Di Gregorio è un baby-pensionato, una sorta di nullafacente-massaio che vive in un appartamento insieme a moglie e figlia. La madre, sempre difficile da gestire, invece vive sola in una ricca villa alla passeggiata archeologica di Roma.
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Divertente questa piccola, ma piacevole storia del registai Di Gregori, che disegna con tono scanzonato, autoironico e forse autobiografico,un gradevole e realistico personaggio,un sessantenne dei nostri tempi, simpatico, contenuto, garbato, avulso dalla realtà che non riesce a comprendere e che lo tiene alla larga, in cerca di fortuna con l'altro sesso, che lo ignora sistematicamente. La scena finale poi è veramente esilarante. da vedere
La naturalezza e la spontaneità interpretativa di Gianni Di Gregorio è talmente apprezzabile e coinvolgente da rendere gradevole una storia che non ha particolari spunti interessanti. Si partecipa con un certo trasporto alle continue sollecitazioni che il protagonista subisce e si rimane soddisfatti fino alla fine per una visione senza pretese.
Dopo il felice debutto di "Pranzo di Ferragosto" , De gregorio riporta in scena quella familiarita' che ci aveva colpito piu' o meno con gli stessi ingredienti e soprattutto con l'onnipresente madre opprimente e possessiva! Una storia semplice che sembra cosi reale da poterla toccare con mano...certo lo stile è fin troppo simile al lavoro precedente ma la pellicola si segue in maniera piacevole e con la curiosita' di vedere come finiscono le vicissitudini del povero Gianni...
un bel filmetto, non è comico, ma strappa più di qualche risata qua e la! inoltre un punto in più perchè si distacca dalle solite commedie d'amore di oggi.
Non è per niente facile realizzare un bel film. Si tratta di creare un'alchimia, di tenere le redini di tante cose complesse. Non è per niente facile e ci vuole tecnica, cuore, classe, cultura. Al suo esordio Di Gregorio aveva colpito nel segno, con equilibrio ironia e gusto. Non riesce a fare il bis. La seconda prova è slegata, prevedibile, talvolta stonata. E' una stecca. Peccato.
Lo stile è pressochè identico a Pranzo di Ferragosto, come molto simili i caratteri dei personaggi. Di Gregorio è sempre lo stesso, però risulta efficace nel suo voler "rimettersi in gioco" con il genere femminile, tanto agognato quanto popolato da figure castranti come la madre. Risate a denti stretti tra comico e patetico, con una buona caratterizzazione delle figure di contorno.
Dopo il "Pranzo di Ferragosto", un film deludente. Non basta parlare di temi interessanti (meno male che qualcuno ancora lo fa) per fare un buon film. Peccato perché le atmosfere del "Pranzo" a tratti rivivono e De Gregorio è sempre bravo e simpatico; ma stavolta non basta.
Gianni Di Gregorio dopo "Pranzo di ferragosto" firma un'altra commedia italiana agrodolce. La sincerità della pellicola si evince sia dalle interpretazioni dell'intero cast sia dalla quotidianeità raccontata in maniera sobria e a tratti malinconica. Un film che racconta l'avanzare della vecchiaia, la solitudine, la voglia di continuare a divertirsi ma le perplessità e le difficoltà nel farlo. Molti i dettagli che legano quest'ultima fatica di Di Gregorio col film precedente: il legame inossidabile con la madre, i problemi economici, il vizietto del vinello fresco...
Frustrato,represso e alla soglia dei sessant'anni Gianni vorrebbe cambiare qualcosa della sua vita contrassegnata da una grande disponibilità nei confronti degli altri,ma nel carattere mite e flemmatico è racchiuso l'ostacolo più grande alle sue ambizioni. Una Roma assolata recepisce come in "Pranzo di Ferragosto" le inquietudini di Gianni,apparentemente inadeguato a ciò che lo circonda o forse più semplicemente a ciò che vorrebbe fare.L'amico avvocato lo sprona a "divertirsi",la madre lo tormenta con i suoi piccoli e grandi problemi mentre ostinatamente dilapida il capitale di famiglia,con moglie e figlia ha un rapporto poco entusiasta e sembra autobandirsi in un quotidiano tran-tran piuttosto che regalarsi quella botta di vita che lo assilla con le sue sirene dai seni prosperosi. I collegamenti con il personaggio del suo primo film sono palesi,la dipendenza dalla madre e la passione per il vino bianco sono dettagli non da poco,come se l'autore volesse continuare a parlare di vecchiaia dopo averla vissuta da esterno.Questa volta dolente,ironico e malinconico racconta dell'avanzare dell'età sulla propria pelle,garbato e mai fuori posto come il personaggio che interpreta con bravura.Di Gregorio riempie il suo operato di modi signorili e quasi desueti,ad accentuare il suo distacco da un ambito dal quale si sente escluso. Commedia agrodolce "Gianni e le donne" definisce un disagio molto umano con sensibilità,a conferma dell'attitudine da parte dell'autore di osservare e riferire con amara leggerezza la realtà circostante.
Davvero piacevole e ben recitato da un ottimo Gianni Di Gregorio, curioso vedere l'argomento del sesso affrontato dal punto di vista degli anziani. Consigliato per una serata rilassante...
Gianni e le donne è un film molto carino non agli stessi livelli di Pranzo di ferragosto, ma comunque un buon prodotto. Apprezzo notevolmente il lavoro di Gianni di Gregorio, il suo stile realistico, descrive con una pura semplicità , uno spaccato di vita quotidiana rendendo i personaggi e l'atmosfera quasi familiare, e molto vicina allo spettatore. Il tutto dipinto con sfumature ironiche e divertenti. Consigliato per un pò di leggerezza.
Direi un passo indietro rispetto a "Pranzo di ferragosto". I personaggi di Gianni e di sua madre sembrano un calco dall'altro film, mentre cambiano quelli di contorno. Nel complesso è simpatico e strappa qualche risata qua e là, ma non è un film che lascia il segno.
Delizioso e leggero, di quell'insostenibile leggerezza che caratterizza chi sta entrando nella vecchiaia e sta prendendo consapevolezza del suo inevitabile (e, grazie alla modernità, pure indefinitamente lungo) declino anzitutto esteriore. Il film ha tanti meriti, a cominciare da quello di aver finalmente sdoganato un tema tabù: la sessualità degli anziani. E' incredibile come nel Paese più vecchio del mondo i vecchi siano i meno rappresentati, in una sorta di rimozione collettiva che corrisponde a quella sociale quando ci si congeda dal lavoro per entrare in quel limbo infinito che è la pensione. Ed è proprio la vicenda di un pensionato "giovane" (una volta si sarebbe detto "baby") alla spasmodica ricerca di una "botta di vita" che inonda lo schermo riempiendolo di sguardi attoniti, di considerazioni quasi infantili (o fiabesche), di sogni erotici che sembrano adolescenziali, di sogni da ecstasy in una Roma "upper class" che più realistica di così si muore. Dall'ossessione di riempire la giornata che inizia fatalmente all'ora in cui iniziava quando c'era il lavoro fino al duro rapporto con lo specchio ogni giorno, per non parlare degli altri simili -il peggior specchio che ci sia in una Roma, o Italia, affollata di anziani in cui la rara gioventù sembra venire solo dall'estero-, Gianni Di Gregorio tratteggia i suoi personaggi con una profonda umanità velata di disincanto e tanta autoironia. Si sorride o si ride apertamente di fronte alle manie di questi anziani che somigliano tanto ai nostri genitori o ai nostri vicini di casa; si ride un po' meno quando si vedono giovani con manie e comportamenti se possibile peggiori dei loro padri/nonni. Ma la cinepresa di Di Gregorio non giudica: ritrae e basta senza infierire ma senza neanche risparmiare nessun dettaglio a noi spettatori. Messa in scena limpida e lineare, grandissimo gioco di attori (tutti perfetti!), buon ritmo, splendida colonna sonora in cui campeggiano orchestrazioni che privilegiano i pizzicati d'archi o la conduzione di clarini e oboe, sonoro di grandissima pulizia che permette la perfetta intelleggibilità dei frizzanti dialoghi. Al disincanto di chi può solo accettare la propria parabola discendente godendone fino alla fine (la madre, splendido personaggio magnificamente rappresentato) o tormentandosi (Gianni), si associa il disincanto dei nostri giovani che sembrano essere condannati a non avere un futuro qualsiasi. Ne esce fuori una strana nemesi che unisce nonni e nipoti in una rassegnata disperazione leggera. Il sogno finale, che mi ha richiamato alla mente quello dell'Alex kubrickiano, rimane l'ultima chimera cui aggrapparsi per trovare la forza di svegliarsi affrontando le lunghe giornate calde della Capitale e di tutte le città e i paesi di questo Paese.
Di nuovo estate, di nuovo Roma e di nuovo Gianni, stavolta non più alle prese con il delizioso pranzo ferragostiano, bensì addirittura con l'intero e misterioso universo femminile, la cui punta di diamante (e che punta!) rimane la mamma. L'aria dimessa non lo ha abbandonato e questa di certo non gli giova nell'ardua impresa di conquistarsi uno scampolo di passione tardiva, soprattutto quando ci si trova a che fare con donne almeno apparentemente autosufficienti, sicuramente molto più impegnate del passare la mattina sulla panchina da pensionato nel parco. Donne quasi felliniane che Gianni può solo sfiorare, ma che, come nei sogni, rimangono irraggiungibili. Piccolo squarcio dolce-amaro impreziosito dall'autoironia, marchio di fabbrica di De Gregorio.