Un giurato in un processo per omicidio si rende conto che potrebbe aver causato la morte della vittima e deve lottare con il dilemma se manipolare la giuria per salvare se stesso o rivelare la verità e consegnarsi.
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Un legal thriller davvero bello e coinvolgente, ben oltre le aspettative. La tensione è costante e ben costruita, tenendoti con il fiato sospeso fino all'ultima scena grazie anche a una regia attenta e a interpretazioni convincenti. Il finale, seppur possa apparire quasi tagliato, risulta coerente. Anzi, forse rappresenta la conclusione più efficace, evitando compromessi che avrebbero potuto dividere. Assolutamente consigliato.
Ennesima pellicola diretta con maestria ed eleganza dal veterano Clint che dimostra ancora una volta i pregi ed i difetti del sistema giuridico statunitense, con le sue imperfezioni e fragilità strutturali. Legal thriller di spessore dove scene e dialoghi sono inseriti al punto giusto ed il cast è ben diretto senza inopportune esagerazioni. Il protagonista "Justin Kemp", interpretato da Nicholas Hoult che oltre alla recitazione è perfetto nel ruolo con la sua faccia da bravo ragazzo, viene scelto come membro della giuria in un processo di presunto omicidio ma scoprirà ben presto la terribile verità sui fatti per un assurdo scherzo del destino. Il senso di colpa di condannare un presunto innocente o la priorità di proteggere la propria famiglia, un dilemma amletico che si porterà avanti per tutta la durata del processo. Spicca nel cast la bravissima Toni Collette nella parte dell'avvocato della pubblica accusa, J.K. Simmons e Kiefer Sutherland in ruoli minori. Non sempre la giustizia riesce a trionfare... Clint Eastwood ultra novantenne continua a stupire per la compattezza del suo cinema.
Allora non è facile giudicare quest'ultimo lavoro di Eastwood, arrivato ormai a quasi 95 anni. "Giurato numero 2" è un film che coinvolge ma non troppo, affonda ma non troppo, si stabilizza su livelli di medi, senza sprofondare nella retorica. Diciamo che rispetto al repubblicano medio, Eastwood dimostra alla sua età di avere ancora un briciolo di cervello per girare una pellicola del genere, ma a mio avviso non riesce a toccare vette precedenti (come per esempio "Gran Torino" oppure "Richard Jewell"), giusto per citare forse i suoi migliori film tra quelli recenti), ma almeno fa meglio di alcune sue opere di livello scadente (tipo "American Sniper" o "Ore 15:17 - Attacco al treno").
Ottimo film dell'anziano Clint. La fotografia è molto semplice e non ricercata, ma la storia con i suoi dilemmi morali ed etici, gli aspetti personali, il destino e la giustizia, si intrecciano in maniera estremamente coinvolgente fino all'ultimo secondo.
Discreto film del buon vecchio Clint alla sua ennesima fatica, è un legal movie interessante, che pone diversi dilemmi a partire dall'incipit, un uomo con la moglie che partorirà a breve viene chiamato a fare il suo dovere di giurato in un processo per omicidio, con un uomo apparentemente inaffidabile e con precedenti penali che è accusato di aver ucciso la fidanzata, presto si rende conto, approfondendo i dettagli del processo, che in realtà è lui l'omicida della donna, avendola inavvertitamente investita nella strada buia mentre tornava dal pub, a questo punto il film presenta il suo dilemma principale, l'onestà contro il senso di colpa, vale la pena costituirsi mandando all'aria tutta la propria vita? Considerando il passato burrascoso macchiato dalla dipendenza dall'alcool e la più recente rinascita in cui il protagonista sembra essersi fatto finalmente una famiglia.
La risposta è una sorta di via di mezzo, un procedere insicuro del protagonista che blocca gli altri giurati che stavano per condannare l'uomo colpevole all'unanimità, spinto da un forte senso di colpa, però senza rivelare l'accaduto, vorrebbe semplicemente assolverlo per pulirsi velocemente la coscienza e passare avanti, da qui diversi sviluppi attanagliano la trama con le giornate per il verdetto che si fanno sempre più logoranti e i giurati che cambiano spesso opinione, arrivando a situazioni di stallo abbastanza estenuanti per giuria, avvocati e imputato, facendo emergere sempre più dettagli e mostrando come il procedere dell'inchiesta sia stato marchiato dal pregiudizio verso l'uomo in questione, con la polizia che non ha indagato su altri sospetti ma si è limitata a cercare di dare ragione alla soluzione più evidente, ma oltre la componente prettamente legale, il film scandaglia bene anche le conseguenze sulla vita del protagonista, le indagini coinvolgeranno anche la moglie, tirata in causa dal pubblico ministero, facendo riemergere gli scheletri dell'armadio di quella sera, con i sospetti e le prove che inesorabilmente si vanno a stringere attorno al protagonista che passerà da una situazione di quasi scontata sicurezza di non essere scoperto, ad una sgradevole sorpresa finale che tiene lo spettatore col fiato sospeso.
Nel complesso è un legal movie niente male, stracolmo di dialoghi come buona parte dei film di questa tipologia, con un ritmo incalzante e delle ottime interpretazioni tra Hoult, Toni Collette e un ruolo secondario per J.K. Simmons.
Classico: se si dovesse scegliere una sola parola per definire e inquadrare il cinema di Eastwood, soprattutto quello degli ultimi 20 anni, classico sarebbe la parola più adatta. Con "Giurato numero 2" Eastwood si muove nell'ambito di un legal thriller che scandaglia la psiche di un neo-papà dilaniato tra senso di colpa e di giustizia da un lato e istinto umano alla libertà (in questo caso rifiutando la prospettiva carceraria proprio quando c'è una famiglia da godersi). Sono i temi cari al Clint di sempre e qui il nostro grande vecchio riesce a trovare un giusto equilibrio che piano piano perde di compattezza e finisce per essere un po' ripetitivo (la regia, classicamente mostrativa e di primi piani e piani americani non può in tal senso aiutare). Evitabile il richiamo alle motivazioni razziali presenti nella giuria (in questo caso "ribaltate", l'afroamericano che non sente ragioni e vuole condannare il bianco) perché finisce per dover inserire quasi forzatamente un aspetto che in questo caso non dona nulla all'opera.
Incredibile come Clint Eastwood sia come quel vecchio amico da cui puoi trovare puntualmente quello che ti aspetti. E dopo anni magari lo rivedi ed è sempre un piacere.
Si vede la mano di Clint si vero, ma la mano sinistra, e con la destra ben in tasca.
Eastwood dirige un delicato legal drama, che parte anche bene, ma perde di forza piano piano.
Inspiegabile il ruolo fugace dato a J.K. Simmons che poteva regalare invece grandi soddisfazioni. Non parliamo poi del povero Sutherland.
Resta altamente godibile, ma chi cerca il vero Eastwood guardi altro della sua filmografia. E chi è affamato di legal drama ha una filmografia americana sconfinata nel quale trovare maggiori soddisfazioni, che in questa pellicola.
Ci sono dei porti sicuri entro i quali ripararti e sentirti come a casa, dove si ritrovano valori e sensazioni positive comunque le cose decidano di andare. Per me i film di Eastwood funzionano un pò così: le storie sono spesso interessanti, i personaggi hanno sempre qualcosa da dire, la realizzazione è sempre di alto livello, insomma difficilmente deludono. Questo "Giurato numero 2" non ha la stimmate del capolavoro ma acchiappa l'attenzione dello spettatore praticamente subito, e l'abbandona all'ultimissima inquadratura. Collette e Hoult si ritrovano dopo essere stati madre e figlio in "About a boy".
Mah, a me sinceramente non mi ha convinto più di tanto; non è ne carne ne pesce, nel senso che non lo metti tra i thriller che ti tengono in tensione col colpo di scena finale ne tanto meno un giallo investigativo che ti portano a una rivelazione finale. Qui hai chiara volontariamente tutta la vicenda e la storia gira intorno a un unico concetto sul quale farti riflettere : "Giustizia o verità?" . Il film tende a farti immedesimare nel protagonista e nel farti chiedere cosa avremmo fatto noi al posto suo ed è così che va avanti per le 2 ore di pellicola con un ritmo neanche tanto veloce e in alcuni punti va verso la noia. Ci si sofferma mettendo sotto la lente di ingrandimento le pecche e il marcio del sistema giudiziario americano. niente male Nicholas Hoult nel ruolo del bravo ragazzo, sprecato invece J.K. Simmons e Kiefer Sutherland relegati in ruoli marginali e dimenticati nel corso della storia. La regia inutile parlarne : è sempre Clint! anche a 94 anni; ottima anche la fotografia....ma in buona sostanza preferisco altri lavori suoi ed è un peccato perchè forse questo sarà il suo ultimo film.
Non c'è niente da fare, buon sangue non mente. A 90 anni suonati Clint Eastwood dirige con mano sicura un film processuale che ci tiene incollati allo schermo malgrado si svolga quasi tutti all'interno di un aula di tribunale.
Il vero colpevole è chiaro fin dall'inizio ma non è il colpo di scena finale che intaressa ma come possa la coscenza umana cambiare parere, se condannare a vita un uomo o lasciarlo libero. Cosa gia' successa nel capolavoro di Lumet "La parola ai giurati".
Il potere che viene dato nelle mani di persone semplici, qualcuna capace di giudicare, qualcuno un po' meno.
Certo se devo trovare un difetto nella sceneggiatura mi chiedo come tra tutti i giurati scelti a caso ci sia finito dentro "proprio lui".
Resta comunque un film avvincente e riuscito, uno dei film migliori del 2024.
Un film classico, di cui sentiamo sempre la mancanza. Svolto per la maggior parte in un'aula di tribunale, dove la trama è costruita in modo sobrio. Protagonista bravissimo. Un po' veloce e irrisolto il finale.
Nonostante non impazzisca per i film "ambientati nei tribunali" il signor Eastwood ha realizzato un'opera interessantissima e mai noiosa che fa riflettere non poco. Ottimo il cast ma la cosa che più conta sono i concetti espressi...finale perfetto!
Vent'anni fa, con Mystic River, ci domandavamo come fosse possibile che Eastwood continuasse a realizzare a quell'età film così belli. Son passati 20 anni, ormai Clint è prossimo a morire e continua a fare ancora film belli. Certo, non entra in nessuna short list dei suoi lavori migliori, ci sono tante ingenuità figlie di una sceneggiatura appassionante, ma più da anni '80/'90 che da 2024, ma che gli vuoi chiedere a un ultranovantenne che continua ad appassionarsi e appassionare?
Il dilemma morale è alla base di questo dramma giudiziario, l'ennesimo prodotto targato Clint Eastwood costruito con cura e con dovizia di particolari e, soprattutto, di emozioni, capaci di coinvolgere pienamente e portare alla riflessione. Buona la prova del cast, sempre precisa la regia del buon vecchio Clint, per un film forte e capace di emozionare, che merita certamente la visione e una valutazione positiva.
Clint #2: lo smargiasso depistante La filmografia registica d'Eastwood tende a ricadere in due macrocategorie: l'eroe con o senza macchia. Nel primo caso la vulnerabilità dei protagonisti, il loro tallone d'Achille, li rende tanto umani quanto figure da tragedia greca; il secondo caso è riconducibile a un'apologia di sé come WASP anarcoindividualista la cui saggezza acquisita con gl'anni lo renderebbe un essere superiore. Purtroppo "in arti**** mortis" sceglie l'opzione presuntuosa: la gerontocrazia di Collette, Simmons e Messina sa come, dove, quando e quanto infrangere le regole pur di giungere alla soluzione, hanno ancora fede ("Faith") nei princìpi etici e nei valori morali, non si lasciano fregare dalle semplificazioni altrui, dai bias di conferma o dalle argomentazioni manipolatorie dei pischelli. Quanto disprezzo per quei neosposini. Fosse concesso loro il diritto di replica, liquiderebbero Clint in due parole: "Ok boomer". Ma cosa dire a un 94enne, "Ok matusa"?
Ritorno in grande stile per il vecchio Clint, con un film assolutamente fuori moda che pesca a piene mani dalla tradizione dei thriller giudiziari classici, da La parola ai giurati al filone anni '90 del genere, con il solito stile asciutto, classico, riconoscibilissimo e personale. Insomma un bellissimo film, coinvolgente e ricco di chiaroscuri, con la solita meravigliosa Toni Collette che ritrova Nicholas Hoult dopo avergli fatto da madre in About a Boy.
"In God we trust" In quel veloce primo piano sul finale la chiave del film. Primo tempo spettacolare poi si trascina un po' ma……il finale è 100% Clint Un Signor Giallo
Buon film del vecchio Clint che tiene alta la tensione dello spettatore dall'inizio alla fine. Il film si basa su un'idea di partenza non molto realistica ma sicuramente originale e che stranamente è già stata spoilerata da questo sito nella presentazione sintetica del film su in alto. Poi il film si sviluppa sempre con una trama poco credibile (nel senso di rispondenza a ciò che può succedere realmente nella vita) ma che tiene sulle spine lo spettatore, il tutto sorretto da un'interpretazione secondo me notevole del protagonista e da un'ottima regia di Clint, con riprese e primi piani sempre molto efficaci. Come già ricordato da qualcuno nei commenti, il film riprende un po' certi temi de "la parola ai giurati" di Lumet (capolavoro immortale con Henry Fonda) o di "Crimini e misfatti" di Woody Allen. Il finale aperto non del tutto convincente, tra l'altro con un passaggio improvviso al verdetto finale quando ancora i giochi nella giuria sembravano aperti. Comunque lo consiglierei senza dubbi.
JUROR #2 è una rarità. Non solo perché un film che parla di istituzioni e di moralità in maniera para-realistica, oggi, rappresenta un progetto che quasi tutti i cineasti troverebbero poco stimolante e che grossa parte del pubblico troverebbe troppo pesante, ma anche perché i registi in grado di trarne un film avvincente ed emozionante sono mosche bianche e probabilmente solo gli autori di vecchia generazione possono ancora padroneggiare questo genere. Questo film è quindi importante perché rappresenta una sceneggiatura ben scritta che entra in connessione con uno degli ultimi veri autori americani, che negli ultimi dieci anni ha diretto film (Sully e Richard Jewell soprattutto) simili tra loro, oltre che cinematograficamente bellissimi, perché ha qualcosa di molto importante da dire. Ed è un film statuario perché sembra non avere età e sembra esserci sempre stato, per i suoi temi e la sua forma che richiamano i grandi apparati sociali e i grandi dogmi umani quali giustizia e legalità. Ed è stata così tutta la carriera di Clint Eastwood, nato cinematograficamente, da attore, come giustiziere senza legge sessant'anni fa, e poi maturato come regista di film che riflettevano sulla giustizia privata, sullo stato di diritto, sulla necessità di una legge versatile e sull'importanza di eroi che arrivino dove le istituzioni non possono. Quest'ultima fatica rappresenta l'ennesimo suo testa coda riflessivo, l'ennesima occasione di mettere in crisi la sua stessa idea, di origine politica repubblicana ma che alla fine dei conti rappresenta un cinema di filosofia morale. Il tutto fatto in maniera estremamente coinvolgente.
In Giurato n.2 noi sappiamo già chi è il colpevole, solo che non è sul banco degli accusati. Un colpevole totalmente inconsapevole del proprio reato, che ha scoperto il proprio reato nel giorno in cui ha presenziato come giurato nel processo. Si potrebbe ricondurre a La parola ai giurati di Lumet, ma ad Eastwood non importa più di tanto le dinamiche. Importano i personaggi, che come mostra bene l'immagine inizia della dea bendata, simbolo della giustizia, sono anch'essi ciechi a fronte dei proprio ideali, dei loro pregiudizi, delle loro carriere. Semplicemente non vedono. Justin Kemp non è l'Herny Fonda di lumetiana memoria. E' un personaggio che precipita nell'abisso della propria coscienza e nel dilemma tra verità e giustizia. Ed il film di Eastwood scava in profondità, tanto che il giurato aggiunto, cioè noi spettatori siamo messi sotto scacco. In tutti i sensi perché dato che sappiamo che l'accusato è innocente, Justin Kemp è veramente colpevole, oggettivamente sulla base di ciò che abbiamo visto? Il ragionevole dubbio da spettatori esterni e terzi alla vicenda raccontata è lecita. Però Justin Kemp crede di essere colpevole. Quando si vedono veramente le cose, o almeno più cose di quanto credessi di sapere, anche un personaggio come il procuratore interpretato dalla brava Colette, bussola morale del film, è pervasa dal dubbio. Clint Eastwood ha 94 anni, non dico altro. Se altri registi, arrivando a quella veneranda età, riescono ancora a fare film di ottimo livello come questo, tanto di cappello.
il teorema è costituito da ipotesi: il sistema è composto da esseri umani, esseri fallaci tesi: la giustizia è fallace come chi la esercita e ne subisce le conseguenze
Film impeccabile, tesissimo, che squarcia in due lo spettatore che si ritrova consapevole che le responsabilità, l'etica e la giustizia non sempre possono andare d'accordo. In risalto anche la ferocia del meccanismo giudiziario americano che si affida alla giuria di semplici cittadini a cui viene consegnata la responsabilità del verdetto di colpevolezza, esposto a pregiudizi, abusi e negligenza giuridica che può, anche in assenza di prove, dichiarare un imputato colpevole. E tale rimarrà. Green card nemmeno se me la regalano.
L'ultimo lavoro di Clint è un po' come il fare della giudice; severo ma giusto. Giusto non in quel che succede, ma nelle dinamiche di come il giurato e questa storia si sviluppano. Abbastanza semplice sulla carta, in cui la mano abile del regista ci trasporta dentro la vicenda, lasciando allo spettatore tante domande senza risposta e che il finale esalta ancor più. Qui l'esperienza conta e Clint ne ha tanta e si vede. Lo so, è difficile che ripeta certi capolavori, però spero che questo non sia l'ultimo film di Clint Eastwood.
Legal Movie con un pizzico di pepe durante il quale Clint Eastwood ci racconta, come sempre, qualcosa sull'America e qualcosa sugli esseri umani. Nota positiva: mantiene le promesse del trailer Nota negativa: non c'è nulla in più del trailer
"una speculazione su come dobbiamo agire, su come devono essere le nostre azioni per essere giuste, orientate al bene, e, quindi, su che cos'è il bene, su qual è la legge (la norma) che dobbiamo seguire per realizzarlo" La verità è sempre giusta? È sempre giustizia, ci chiede Juror #2? Il privato l'intimità invade lo spazio pubblico le istituzioni e viceversa, la famiglia americana non è immune dai dilemmi pubblici morali ma dal loro fondamento o meno dipende e a 94 anni con un'asciuttezza apparentemente statica Clint lancia nell'arena macigni che solo all'apparenza hanno una soluzione. Nulla è scontato né scontabile. La famiglia si difende mentendo, essa stessa diventa parte del dilemma più ampio e morale sulla vita sulla libertà e sul caos che colpisce l'essere umano. E l'essere umano è sempre e comunque essere pre-giudicato, soprattutto in base al suo passato. È giustizia quindi la verità o sono più giuste le cose meno vere, le cose possibili ma non certe? Il silenzio dei criminali vorrebbe essere il canto degli innocenti. Il giovane giurato Justin Kemp alle prese con un empasse dovuto alla vicenda che deve giudicare e al suo possibile coinvolgimento vive la sua odissea di tormento in solitudine, protegge la famiglia mentendole, e già questo è un esercizio di difesa dal caos nel campo dell'intimità: silenzio e mistificazione. Sia su di lui che sulla controparte incriminata pesano i pregiudizi del loro passato, la macchina giudiziaria scricchiola, la famiglia si crepa, le istituzioni soccombono ma la domanda è sempre quella, ciò che è vero è sempre anche giusto per il fatto di essere vero? Nella verità c'è automaticamente giustizia? Qual è il vero "bene" da realizzare e come si intreccia col privato? Eastwood lascia a noi tutte le risposte.