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Certo non si può dire che POWAQQATSI sia un film brutto da vedere o da sentire, ma quasi tutte le possibili regressioni che poteva fare rispetto al "primo capitolo" di questa "trilogia", vengono compiute. Innanzitutto il tema del tribalismo, dell'autoctono e dell'esotico è facile che caschi nella superficialità della decontestualizzazione e dell'incomprensione da parte dell'occhio occidentale, che semplifica la natura, elevandola e dandole chissà quale significato, delle popolazioni e dei luoghi del terzo mondo. Anche la musica, in questo caso, diminuisce la sua psichedelia elettrogena (del primo Koyaanisqatsi) per rafforzare la sua visione di questi paesi lontani che, per quanto Godfrey Reggio ci regali immagini tanto ricercate quanto di vita vera, è comunque costruita retoricamente e artificialmente. Aumenta il numero di immagini che non vogliono dire niente o che in generale non parlano di società e costumi e, ancora più in generale, si perde l'idea di voler comunicare qualcosa di lineare (sempre come accadeva nel film precedente), cosa che lascia spazio ad una serie di immagini a tema e basta. Il senso del film quindi si perde e se il regista voleva denunciare qualcosa, questo non emerge mai.