Conclusa il 22 marzo l'esperienza da giurata del Panorama Internazionale, sezione dedicata del Bif&st, è d'uopo rendicontare (giusto per usare un termine commerciale).
Anzitutto il giurato deve avere una totale disponibilità di tempo e di denaro in quanto non ha la possibilità di beneficiare di auto o autobus blu (alcuni giurati hanno speso una fortuna in grattini) e deve permanere nelle sedi di proiezione film (leggi "cinema" e "teatro") dalle cinque alle sette ore quotidiane entrando nel primo pomeriggio e rincasando quasi a mezzanotte. Ma cosa non si fa per la decima musa... E non si aggiunge la corsa tra due diverse sedi distanti tra loro a quindici minuti di deambulazione né l'obbligo di uscire tra una proiezione e l'altra con esposizione all'aere sia che il tempo sia sereno, o freddo o nuvolo o piovoso..
Sul piano squisitamente tecnico i film in concorso sono stati eterogenei; accanto a pellicole fruibili dal pubblico o a futuri sicuri "kolossal" si affiancano storie di nicchia, deliri estetici e lavori sicuramente destinati a non apparire in sala perlomeno nel nostro paese.
Un film che merita di trovare un distributore italiano è senza dubbio "Road North", un road movie finlandese diretto da Mika Kaurismaki (il fratello maggiore di Aki) che non a caso ha fatto vincere il premio come miglior interprete maschile al corpulento Falstaff finnico, il barbuto e simpaticamente politically uncorrect Vesa-Matti Loiri (protagonista del suo film).
"Paulette", il film francese di Jerome Enrico che ha dato un premio alla grande Bernadette Lafont come migliore attrice, arriverà sicuramente da noi; la storia della vecchietta che si mette a spacciare può ricordare un po' la mitica britannica Grace ma questo film ha dalla sua un quid differente e sprizza simpatia.
Di matrice diversa è "The girl and Death". Girato in varie lingue, in costume, il film ha molte pretese ma non riesce a prendere. A metà tra "Cime tempestose" e "La traviata", elegante e raffinato, potrebbe essere importato ma non rendere a pieno a causa del doppiaggio che falserebbe la natura multilingue della storia.
"Soldate Jeannette" e "Annelie", due pellicole made in Germany, incontrerebbero difficoltà nella distribuzione nel nostro mercato: il primo film è una pesante denuncia della società consumistica portato avanti però con estrema lentezza e tedio e riscattandosi solo a fine storia, il secondo, ambientato in un ex albergo occupato da persone problematiche e interpretato per la maggior parte da attori non professionisti, è un film di denuncia con scene e situazioni forti, droga, trans, prostitute; potrebbe essere distribuito in poche copie e ritirato dopo pochi giorni.
"When I saw you" e "Krugovi" (conosciuto anche con il titolo "Circles"), che ha vinto il premio come miglior film, invece appartengono a cinematografie minori e parlano dei conflitti irrisolti. Il primo è un film realizzato in Giordania, il secondo mostra quanto sia vitale la cinematografia slava.
Bello il greco/albanese "Agon" che entra nel vivo della problematica dei flussi migratori. Visionario e un po' ispirato a Freaks "Las mariposas de Sadournì", un piccolo film argentino con una splendida fotografia che però resta solo un preziosismo estetico e non ha numeri per essere fruibile in Italia.
Divertente l'iraniano "Meeting Leila" che narra le disavventure di un poveruomo che per amore vuole smettere di fumare dando un interessante sguardo sull'Iran di oggi.
Infine "Hannah Arendt" di Margarethe Von Trotta, il "film" per eccellenza che di sicuro riceverà premi e riconoscimenti a iosa.
Pellicole tra le più varie che ci si augura non rimangano solo da festival, in quanto la vitalità di una kermesse cinematografica è proprio data dall'uscire fuori dal suo ambito per darsi a tutti, senza restare solo nel diario di una giurata sia pur affannata dal tour de force imposto dal calendario di proiezioni.
Altra questione della quale non se ne può fare a meno; rivedi un film che hai amato alla follia nella tua infanzia, ma non ti fa più lo stesso effetto. Perché allora eri puro e le sfrenate e fantastiche visioni erano allineate con la gaia spensieratezza della tua infanzia (infanzia = tutto ciò che precede la masturbazione), mentre adesso vedi quel dato oggetto d’amor perduto per quello che è, ovvero una merda, perché non sei più bambino. Ecco, a me ‘sta cosa non ha mai convinto fino in fondo. Poi ho capito perché: perché è un po’ una minchiata. Il proustismo applicato al cinema è una cosa che non si può sopportare, anzi, aiuta a diventar nazisti. Non posso negare che ci sia un lato emotivo congenito e naturale dal quale è difficile separarsi, ma permettere che adeschi lo spettatore sino a fargli tralasciare i meriti di un film in sé mi pare un tantino superficiale. Ciò accade perché non si sta valutando un film che abbiamo visto nel, poniamo, 1984, bensì come eravamo noi nel 1984 (i più furbi di voi avranno capito che mi sto riferendo agli ultratentenni). “Io sono cresciuto, il film no”. E grazie al cazzo, che deve fare il povero film, crescere ed evolversi? Questo vuol dire utilizzare l’oggetto film come contenitore per le proprie emozioni e tralasciare meriti estetici e registici che forse non si era in grado di comprendere - ovvio. Ma non va mica bene che non lo si possa comprendere ora; tutti i conti in sospeso s’hanno da saldare. “Navigator”, “Legend” e roba varia non sono risibili (ora) perché noi siamo maturati; fanno schifo perché fanno proprio schifo. Ecco. Opinione insindacabile mia personale che però è vera (classica asserzione soggettiva che ha la pretesa di essere oggettiva, ed oggettivamente lo è – soggettiva). “Grosso guaio a Chinatown” ha segnato la mia infanzia facendomi venir voglia di lanciare coltelli a tutto spiano, ma era un gran film allora ed è un gran film adesso, al netto di quello che era il mio sguardo. “La storia infinita”, forse il film che ho visto di più nella mia vita, era essenziale prima ed è necessario ora. Forse un pelo invecchiato a causa del make up da cartoleria, ma ci può stare. “Explorer” sembrava un capolavoro, ma rivisto fa cacare perché fa cacare, adesso come prima. E, badensi, non è che da piccolini si accetta tutto passivamente per difetto di cultura e sintomatica sublimazione del fanciullo interiore di pascoliana memoria, che se Pascoli non avesse sdoganato questa terribile espressione io ero pure più contento; no, è che da piccolo uno è proprio scemo. Non ci si può far nulla, è una cosa correlata ai nostri geni; buttate un cucciolo di labrador in acqua e quello nuota, buttate un bebè e vi affoga. Ma non si può nascere direttamente a sedici anni?
Dal 16 marzo e fino al prossimo sabato Bari sarà il centro nevralgico dell'ennesimo festival di cinema voluto dalle varie commissions e dai fondi europei che finanziano.
Festival interessante e importante, festival che presenta anteprime di sicuro impatto (inaugura "Benvenuto Presidente", un film di satira politica di un'attualità sconvolgente) ma come tutte le manifestazioni, festival anche un po' legato a vari ingranaggi che non sempre sono comprensibili ai poveri mortali. Così il farraginoso meccanismo burocratico blocca legittime richieste per far spazio ai soliti noti e a chi ha avuto la ventura di conoscere il fantomatico "Picone" più o meno direttamente.
Auspicare un mutamento e una virata è un po' utopico ma nel bene o nel male questo festival vale la pena di seguirlo e vale la pena fare il punto delle varie giornate man mano che andrà avanti.
Di seguito alcune interviste di presentazione del festival:
Totò a fine anni Quaranta è stato impareggiabile interprete di "Totò cerca casa" film neorealista con inevitabile declinazione comica, in cui si affrontava la tematica della ricerca di un'abitazione da parte di un poveruomo rimasto senza un tetto dopo la fine della guerra per un bombardamento e costretto dapprima a vivere in un edificio scolastico requisito e poi a trovarsi altri rifugi fortunosi.
Negli anni Settanta Nino Manfredi è il capofamiglia di un numeroso nucleo di disadattati che vivono nelle baracche della periferia romana nel film di Scola, "Brutti, sporchi e cattivi", storia tragicomica in cui il tema dell'importanza di un'abitazione dignitosa ritorna prepotentemente in auge.
Dopo la sbornia del vacuo degli anni ottanta e novanta con storie improbabili di protagonisti ricchi e belli e le storie malinconiche del primo decennio del XXI secolo il nostro cinema (complice la crisi galoppante) vira nuovamente sulle tematiche neorealiste.Tornano gli operai, le case popolari e la casa che diventa un bene da inseguire.
Chiude il cerchio "Tutti contro tutti", riproponendo il dramma di un omino piccolo piccolo che si ritrova, nel 2013, a dover procurare un tetto alla sua famigliola.
Storicamente l'Academy ha la tendenza a premiare la stessa opera per i premi più importanti, cioè l'Oscar al miglior film e alla miglior regia sono spesso andati ad un unico film. Non sono mancate eccezioni, tuttavia, e l'ultimo caso di premio "disgiunto" risale al 2006, quando l'oscar al miglior film andò a Crash di Paul Haggis, mentre quello alla miglior regia ad Ang Lee per Brokeback Mountain. Prima del 2006 era accaduto due volte, se consideriamo solo il primo decennio di questo secolo: nel 2001 con "Il Gladiatore" (film) e Soderbergh (regista di "Traffic") e nel 2003 con Chicago (film) e Polanski ( regia per Il pianista). Dopo il 2006, non più, avendo l'Academy ripreso la tendenza ad attribuire le principali statuette alla stessa opera.
Potrebbe essere l'anno buono per riproporre un premio disgiunto?
Vediamo le rose dei candidati:
MIGLIOR FILM
"Zero Dark Thirty"
"Amour"
"Vita di Pi"
"Lincoln"
"Django Unchained"
"Argo"
"Beasts of the Southern Wild"
"Silver Linings Playbook"
"Les Misérables"
MIGLIOR REGIA
Michael Haneke per "Amour"
Benh Zeitlin per "Beasts of Southern Wild"
Ang Lee per "Vita di Pi"
Steven Spielberg per "Lincoln"
David O. Russell per "Silver Linings Playbook"
Se il premio rimanesse congiunto bisognerebbe quindi escludere a priori Django Unchained, Argo, Les Miserables e Zero dark thirty.
C'è lo Spielberg di Lincoln che di oscar però ne ha già vinti. Ang Lee con Vita di Pi è sulla falsariga di Spielberg, non tanto per i numeri quanto per l'aver ha già vinto l'oscar come miglior regista e come miglior film, sia pure straniero, con La tigre e il dragone.
Da tenere conto che solo Eastwood ha saputo fare per due volte l'accoppiata film/regia dagli anni novanta ad oggi (Gli spietati e Million dollar baby). E potevano essere tre, se Gran torino non fosse stato escluso dalle cinquine dopo aver fatto incetta ai Golden Globe.
In gara anche gli outsider. Haneke su tutti. Il cineasta austriaco si trova nelle stesse condizioni di Benigni con La vita è bella come nomination, perlomeno quelle più importanti. Difficile quindi che torni a mani vuote e L'oscar come miglior film straniero dovrebbe essere in teoria una formalità. Meno facile il discorso delle categorie assolute, perché premiare Amour significherebbe sfatare un tabù, l'ultimo dell'Academy, cioè quello di premiare come miglior film una pellicola straniera. The artist l'ha sfatato in parte, essendo un film muto, ma per Haneke la storia è ben diversa: un film straniero, non parlato in lingua inglese; una vittoria del genere sarebbe un miracolo e in fondo queste nomination sono una sorta di riparazione al fatto che un capolavoro come Il nastro bianco rimase scandalosamente a bocca asciutta.
Il lato positivo e Re della terra selvaggia sono delle vere incognite, e costituirebbero una gran bella sorpresa in caso di vittoria.
Certamente nel caso di due pellicole differenti per miglior film e regia i giochi si complicherebbero ulteriormente, perché le carte andrebbero a mischiarsi con combinazioni imprevedibili. Ma per vostra fortuna io qui mi fermo, ma se volete esprimere la vostra, fate pure.