatizza l'ideologia volgare e falsa del capitalismo, mentre l'implacabile Budavari lo affonda ogni volta che gli riesce di toccare palla. La fatica del gioco è qui associata alla fatica di sostenere con coerenza una posizione politica che, nell'era dei consumi di massa e della trasformazione del proletariato in piccola borghesia, appare sempre più fuori moda e prevedibile, come la palombella che conclude l'azione, parata facilmente dal portiere avversario. L'autoironia del film sta nel fatto che Michele, pur dimostrandosi insofferente verso gli schematismi e la retorica in cui si è rinchiusa la sinistra, non è egli stesso capace di liberarsi di quell'antiquato armamentario ideologico, se non nei termini del patetico ricorso a una sterile utopia, come dimostra la sequenza finale. Michele non solo non sa replicare ai suoi avversari, ma, e questo è l'emblema della sua personale sconfitta (in fondo il film si potrebbe intitolare "La sconfitta 2"), parla addirittura come loro.
Per Moretti la crisi politica dei nostri giorni è innanzitutto (senza che ciò voglia apparire riduttivo) una crisi di linguaggio. "Palombella rossa" può anzi essere definito, nella sua interezza, una lunga e arrabbiata invettiva contro la corruzione mass-mediologica, politica e perfino sportiva della parola. Come un cavaliere templare investito della sacra missione di liberare la lingua italiana (scritta e parlata) dall'imbastardimento e dalla degenerazione che minano la sua originaria purezza, Moretti ingaggia, nevroticamente e maniacalmente (come più si confà al suo personaggio), una piccola, personalissima Guerra Santa. Per il regista romano il linguaggio è un fatto addirittura esistenziale: "Chi parla male, pensa male, e vive male. Bisogna trovare le parole giuste, le parole sono importanti"; e alla giornalista che lo investe con una improvvida sequela di modi di dire alla moda, di termini come kitsch, cheap, trend negativo, Michele non può trattenersi dal rifilare due sonori schiaffoni. La critica di Moretti non è però, come potrebbe apparire a prima vista, una critica alla "americanizzazione" del vocabolario, quanto a un uso gergale del linguaggio, a una sua settarizzazione che è anche becera chiusura degli appartenenti al gruppo nei confronti di tutti gli altri, e quindi simbolo della frammentazione sociale e dell'incomunicabilità. Di fronte a questa situazione, Moretti-Michele reagisce in maniera scomposta ed esasperata, prendendo letteralmente a pugni chi lo circonda. Ma tutto in "Palombella rossa" sembra congiurare contro di lui: il film è infatti il trionfo della logorrea, del vaniloquio e della chiacchiera. Le torrenziali verbosità che tutti i personaggi (dall'allenatore al sindacalista, dall'intervistatrice ai due ossessivi) riversano su Michele non esprimono concetti, non lanciano messaggi, non servono a spiegare, ma sono espressioni alienate e fini a se stesse, semplici emissioni vocali iterate fino al punto di perdere ogni aggancio con il loro referente semantico, in qualche modo reificate e ridotte a mera oggettualità.
La prospettiva di Michele, quindi, non è più solo quella di un moralista maniaco della purezza, ma di chi da una parte si rende amaramente conto della totale inadeguatezza del linguaggio a tradurre la complessità del reale, dall'altra avverte il pericolo insito nella volgarità dei mass media (casse di risonanza tanto onnipotenti quanto vuote del mondo contemporaneo) e nel loro uso, cinico e spregiudicato, della parola scritta. "Noi dobbiamo lottare contro il giornalismo, contro le parole sbagliate… Io odio la parola scritta, la vita di un uomo viene sporcata per sempre se qualcuno ne parla in un settimanale". Ma a essere messo in discussione è perfino il processo logico con cui i pensieri vengono tradotti in parole, l'atto stesso cioè con cui i pensieri vengono esteriorizzati, diventando oggetto di comunicazione: "Se io traduco quello che ho in testa in una formula semplice, allora lì fallisco. In testa ci stanno troppi pensieri". Ciò non è peraltro in contrasto con la crescente tendenza moderna a teorizzare su tutto, perché nel tentativo di razionalizzare si finisce in fondo per schematizzare, semplificare, convertire la poliedrica e multiforme realtà in bignamini buoni per ogni uso (vedi il manualetto sul PCI della giornalista, gli schemi tattici dell'allenatore e i grafici che l'assistente mette sotto il naso a Michele nel corso dell'intervista televisiva). Tanto, a giustificare ogni cosa può essere chiamato in causa quell'odioso luogo comune che è la "professionalità". "La mia professionalità mi impone… La mia professionalità me lo impedirebbe… nonostante la mia professionalità", quante volte si sentono in "Palombella rossa" simili espressioni, pronunciate dall'arbitro, dalla giornalista, dal cattolico, perfino dal barista. "Tecnica, professionalità e mestiere sono parole che non capisco. In Italia, quando si vuole salvare qualcuno, si dice sempre che è molto professionale. Che significa? In campo cinematografico, mi sembra, spesso significa credere che il cinema sia il luogo dove muovere a casaccio la macchina da presa", afferma causticamente Moretti in un'intervista. E come dargli torto?
Qual è quindi per Nanni Moretti la possibile via d'uscita? Paradossalmente, quella che più assomiglia a una risposta al chiasso insopportabile e al cicaleccio indifferenziato del mondo moderno è la curiosa filosofia propugnata dal "santone" di Simone il cattolico, per il quale la salvezza sta nel silenzio: "Il silenzio è molto difficile, quasi impossibile, è un gol, ma dopo… c'è l'armonia". Michele è sedotto da questa forma di catarsi spirituale, ma la censura impietosamente ironica di Moretti-regista non risparmia niente e nessuno: la "silenziosofia" del teologo viene mostrata per quello che è, vale a dire una ridicola cabala, un esoterismo da baraccone, una numerologia tanto fascinosa quanto ingannatrice ("Questo succede 163 volte nella vita – dice il teologo a Michele – dopo si muore… Ogni gol un silenzio, ogni silenzio un gol… 163 volte nella vita… oggi ne bastano tre o quattro"). Essa è comunque sintomatica di quella che è la condizione dominante del film, la solitudine. Il protagonista dei film di Moretti è sempre stato un solitario, un diverso, un non integrato, ma in "Palombella rossa" questo status assurge a livelli di vera e propria tragedia esistenziale. Anche se il pallanuotista-deputato Michele è il primo personaggio morettiano ad essere nello stesso film sia figlio che padre, e anche se per la prima volta non è lui a "rompere le scatole" agli altri, ma al contrario viene dagli altri incalzato, blandito e assillato, egli è totalmente, irrevocabilmente solo, e il gran parlare che fa per l'intera durata del film non sono altro che monologhi, soliloqui, invocazioni senza destinatario. C'è in questo atteggiamento, ovviamente, un risvolto comico (mentre Michele, testardamente, sproloquia in piscina, intorno a lui il gioco continua del tutto indifferente alle sue parole), ma è pure presente un sottofondo di tristezza e di consapevolezza "in negativo", e addirittura – cosa per Moretti del tutto insolita – una punta di autocommiserazione ("Ma quanti anni sono che parlo da solo? E non hai pietà tu di me?"). Ad accrescere la solitudine di Michele c'è poi il fatto che le persone che lo circondano sono stereotipi, figure astratte, fantasmi svuotati di ogni individualità, semplici simboli di un ruolo sociale (l'allenatore, la giornalista, il sindacalista, il cattolico). Come tali non possono essere i terminali di una qualche forma di comunicazione, ma contribuiscono solamente a mettere in risalto la solitudine di Michele (che, alle cervellotiche spiegazioni tecniche dell'allenatore, risponde con una esclamazione solo apparentemente fuori luogo: "Non mi parli mai di te, non mi parli mai delle cose importanti della tua vita, dei tuoi ricordi").
L'incomunicabilità è quindi uno dei punti di arrivo di "Palombella rossa": si tratta però di una incomunicabilità (e di una alienazione) che non ha nulla di antonioniano, ma si camuffa dietro le parvenze di una falsa comunicazione (il linguaggio corrotto dei mass media), di una distorta idea del sociale (le rivendicazioni dei due ossessivi e del sindacalista) e, soprattutto, deve fare i conti con la schizofrenica personalità del protagonista. Michele da una parte vuole essere amato (come confessa alla figlia), dall'altra respinge violentemente la mano tesa del cattolico ("Michele, io sono contento che tu esisti, tu sei contento che io esista?". "No! No!"), da un lato si comporta con narcisistico egocentrismo o con aristocratica selvatichezza, dall'altro desidera ardentemente far parte di un gruppo (sia esso il partito o la squadra) e si lascia coinvolgere da interessi nazional-popolari (dalla politica a favore delle masse e della classe operaia fino al morboso interessamento per un film commerciale come "Il dottor Zivago"). Insomma, la dialettica tra conformismo e individualismo è in "Palombella rossa" particolarmente complessa. L'affermazione, più volte ripetuta, "noi siamo uguali agli altri, ma siamo diversi" è, prima ancora che una similitudine politica, il simbolo di una lacerante dissociazione psichica, emotiva ed esistenziale. Michele non si adatta a nessun ruolo e reagisce paranoicamente sia nei confronti di chi tende ad isolarlo sia nei confronti di chi si adopra per assimilarlo e omologarlo ("Tu sei come noi, noi la pensiamo allo stesso modo", dice ancora Simone a Michele). Se però all'inizio del film Michele appare completamente estraniato dal contesto (il che genera stupendi effetti comici, specialmente nelle inquadrature che ritraggono l'allenatore e i compagni di squadra che urlano verso la piscina mentre lui guarda assente in direzione opposta, oppure in quella dove, sempre nel pieno dell'incontro, passeggia solitario a bordo vasca, rimuginando chissà cosa), nel prosieguo, con la stessa subitanea immediatezza con cui si passa dal giorno alla notte, egli inizia a prendere gusto alla partita (alla vita?), prega l'allenatore di essere mandato in acqua, segna, lotta e si addossa alla fine persino la responsabilità di tirare il rigore. Ma il progressivo coinvolgimento emotivo di Michele nella partita (o nel film trasmesso in televisione, al quale egli assiste addirittura alzando in aria il pugno chiuso) sortisce il solo effetto di accrescere, come vedremo fra poco, la disillusione finale.
Ad un certo momento del film, si verifica un piccolo ma fondamentale avvenimento. Un ragazzo della squadra di Michele accende il piccolo registratore portatile e le note di "I'm on fire" di Bruce Springsteen si propagano in tutto lo stadio: improvvisamente la partita cambia volto, gli ossessivi che stanno inveendo al microfono rimangono interdetti, gli avversari si intimoriscono, la squadra di Michele, concentrata come durante una messa, si fa forza, l'allenatore e "l'uomo fondamentale della sua vita" si strizzano l'occhio, la rimonta può finalmente aver luogo. Ah! – sembra dire Moretti – se la vita fosse come nelle canzoni! A chi di noi, ascoltando ad occhi chiusi le sue canzoni predilette, non è capitato almeno una volta nella vita di sentirsi in grado di dominare il mondo, di far innamorare di sé la donna dei propri sogni, di dimenticare i suoi limiti per sentirsi davvero valente, coraggioso e giusto? E allora, in questi magici momenti, in cui la forza ipnotica dell'illusione prende il sopravvento, è possibile perfino credere che un film che abbiamo già visto decine di volte possa finire, una volta tanto, secondo i nostri desideri. La scena che si svolge intorno al televisore del bar, dove stanno scorrendo le famose sequenze conclusive de "Il dottor Zivago", è meravigliosa: giocatori e tifosi, completamente dimentichi della partita, si lasciano catturare dal melodramma e, travolti dai buoni sentimenti e dalla simpatia verso i personaggi del film, si illudono per qualche minuto di poter deviare gli eventi narrati verso il lieto fine. Davanti al video è tutto un coro di "Voltati!", "Bussa!", "Fatelo scendere!", e, quando Zivago stramazza al suolo colpito da infarto mentre la donna amata si allontana dalla piazza senza essersi accorta di nulla, l'eterogeneo e improvvisato pubblico si lascia andare ad un "noooo!" di rabbia e di delusione. L'idea di poter intervenire sul mondo è destinata a fallire miseramente, a rimanere una pia illusione oppure a subire un doloroso disincanto (come si può vedere nello stridente passaggio dal clima quasi religioso creato dalla canzone di Battiato alla prosaica rozzezza dell'incitamento sportivo). "Palombella rossa" è quindi una crudele e impietosa demistificazione di ogni genere di utopia. Lo stesso comunismo è per Moretti nient'altro che una chimera, una chimera rassicurante e in qualche modo necessaria, ma pur sempre una chimera: difatti il "sole dell'avvenire" verso cui tutti tendono, nel finale, con un grottesco e teatrale trasporto ha la stessa illusorietà di un "finto" lieto fine cinematografico, e saranno gli occhi del bambino, non ancora guastati da patetici infingimenti, a riconoscere e a svelare agli altri, con uno sghignazzo, l'inganno.
Il massimo grado dell'illusione è costituito per Moretti dalla ricerca di un presunto ideale di felicità nel proprio passato, e più precisamente nell'infanzia. Anche il regista romano ha, come Proust, le proprie madeleine, e non solo in senso traslato: il primo flash back mostra Michele bambino con una fetta di dolce in mano, mentre nella sequenza dell'incubo egli ruba addirittura una intera torta a un vicino di casa più piccolo di lui; sono infine le "merendine della mamma" ad essere invocate da Michele adulto nei momenti in cui il contrasto con la realtà si fa più doloroso. Ma la regressione nell'infanzia assomiglia a ben vedere meno alla proustiana ricerca del tempo perduto (manca infatti in "Palombella rossa" la ricomposizione dei conflitti interiori in un ideale di perfezione al riparo dell'azione disgregatrice del tempo) che agli elegiaci ripiegamenti nel passato di Virginia Woolf, sia pure passati al vaglio di una disincantata ironia. Come per l'autrice di "Gita al faro", anche per Moretti il fascino della memoria non è mai disgiunto dalla malinconica consapevolezza che qualcosa è andato perduto per sempre, che è stato fallito, senza neppure rendersene conto, l'appuntamento decisivo con il destino. L'evocazione del passato, anziché dare un duraturo sollievo, si tramuta così in un singhiozzo straziante ("Le merendine di quando ero bambino non torneranno più!… E neppure i pomeriggi di maggio!… Mamma!"). Il fatto è che Moretti, anziché lavare (parafrasando Enquist) i suoi "serpenti della pioggia", ossia anziché accettare il passato nella sua dimensione prosaica e reale, lo idealizza instancabilmente, lo trasfigura, mitizzandolo come un Eden perduto che egli cerca in extremis di recuperare per mezzo di un ritorno all'infanzia non privo di connotati edipici (ciò si vede molto bene nel lontano ricordo della trasferta in Liguria, laddove in contrasto con le parole di Michele adulto – "In quel momento ero felice" – le immagini ci mostrano il bambino che barcolla sotto il peso di due enormi borse, giurando che quella sarà la sua prima e ultima trasferta).
Come si è visto, Moretti mostra contemporaneamente il bisogno di aprire criticamente (e antagonisticamente) gli occhi di fronte alla realtà e quello, antitetico, di illudersi che la realtà sia un prolungamento del proprio io, della propria volontà, dei propri desideri. La disillusione, cioè la presa di coscienza del divario tra aspettative e realtà (la quale opera su entrambi i piani: il fallimento della ideologia comunista da una parte, la scoperta che il passato è passato, e non tornerà più, dall'altra), fa ripiegare il film su un tono dolente e tragico, che ha nell'amaro sfogo di Michele nel dopopartita ("Mi aspettavo di più dalla vita. Di più e meglio.") il suo momento culminante. Il film oscilla così tra i due poli opposti della comicità e della tragedia. Ciò che, tra le altre cose, rende "Palombella rossa" un grande film è proprio la capacità di far accettare anche le situazioni più tragiche, attraverso il loro inserimento in un contesto incongruo che le rende ridicole o grottesche, alleggerendo in tal modo la crescente tensione drammatica. Basti pensare alla scena, tragicomica per eccellenza, in cui Michele non riesce più a nuotare perché ha paura dell'acqua alta al centro della piscina, mentre l'allenatore, i compagni e perfino gli spettatori cercano di tranquillizzarlo come se si trattasse di un bambino impaurito. Del bambino, peraltro, Michele conserva gli irrefrenabili impulsi ludici ("Posso farti il solletico ai piedi? – chiede insistentemente alla figlia – Otto colpi di testa?"), la maldestra goffaggine (vedi il modo in cui salta in acqua quando entra per la prima volta in squadra) e l'inermità (egli è completamente in balia degli altri e viene da loro continuamente assalito, sia fisicamente che verbalmente, finendo spesso addirittura sott'acqua), in palese contrasto con i ruoli di responsabilità che riveste nella vita (padre, dirigente di partito, uomo-squadra da cui dipende la vittoria del campionato). Ciò che rende così unici i personaggi di Moretti (non solo il Michele Apicella di "Palombella rossa", ma anche quelli di "Sogni d'oro", "Bianca" e "La messa è finita") è proprio questo dualismo insanabile tra immaturità ("Io non lo voglio superare il complesso di Edipo", dice non a caso il protagonista di "Sogni d'oro") e saggezza, tanto che il famoso moralismo morettiano viene fatto apparire (con una stupenda intuizione da parte del regista) più come il maniacale sfogo di uno psicotico che come un equilibrato e consapevole comportamento etico. Ma siccome i film di Moretti richiedono sempre un ribaltamento del loro senso apparente, ecco che il suo moralismo, schernito, irriso e ridicolizzato, si prende la rivincita ed emerge alla fine, immancabilmente, come l'unica arma legittima per confrontarsi e lottare contro il mondo che non va.
In quest'ottica, che possiamo definire del paradosso, "Palombella rossa" approda a conclusioni non lontane da quelle dei film precedenti (è sufficiente pensare all'anticonformistica esaltazione del conformismo in "Bianca"). Dei film precedenti "Palombella rossa" ripropone anche le numerose idiosincrasie e fissazioni: dalle canzonette (che abbiamo visto essere l'unico mezzo per uscire dalle sabbie mobili del linguaggio) alle scarpe (i contrasti con la figlia) e ai dolciumi (i cartelloni pubblicitari che galleggiano in piscina prima dell'inizio dell'incontro, i dolci che i due ossessivi recano in omaggio a Michele, le torte dei flash back infantili). Vi sono poi situazioni che si ripetono, rimandi (se non addirittura vere e proprie citazioni) a un cinema concepito fin dall'inizio come un universo chiuso e autosufficiente: l'insopportabile giornalista della Tribuna Politica assomiglia moltissimo al camaleontico critico cinematografico che compare nei dibattiti di "Sogni d'oro", il tuffo in acqua per liberarsi dell'ingombrante presenza del sindacalista ricorda analoghe "fughe" di "La messa è finita", mentre ritorna (diventando anzi tema principale) l'ossessione del linguaggio come sforzo inesausto e violento di convincimento e persuasione. Rispetto agli altri film, però, "Palombella rossa" si segnala per una qualità stilistica nettamente superiore. Il cinema di Nanni Moretti non si è mai distinto, ad essere sinceri, per i suoi aspetti tecnici (anche se bisogna riconoscergli il merito di aver sempre preso le distanze dall'approssimazione e dal dilettantismo caratterizzante gran parte del giovane cinema italiano), ma, vuoi per una effettiva maturazione registica, vuoi per il geniale apporto di collaboratori come Nicola Piovani e Giuseppe Lanci (rispettivamente al secondo e al primo film con Moretti), "Palombella rossa" risulta finalmente un'opera di grande suggestione formale. "Palombella rossa" non sarebbe sicuramente la stessa senza quella malinconica marcetta che ricorda il suono di un carillon e che evoca così nitidamente l'età perduta dell'infanzia, per non parlare del bel tema principale, che introduce un indistinto senso di suspense e un oscuro presentimento di qualcosa che deve di lì a poco accadere (e che contribuisce quindi a controbilanciare la naturale propensione del regista a distanziarsi emotivamente dalla narrazione, raffreddandola). L'illuminazione di Lanci, che è a mio avviso il miglior direttore della fotografia attualmente attivo in Italia, è poi fondamentale nel conferire al film il suo particolarissimo assetto figurativo, fatto di colori netti e brillanti in piscina e di barbagli liquescenti al di fuori di essa.
L'acqua è, ovviamente, l'elemento con il quale Moretti deve misurarsi in continuazione per vincere la sua difficile scommessa registica. In un film ambientato non solo nell'acqua, ma dentro l'acqua, e dove, senza il ricorso a trucchi e finzioni, la cinepresa marca strettamente gli attori-giocatori, i problemi pratici non devono essere stati di poco conto, a cominciare dalla recitazione in perenne lotta con la fatica fisica di stare a galla e nuotare per finire alla predisposizione di postazioni mobili e galleggianti di ripresa. Pur in mezzo a tutte queste difficoltà, Moretti è riuscito a dare una grande lezione di stile. Innanzi tutto, la sua macchina da presa non è più, come nei film precedenti, prevalentemente al servizio di un montaggio interno all'inquadratura (e quindi immobile, a riprendere personaggi che si muovono in funzione di essa), ma appare maggiormente creativa, tendente a plasmare lo spazio per conferirgli nuove connotazioni, naturalmente nei binari di quell'ambiguità spazio-temporale di cui ho parlato all'inizio: si veda la scena in cui la camera zooma lentamente verso Michele e la giornalista, entrambi sullo sfondo, fino a ribaltare l'iniziale gerarchia visiva (le azioni della partita passano gradualmente in secondo piano fino a scomparire), o quella in cui dalla panoramica della tribuna dove i tifosi festeggiano il gol della squadra locale si passa, senza stacchi e sempre in campo lungo, all'inquadratura di Michele che passeggia meditabondo sulla terrazza sovrastante. C'è in Moretti il costante tentativo (o preoccupazione che dir si voglia) di allontanarsi da una immediatezza naturalistica di stampo televisivo: si spiegano così le azioni di gioco al rallentatore (dove il ralenti è in un caso realizzato addirittura in macchina), le quali hanno sempre una funzione emotiva e mai meramente descrittiva e spettacolare (come avviene in TV quando si rivede un gol alla moviola), oppure le numerose sequenze che spezzano il sincronismo tra immagine e suono. Quando Michele, dopo avere schiaffeggiato la giornalista, urla alla donna tutto il suo disappunto, ci accorgiamo che le parole da lui gridate non corrispondono ai suoi movimenti labiali, in quanto questi ultimi sono rallentati al fine di enfatizzare al massimo la radicalità del gesto del protagonista; oppure, quando il fascista dice a Michele: "Sai qual è la differenza fra noi due?", noi vediamo la coppia parlare sullo sfondo ma non riusciamo ad ascoltare la risposta. Tutto si svolge all'insegna dell'antinaturalismo e dell'ambiguità, al punto che non mancano nel film sguardi rivolti direttamente in macchina dal protagonista o raccordi di montaggio a comprensione ritardata (dopo che Michele, espulso per fallo di reazione, esclama sul bordo della piscina: "Mi ricordo! Mi ricordo!", fa seguito quella che noi crediamo essere una reminiscenza come le altre, e invece, incongruamente con le aspettative ingenerate, si rivela, con il protagonista addormentato sulla panchina della sua squadra, un vero e proprio sogno). Altrove il regista mira ad allargare inaspettatamente i limiti (e il senso) dell'inquadratura di partenza, come quando la macchina da presa, partendo dal piano ravvicinato della mamma di Michele che asciuga la testa del bambino, si allarga fino a comprendere nel campo decine di altre mamme che fanno la stessa cosa con i loro bambini (la scena, stupenda, ricorda vagamente il piano sequenza finale de "Il padre di Istvan Szabo").
Moretti in un'intervista ha detto che gli sarebbe piaciuto leggere nelle recensioni qualcosa di più sui suoi collaboratori e attori. Il gran parlare che si è fatto del coté ideologico del film e della performance dell'attore-regista ha lasciato infatti questi ultimi un po' in ombra, specialmente i secondi. Del tutto immeritatamente, a dire il vero, perché a mio avviso Silvio Orlando, Mariella Valentini e compagni sono di una bravura a dir poco sbalorditiva. Il primo, che con la sua vocina querula e sgraziata ripete con comica e insieme tormentosa frequenza "Marca Budavari!", disegna un personaggio indimenticabile (quello dell'allenatore della squadra di Michele), destinato a entrare di prepotenza nella storia del cinema. Perennemente in stato di agitazione e prodigo di criptici suggerimenti tattici, Orlando rappresenta meglio di tutti gli altri personaggi quello stato di afasia e di incomunicabilità cui inevitabilmente conduce un uso sovrabbondante e disordinato del linguaggio. Tra le scene più memorabili, vi è quella in cui, durante le ampollose spiegazioni del pre-partita che non interessano a nessuno, lo spogliatoio si svuota (come in "Io sono un autarchico" si svuotava la sala teatrale all'inizio del dibattito), ma Orlando non si scompone, continua a parlare come se niente fosse e, avvicinatosi all'unico ragazzo rimasto ad ascoltare, riversa su di lui la sua logorroica loquela. Mariella Valentini, da parte sua, non è da meno, e dopo l'analogo ruolo interpretato nel teatrale "Jack lo sventratore" ben difficilmente l'invadente idiozia dei mass media potrà trovare in futuro interprete più adeguato. Ma "Palombella rossa" è fatto anche di decine di personaggi di contorno, di caratteri appena abbozzati eppure penetranti ed incisivi, di veloci ma non per questo inutili apparizioni, di folgoranti cammei. Senza di essi il cinema di Moretti non sarebbe lo stesso. Non deve stupire perciò che, se chiudo gli occhi, la prima immagine di "Palombella rossa" che mi viene in mente è quella, marginale eppure bellissima, dell'irsuto istruttore di nuoto il quale, di fronte alle reticenze di Michele bambino a gettarsi in acqua, lo minaccia grottescamente con sempre maggiore veemenza e brutalità: "Guarda che ti porto in acqua alta! Ti porto in acqua alta!".

GianniArshavin  @  17/05/2016 10:56:22
   7½ / 10
Palombella rossa è un film scritto,diretto e interpretato da Nanni Moretti del 1989.
L'alter-ego del regista , Michele Apicella, dopo un incidente stradale perde la memoria, ma durante un'importante partita di pallanuoto dei flashback gli faranno lentamente ricostruire la sua personalità.
La pellicola è sicuramente uno dei film più personali del regista, dove mette totalmente a nudo il suo concetto di comunismo e la sua sfiducia nell'evoluzione che il partito ha avuto nel corso del tempo. Tramite la partita di pallanuoto(altra passione del regista) il protagonista ricompone i frammenti della sua memoria , per me una metafora per rappresentare la situazione del partito e di chi (come lo stesso Moretti) prova a comprendere e a muoversi in questa situazione di confusione.
L'opera come di consueto con il regista di Brunico non ha una struttura lineare e una narrazione canonica , la trama è composta da una serie di episodi collegati fra loro più dai temi che non dalla storia. Questa scelta stilistica può allontanare gli spettatori meno avvezzi al cinema di Moretti , causa una voglia dichiarata di non essere fruibile per il pubblico commerciale e per una certa dose di noia che questo stile comporta.
Nonostante l'ostico modo di fare film del cineasta , gli amanti del vero cinema troveranno qui dialoghi e riflessioni di sublime livello , un autore che esprime al meglio la sua poetica e una serie di scene cult entrate nell'immaginario collettivo (le parole sono importanti, ti vengo a cercare ,i'm on fire,voltati ! voltati!).
Dunque per apprezzare al meglio Palombella rossa bisogna entrare in sintonia con Moretti e lasciarsi trascinare dal suo cinema, cosa non sempre semplice ed immediata ma mai come in questo il gioco vale la candela.

Dick  @  19/01/2015 17:46:43
   8 / 10
L' unico film sportivo o uno dei pochissimi film a trattare della pallanuoto, sport che a noi italiano ha dato tante soddisfazioni, ma purtroppo non è al livello del calcio come popolarità.
Di Moretti ne preferisco altri, ma anche questo comunque è un buon film con momenti divertenti e altri più seriosi senza che manchi qualche citazione al cinema passato.

Invia una mail all'autore del commento Andre82  @  02/02/2014 14:28:42
   4 / 10
Basta!!! Terzo film che vedo con Nanni Moretti protagonista e terzo 4. Questo è l'ultimo tentativo! Film inconcludente, noioso, che non ho per nulla capito. Poi lui a recitare è negato!

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  06/10/2013 19:31:35
   7½ / 10
Ultimamente non solo le parole, ma anche le piscine sono importanti: lo è in 3 Donne di Altman, visto giusto poco fa dove hanno un certo spazio insieme ai murales dipinti da Willie. E' fondamentale in Palombella rossa, dove si gioca una partita della vita per Michele Apicella, l'alter ego di Moretti, imbrigliato in una confusione mentale, di mezz'età, umana e politica.
"Io...sono comunista" è un'amnesia, e dietro lo specchietto per le allodole che lo fa sembrare una commedia a tratti psicanalitica, cosa che in parte è, Moretti nasconde e neanche tanto il suo pensiero sulla fine del comunismo e degli ideali che hanno animato tanti.
A tratti è evidente l'omaggio felliniano, immancabile la presenza di scene cult ("Le parole sono importanti") anche se mi resterà per sempre la tante volte citata sequenza del "Voltati! Voltati!" urlato da tutti, coinvolgimento assoluto cinematografico e magia del cinema contrapposto alla rottura del tifo nella pallanuoto e soprattutto allo sfilacciamento politico che Moretti insinua in maniera maliziosa e leggera come suo solito.
Per il resto è il solito Nanni: narcisista autoironico, sperimentale in un film fatto più di sequenze slegate o ossessive (i dolci) che canonico.
Rivedendolo potrei parlarne più bene ancora.

Matteoxr6  @  02/06/2013 19:04:45
   7 / 10
Moretti è un grande, anche se a volte lo odio per certi suoi atteggiamenti.
Come sempre analizza e anticipa gli eventi. Palombella rossa è un'ottima metafora politica, impreziosita da alcune scene veramente divertenti. Bravo Nanni.

Cianopanza  @  16/03/2013 01:29:04
   8 / 10
Una critica un po' snob alla sinistra un po' snob. E come tale è splendido! Sprizza disillusione ovunque.

Guy Picciotto  @  05/03/2012 02:15:52
   7½ / 10
Moretti racconta la fine del mondo bipolare, la fine del comunismo, un sentimento popolare che è nato da meccaniche divine ahhahaha.
E lo racconta a modo suo, erano i tempi in cui Moretti era ancora in piena forma, lo resterà almeno fino a caro diario (grande), poi la china discendente.
Ma torniamo a palombella, la china discendente del pallonetto nello sport di pallamano è la china discendente di un mondo, e anche la china discendente del codazzo dei giornalisti-giornalai servi spaccia parole lobotomizza cervelli, le parole sono importanti dice Moretti, del resto è la sintesi del messaggio dei sofisti: tolto il sacro dalle parole, restano solo le convenienze alla Ghedini. Ci hanno abituati a diventare avvocati, ovvero a scindere il senso del logos dal senso del sacro, ad allontanare l'onestà dalla comunicazione, a separare il senso compiuto dal significato sociale. Ci hanno insegnato a difendere i mafiosi.
Ecco spiegato la deriva dell'attuale sinistra: ha imparato a parlare come la destra. Obama come Bush, D'Alema come Berlusconi, se non peggio. CGIL come Confindustria. Siamo ormai diventati tutti amerikani, e sono poche la nazioni che resistono all'impero ( per dirla con Toni Negri): Cuba, Iran, Venezuela, Cina e la Russia d Putin che ha i ******** ancora sotto nel voler difendere la medrepatria Russa dagli oligarchi ebrei sionisti che piombano come avvoltoi su gazprom e sulle appetitose aziende di stato russe.
Un motivo in più per ringraziare chi da sotto quella bandiera rossa ci ricordava ancora cosa era il sacro nelle parole, e quanto schifo faccia l'ipocrisia.
PS: non sono comunista, mai stato.

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Edgar Allan Poe  @  23/06/2011 15:54:38
   7½ / 10
"Palombella Rossa" è stato il primo film di Moretti che ho visto, circa un paio di settimane fa, credo. Oltre a questo ho visto anche "Il Caimano", ma penso che "Palombella Rossa" sia migliore, anche se la fotografia è secondo me inferiore.

Comunque sia, paragonerei questo film di Moretti all'"8 1/2" di Fellini, non certo per bellezza (il film del regista di Rimini è sicuramente migliore), bensì per la maniera in cui viene narrata la storia, i flashback e via discorrendo. Anche i finali dei due film hanno qualche analogia.
Rispetto al film di Fellini, però, ci sono diversi riferimenti alla politica, presenti anche ne "Il Caimano".

Complessivamente, positiva la sceneggiatura, passabili le interpretazioni, la fotografia un pò meno... credo che il 7 1/2 sia il voto più giusto.

benzo24  @  05/03/2011 14:32:51
   5½ / 10
film particolare per ambientazione e trama. forse troppo ambizioso e inconcludente. si salva qualche scena e la colonna sonora. il resto oggi risulta troppo pesante.

tonnorefanio  @  26/02/2011 15:24:31
   8 / 10
Arrivato al suo sesto lungometraggio, Moretti decide di fare il punto della situazione, ricorrendo a filmati di repertorio ("La sconfitta"), citazioni ("Il dottor Zivago") e auto-citazioni ("E non hai pietà tu di me"). E' il primo film veramente lineare di Nanni Moretti: ormai la voglia di sperimentare propria dei primi lavori è definitivamente cessata, e le tante idee che componevano i film del passato ora lasciano il posto ad una trama molto semplice, che il regista riesce adeguatamente a sviluppare. Secondo me è forse la prima volta che Moretti si sente a suo agio nella realizzazione di questo film, anche perchè i suoi prodotti successivi seguiranno più o meno lo stesso schema, raggiungendo una maturazione che avrà il suo punto più alto in "Caro Diario" (1993)

donfabios  @  10/01/2011 23:12:31
   8½ / 10
Linkerò una recensione che la pensa più o meno al mio stesso modo. (contiene spoiler)
Michele Apicella, personaggio principale di quasi tutte le opere di Nanni Moretti, è reduce da un discorso in televisione sulle vere ragioni del movimento comunista. Cos'è il comunismo? Come si muove, in Italia? E soprattutto: si muove ancora?
La pellicola si apre con il protagonista in macchina, che canta “E ti vengo a cercare” di Franco Battiato e che perde il controllo dell'auto, andando a sbattere. Sin dalle prime immagini viene mostrato il forte disequilibrio di Michele, i suoi dubbi, il suo cercare delle risposte dalle stesse domande ossessive di secoli. Le sicurezze di un tempo, quelle che lo spingevano anche ad atti crudeli (come fissare un cartello sopra un fascista, con scritto “sputatemi addosso”) oggi sembrano decadute. La genialità del regista è quella di raccontare tutto questo utilizzando la metafora della pallanuoto.
L'allenatore che parla, parla, parla, di possibili tattiche che si san già che non funzioneranno mai, ma poi devono funzionare per cosa? È chiave una delle prime frasi pensate da Michele: “sta parlando di uno sport. Ma quale?” Tutti si disperdono, tranne il più giovane. Forse l'unico che può ancora essere illuso da qualcosa. Gli altri si muovono per inerzia, per non tradire qualcosa che non si conosce più .
L'intero film, o quasi, viene girato dentro ad una piscina. I protagonisti principali sono quattro: la squadra vincente, la squadra perdente, il pubblico e l'emozione.
La spiegazione simbolica della squadra vincente e di quella perdente è quasi superflua (quando mai, i comunisti, hanno vinto in Italia?) , il pubblico rappresenta la classe elettorale, che soffre per le solite storie che si ripetono da decenni. Eppure, come ogni volta che il Dottor Zivago scende dal tram per raggiungerla (lei, l'amore) il pubblico soffre, così ad ogni elezione l'allegro (anche se non troppo) teatrino si ripete. L'attesa, il credere ancora in qualcosa. Per questo il sentimento è il quarto elemento portante della pellicola. Senza sentimento il comunismo non sarebbe esistito. Il sole dell'avvenire è solo un palla di cartone attaccata con lo spago, solo che ai tempi nessuno sembrò accorgersene.
Limitare questa pellicola ad una semplice autocritica del movimento sarebbe superficiale. C'è molto molto di più. Rappresenta non solo la sinistra di un tempo – ma anche quella di oggi, a ben vedere – ma anche quel giornalismo senza slanci, ricco solo di luoghi comuni e frasi fatte. Il giornalismo superficiale, supponente. Chiave la scena in cui Michele viene intervistato e si mette a urlare: Come parla! Con tutta la disperazione accumulata.
Michele si ritrova ad avere a che fare con individui urlanti, con i quali non riesce nemmeno a confrontarsi. In realtà, nessuno parla con nessuno, tutti si vomitano addosso le solite (in)certezze secolari.
Tutto ciò che vediamo è simbolico. Dalla squadra vincente (in partenza) che non spreca nemmeno tempo per preparare tattiche di attacco, in quanto conosce perfettamente la situazione dei perdenti (che hanno perso, perdono, e perderanno per sempre), dal pubblico intero che canta E ti vengo a cercare a cappella, in un momento di estasi comune, di aggregazione, che però finisce così come arriva, da un secondo all'altro, spinti ad urlare qualcosa di incomprensibile contro un nemico invisibile.
Significativi anche i paralleli con Michele da piccolo, quando tutto era ancora da decidere, quando avrebbe potuto cambiare sport, dall'inizio, senza perdere tutto quel tempo e ritrovarsi, trent'anni dopo, nella stessa situazione iniziale.
Una delle pelicole più isteriche di Moretti, critico e lucido. Alcune scene sono irresistibili. Come la visione pubblica di Dottor Zivago (con un uomo che dice: “Avvisatemi quando arriva il pezzo del tram che scappo, non resisto!”), il dialogo con la figlia e quello sopra citato del coro del pezzo di Battiato.
Da vedere più volte, per cogliere ogni sfumatura. Geniale.

da http://www.tellusfolio.it/index.php?prec=&cmd=v&id=5798 (Alice Suella)

The BluBus  @  13/12/2010 00:26:05
   8 / 10
goodwolf  @  09/06/2010 15:38:41
   6½ / 10
Ho come l'impressione che Moretti abbia fatto questo film più per se che per il pubblico, visto che il film è centrato esclusivamente sui suoi pensieri.
Non mancano scene assolutamente geniali (presenti in tutti i suoi film), come quella de "le parole sono importanti" o del calcio di rigore, ma in generale non ho apprezzato molto il forzare la mano sull'autocitazionismo e sull'incentrare il film attorno ai suoi pensieri, senza pensare troppo alla storia sullo sfondo, che praticamente non esiste.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  04/01/2010 18:32:03
   7 / 10
Idea iniziale geniale,svolgimento con qualche caduta di ritmo e con troppe assurdita'!
Non sono riuscito a trovare nessun nesso con "il dottor Zivago" ma probabilmente molte cose sono casuali!
Bellissimi i flash sull'infanzia!

2 risposte al commento
Ultima risposta 05/01/2010 15.42.19
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR foxycleo  @  16/11/2009 14:44:18
   8 / 10
Uno dei film più intimi e viscerali di Moretti.
Il suo alter ego, Michele Apicella, cerca di ricostruire durante una partita di pallanuoto i propri ricordi. Nella memoria del passato Michele trova domande irresolte, dubbi costanti e un forte senso di solitudine. Michele si ritrova a parlare da solo della crisi individuale e di quella del suo partito, il PC.
Un film non facile alla prima visione, ma molto interessante e decisamente ben scritto, con battute che rimangono impresse nella mente...
"Chi parla male, pensa male, e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!"

WildHorse  @  23/07/2009 00:32:26
   10 / 10
IL MIO FILM PREFERITO IN ASSOLUTO!
C'è magia in questo film, tutto si incatena nella frustrazione e nel desiderio di libertà! C'è rassegnazione, angoscia, malinconia, tristezza, futuro, passato, presente, arte, vita e morte, parole e pensieri, comicità e dramma, sport, metafore, retorica, anti-retorica, conformismo e anticonformismo, ma più di ogni altra cosa libertà e desiderio di libertà... questo film fa bene alla salute. fa bene all'anima. esce fuori da tutti gli schemi e non si presta a una vera critica, è incriticabile: è lì e basta, è lì e va visto. non c'è politica, è assolutamente apolitico! è un film magico lo consiglio vivamente a tutti!

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73  @  05/03/2008 10:25:13
   7 / 10
Grottesco,divertente,malinconico,eccessivo,urlato,intimo.”Palombella rossa” è un film cui possono essere affibbiati svariati aggettivi tra i quali però sono soprattutto viscerale e sentito ad adattarsi meglio.Moretti firma una pellicola che altro non è che lo specchio del proprio pensiero e della propria immagine,si cambia il nome in Michele Apicella e si regala un’identità nuova.Ovvero quella di un giocatore di pallanuoto ma anche politico e comunista convinto,privo di memoria dopo un incidente automobilistico.Il suo graduale recupero dei ricordi gli permetterà di analizzare tutti quegli elementi che lo hanno costretto ad una crisi d’identità di notevole portata.La pallanuoto è qui metafora della vita e della politica,due fattori legati indissolubilmente secondo la visione morettiana dell’esistenza,la piscina è la cornice in cui si muovono i personaggi salienti del vissuto di Michele e tra metafore ed allusioni di vario genere un po’ ci si diverte ,un po’ci si immalinconisce ed un po’ ci si annoia.Infatti non tutto scorre perfettamente,Moretti è arguto nella messa in scena,ma a tratti il suo pensiero pare essere troppo personale per essere compreso fino in fondo o semplicemente condiviso.Il disagio dell’autore è comunque ben riportato attraverso le parole del suo alter-ego,che utilizza quasi come un anti-stress per esorcizzare quell’insoddisfazione che lo ha colpito a sorpresa nel mezzo del cammin della sua vita.Il regista/attore si mette a nudo,esplicita tutta la sua rabbia e il suo malessere,alternando momenti riusciti ad altri piuttosto superflui o poco coinvolgenti.
Personalmente pur non amando granchè Moretti ho trovato interessante la sua voglia di esternare con sincerità e soprattutto senza vergogna i propri sentimenti.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  26/02/2008 17:24:43
   9 / 10
Insieme a Sogni d'oro è il film più personale di Moretti. Un Michele Apicella-Ultimo atto. Identificazione fra la crisi personale e crisi del partito comunista, senso di spaesamento. Il continuo attingere ai ricordi dell'infanzia e della giovinezza politica invece di dissipare, creano altri dubbi che confluiranno nel finale beffardo e molto amaro. Secondo me uno dei migliori film di Moretti, con un ottimo Silvio Orlando.

Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  18/12/2007 09:30:51
   7½ / 10
Come ne "Il Caimano", dove il tema del Berlusconismo dà la stura per una serie di riflessioni su tutto un "modus vivendi" che sta prendendo piede nell'Italietta di oggi, anche in "Palombella Rossa" la crisi del PCI costituisce lo spunto per rappresentare la crisi di una intera società civile e, soprattutto, il disagio interiore che ne riviene. Probabilmente si tratta di un film molto più "intimista" di quanto si possa pensare. A mio avviso Moretti, rappresentando un'Italia dominata dall'opportunismo e dall'ipocrisia (quella dei mass-media, della politica, del mondo clericale ecc...), coglie l'occasione per descrivere la crisi di coscienza di un uomo che, arrivato alla soglia della mezza età, si rende conto che per più di trent'anni ha vissuto secondo i dettami imposti dall'esterno, secondo regole, schematismi e faziosità che non hanno fatto altro altro che frustrare la sua autodeterminazione, intesa come libera crescita individuale. A questo proposito Moretti utilizza la metafora della squadra di pallanuoto per indicare l'impossibilità di liberare la propria fantasia e di agire al di fuori di rigidi schemi.
Quello del regista trentino (per quanto ho potuto finora vedere) è un tipo di cinema che non è nelle mie corde; tuttavia devo riconoscere che le riflessioni e le tematiche ad esso sussunte sono interessantissime e validissime.
Mezzo voto in più per la scena in cui il protagonista ammonisce la giornalista sull'uso delle parole, rimproverandola per il ricorso a vuoti e insignificanti anglismi (di moda nel limguaggio moderno) che snaturano il senso dei concetti che si vogliono esprimere. Le parole sono importantissime, perchè attraverso di esse significhiamo i nostri pensieri e sentimenti; ma possono rivelerarsi delle vere e proprie "armi" quando vengono utilizzate arbitrariamente. In quest'ultimo senso, quella dei giornalisti viene dipinta come una sorta di "associazione a delinquere" che fa delle parole un uso "criminale", al fine di strumentalizzare e forgiare a proprio piacimento i concetti e i discorsi altrui.

edwood  @  12/11/2007 16:04:43
   8 / 10
Il film ci racconta, attraverso la metafora della perdita di memoria, la crisi un deputato del pci (siamo nell'89). Lo fa alla Moretti con ironia, satira, e indignazione senza sconti soprattutto verso il suo passato di militante "settantottino" (ti ricordi, ti ricordi, ti ricordi). Questo però è un gran bel film sportivo, il migliore (non ci vuole molto!) fatto in Italia, da antologia il rigore nella partita di pallanuoto.

Mizoguchi  @  02/11/2007 16:48:25
   9 / 10
Eccezionale ritratto di un uomo che per un banale incidente perde la memoria.
Presto realizziamo come Moretti passi dalla memoria alla Memoria.
Splendido come il film ambienti una tragedia morale così intensa in un contesto scialbo e quotidiano, di fine anni 80, con gli sport tra amici e i campetti di calcio...
Il film poi è eccezionale nel come i surreali ricordi si inseriscano in questa apparentemente banale realtà...
Mitica la canzone "e ti vengo a cercare" di battiato, qui esilarantemente stonata da moretti, usata come raccordo musicale tra la perdita della memoria e il rinsavimento.

Bathory  @  10/10/2007 17:13:14
   9 / 10
Sicuramente il miglior film di Moretti...Alcuni momenti di delirio politico-psicologico del protagonista sono storia del cinema italiano.. ECCEZIONALE!

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Giordano Biagio  @  27/07/2007 17:36:35
   9 / 10
Satira politica ed esistenziale tirata al massimo.

Moretti in gran forma illustra e giudica un vivere quotidiano politico e mondano divertente, apre con il moralismo, intelligente e riflessivo, le nuove brecce di cui aveva bisogno la cementosa commedia all'italiana per assumere forme diverse, più aggiornate con i tempi che cambiano.

Moretti rilancia la commedia italiana verso nuovi successi e riconoscimenti internazionali.

Può non piacere ma chi ha fatto meglio di lui negli ultimi 20 anni tenendo un rapporto con il cinema anche popolare?

davil  @  01/03/2007 20:38:30
   6½ / 10
film sopravvalutato. naturalmente come tutti i film di moretti non difetta di intelligenza, ma lo trovo in troppi punti irritante, autocompiaciuto, narcisista e retorico

Gruppo STAFF, Moderatore priss  @  01/03/2007 15:03:55
   6 / 10
va detto che non sono una fan di moretti e benchè riconosca l'originalità del montaggio ed il forte significato simbolico del sole di carta finale... sinceramente non è un film che si guarda con gran piacere.
le situazioni grottesche che si intersecano con l'infanzia a mio parere non sono riuscitissime e alla fine questo film non è altro che un must per gli affezionati... tutti gli altri possono farne beatamente a meno.

1 risposta al commento
Ultima risposta 08/12/2009 01.46.42
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  26/02/2007 00:17:48
   7½ / 10
Non è facile commentare un film come "Palombella rossa": lo vidi a un cineforum del Lido quando alla fine della proiezione entro' Moretti in persona incarnandosi (la modestia non è il suo forte eh) "l'ultima diva". ne parlai anche con lo stesso autore ma ero troppo giovane e inesperto per comprendere i legami che ne derivavano e ovviamente ero davvero emozionato di aver avuto l'onore (o l'onere?) di poter scambiare quattro parole con lui... chissà se riuscirei a farlo, oggi....

comunque alla luce del "dopo" è comprensibile che il film sia in un certo senso una prosecuzione magari piu' elegiaca di "Ecce bombo" o meglio un "ecce bombo dieci anni dopo".
Smaltita la sbornia dei trentenni del 77" delusi dal 68" primordiale, "Palombella rossa" è un film-chiave che racconta (secondo me ci riesce benissimo, ma pecca di demagogia gratuita) la crisi del Pci e dei tesserati, la svolta di Occhetto e il trasformismo delle alleanze (memorabili i due di cl che perseguitano lo spaesato Apicella - e se fosse il nostro Antoine di Truffautiana memoria? - allo scopo di dargli - metaforicamente - il "salvagente" della coalizione pci-dc).
Il film esibisce una luce diversa: Michele è raffigurato in un contesto pop dal quale pero' lo spettatore attiva la sua dipendenza intellettualistica, che a tratti è davvero verbosa e irritante.
Non è una commedia, ma fa di tutto per sembrarlo: la vera natura del film è quella di un film costruito per il grande pubblico che viene pero' inopinatamente "tradito" dalla veste di Cinema Politico.
E per questo anche il messaggio ideologico del Dr. Zivago rischia di perdersi soprattutto se uno spettatore chiede a Moretti "è uno dei suoi film favoriti?" suscitando ilarità nei presenti.
Chiedersi il perchè dell'omaggio al film di Lean è una delle tante faticose prove che lo spettatore dovrà superare per affrontare "Palombella rossa". Visto la prima volta, mi parve divertente. Visto la seconda, irritante. Dopo qualche anno, l'ho trovato splendido, e le caratterizzazioni dei giornalisti "tuttologi" e svuotati dalla coscienza dell'informazione è davvero spassosa.
Indica un grande amore per l'ideologia da salvare ("io... sono comunista" frase banalissima che esprime piu' concetti di qualsiasi altra, fino a commuovere) ma anche un solerte, ineffabile narcisismo.

Vegetable man  @  08/10/2006 15:36:44
   9½ / 10
La partita come allegoria della militanza politica. La palombella come metafora dello stato d'animo di un intero movimento allo sbando dopo il crollo dell'URSS. "Cosa significa essere comunisti oggi?" Dialoghi memorabili a parte, un film da antologia, all'avanguardia per lo sguardo del tutto particolare che getta su un periodo importante della nostra storia recente.

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER

gori55  @  29/08/2006 01:34:05
   10 / 10
la prima volta che l'ho visto( era il primo film di moretti che vedevo) c'ho messo una settimana per riprendermi.. mai visto niente di cosi futurista su video.. a mio avviso il comunismo è un mezzo con il quale moretti ci parla della sua distorsione(malattia?) mentale non il motivo.. un pò come un disco degli inarrivabili cccp.. le frasi e le battute da antologia si sprecano, ma la frase finale prima dell'incidente in macchina "siamo uguali, però siamo diversi" è la vera gemma del film, la sua impossibilità di comunicazione con chi dovrebbe essere uguale a lui mentre invece è profondamente diverso lo manda totalmente fuori di testa e il fatto che volutamente va fuori strada con sua figlia di fianco rende bene l'idea della sua sofferenza.. grazie nanni!!!

tavullia86  @  14/03/2006 15:07:03
   8 / 10
un film incredibile....apparentemente senza senzo ma che fa spanciare dal ridere davvero...nanni è un genio solo lui riesce a concepire il paradossale così!!!w nanni

3 risposte al commento
Ultima risposta 15/03/2006 09.06.47
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Rusty il Selvag  @  12/02/2006 02:02:13
   10 / 10
ma come parla!

le parole sono importanti!

i'm on fire

Invia una mail all'autore del commento tucciotucci  @  28/12/2005 17:08:30
   8 / 10
- Io non lo sò, però senz'altro lei ha un matrimonio alle spalle a pezzi.
- Che dice?
- Forse ho toccato un argomento che non...
- No...no...è l'espressione. Non è l'argomento, non è l'argomento, non è l'argomento...è l'espressione. Matrimonio a pezzi. Ma come parla...
- Preferisce "rapporto in crisi" ma è così kitch...
- Kitch! Dove le andate a prendere queste espressioni, dove le andate a prendere...
- Io non sono alle prime armi.
- Alle prime armi...ma come parla?
- Anche se il mio ambiente è molto "cheap"
- Il suo ambiente è molto...?
- E' molto "cheap".
- - PIM!
- Ma come parla?
- Senta, ma lei è fuori di testa!
- - PIM!
- E due. Come parla! Come parlaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa! Le parole sono importanti. Come parla!


ahahahahahahahahaha

film stupendo!!!!

ruimagico  @  18/08/2005 03:41:13
   9 / 10
a parte il fatto che adoro moretti questo è un film tra i più difficili e allo stesso tempo intensi.........
bellissimo

controsenso  @  04/08/2005 09:11:08
   9 / 10
Il crollo dell'URSS, lo scioglimento del PCI sono motivo di grande sbandamento e di disagio per tantissimi militanti, idealisti e intellettuali alla fine degli anni 80.
Secondo me questo è il film che fotografa meglio la crisi ideologica di quegli anni. Un Moretti sinceramente disperato e frustrato, surreale e delirante, che tenta di tracciare un bilancio alla sua vita e ai suoi valori, a cui resta dolorosamente legato. Non è un film facile.
Intenso e commovente il finale.

viagem  @  28/07/2005 14:14:55
   9 / 10
Palombella rossa è un dono che ci ha fatto Nanni, un regalo che va preso così, guardato, goduto e amato con ammirazione estatica. Non bisogna capirlo, solo contemplarlo!

2 risposte al commento
Ultima risposta 08/12/2009 01.51.24
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polbot  @  15/03/2005 13:43:35
   7 / 10
non per tutti..........

marco86  @  24/02/2005 22:52:23
   6 / 10
Voto:6,5
Al contrario delle persone che mi hanno preceduto,considero questo film un minore nella filmografia di Moretti.Alcune trovate sono come al solito geniali,ad esempio la guida della vita di cui tutti hanno bisogno(in particolare lo psicologo che sta sempre con l'arbitro che ha in cura),ma in generale il film sembra non dire nulla di concreto:insomma,Nanni mette tanta carne sul fuoco,ma questa volta non ha il coraggio di sbilanciarsi più di tanto.
Bellissimo il finale.

Invia una mail all'autore del commento Drughetto  @  11/12/2004 15:16:08
   9 / 10
un film bello, divertente a tratti spassoso ma anche serio e riflessivo.
Moretti più che regista è uno degli intellettuali di maggior spessore del paese.
film secondo solo a caro diario


dragonfly  @  26/11/2004 13:26:37
   8 / 10
Film altalenante, ma che conferma Moretti tra i più grandi registi italiani di oggi.

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