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Sono necessari 15 minuti quasi metafisici di silenzio, di rumori e grugniti, materia lurida e arti che si spezzano, per conferire al protagonista la misura tragica della sua orgogliosa solitudine, che si tramuterà in destino e in condanna. Tra gli incipit più clamorosi del cinema di questo secolo, quei minuti iniziali sono necessari anche per dare atto delle fondamenta del superomismo, della misantropia, del cinismo e infine della paranoia.
Quindi, a fare da filo conduttore a una parabola "rise and fall" che culmina in un'insolita chiave tragico-grottesca, c'è soprattutto lo scontro fra due poteri che non accetterebbero subordinazioni: quello che deriva dalla promessa, data alla comunità, del benessere materiale, e quello che deriva dalla promessa spirituale. Due poteri a vocazione totalitaria, che però hanno bisogno l'uno dell'altro. Perché non di solo pane, ma neanche di solo spirito, il popolo ha bisogno.
Poi, c'è la scomodità di una fratellanza ingombrante, di cui si libera appena scopre una mistificazione. E fatalmente lo scontro edipico: con un figlio che ha subordinato, che non accetta il suo modello, e che non può accettare come competitore. Fondamentalmente, vorrebbe esistere solo lui. La sola esistenza di un prossimo è divenuta motivo di paranoia. Il titano è imprigionato in cima alla torre in fiamme del suo ego: da lì, può solo precipitare.
Autentica pietra miliare della cinematografia statunitense.
Si riconosce subito la bontà negli intenti nel prodotto di PT Anderson, tanto da concedergli volentieri il lusso di qualche ammiccamento alla platea, e l'accostamento per riuscita con "Non è un paese per vecchi" nasce giocoforza quasi spontaneo, tanto che non è un'offesa definire la prova di Day-Lewis come un semplice, seppur notevole, valore aggiunto. "Ho finito!"
Concordo appieno con chi considera questo film un capolavoro.Daniel Day Lewis si conferma uno degli attori più dotati della propria generazione e la regia di Anderson è perfetta.
Paul Thomas Anderson dirige un film articolato che ci fa viaggiare verso gli stati uniti del sud di inizio secolo, attraverso giacimenti petroliferi e voglia di sviluppo economico. Daniel Day-Lewis in grande spolvero si aggiudica la statuetta d'oro come miglio attore protagonista, premio assolutamente meritato. Però il film è di una lentezza inimmaginabile. Annoia ed innervosisce proprio per questo motivo. Alcune scene sono da antologia, come ad esempio quella dell'esplosione del giacimento petrolifero dove il figlio del protagonista perde l'udito oppure la sequenza finale. Ma in fin dei conti il film non mi ha convinto più di tanto. Comunque resta bella l'ambientazione che è molto dettagliata. Il finale è molto interessante, ma in fin dei conti, dovendo valutare il film per intero, non mi ha lasciato molto. Resta comunque un buon prospetto sella sete di potere, l'avidità umana e la solitudine.
Grande film. Oscar per Daniel Day Lewys davvero meritato. Ottima fotografia e strepitosa colonna sonora. Unica pecca : non mi è piaciuto l'adattamento dal titolo originale "There will be blood" che secondo me esprimeva meglio il senso della pellicola (meno male che almeno per il doppiaggio c'è un grande Pannofino che rende merito all'interpretazione del protagonista)
l'ascesa fino all'onnipotenza di un semplice cercatore di petrolio che, con figlio a carico per impietosire i contadini delle terre ricche di oro nero, diventa ricchissimo a spese della sua anima. Vede il peggio in chi gli sta intorno forse per non guardarsi dentro ed ammettere di quanto sia brutto lui; il duello, a distanza e protratto nel tempo, tra Daniel e Eli è stupendo, così come il dialogo finale col figlio; da vedere, meritava sicuramente di più agli awards a parte la stupenda fotografia e la prova, sempre magistrale, di Day-Lewis
Meriterebbe un 7 e piu' ma abbasso questo voto per l'occasione persa dal regista che dopo aver azzeccato tema (interessante), attore pricipale (superbo)ambientazione storica e geografica (da west) ha rovinato con una sceneggiatura molto lenta caotica dove accadimenti di scarso interesse mostrano carattere del protagonista e l'america di inizio secolo. Peccato ...il finale poi tutto da decifrare ....scusate ma molti passaggi sono poco realistici.Inoltre la recensione fatta da Ferro84 e' centrata ben fatta ricca di commenti circonstanziati ma corredata da un voto generoso che inganna prima trova 4/5 difetti alla pellicola di spessore poi da 7 e mezzo.Chissa'...per me non si arriva alla sufficenza anche considerando i lenti 160 dove si poteva raccontare di piu' e meglio. Da vedere per Day Lewis.
Due anime che lentamente si tingono di nero, sporche, insudiciate e sopraffatte dal prezioso sangue della terra.
Meritatissimo l'oscar per Daniel Day Lewis che buca il video regalandoci un personaggio tanto complesso quanto raffinato. Il comparto sonoro poi è una goduria per le orecchie.
Prendete uno dei quei venerdì, si uno di quei venerdì de pieno inverno dove sei stanco come un cane dopo la palestra, uno de quei venerdì dove forì fa il dilluvio universale; Tu te ne stai lì in bilico a decide se uscì de casa o restacce e magari guardatte un bel film. Io ce so restato a casa e fra me e me ho fatto: " Vabbè fori piove, mo me guardo sto Petroliere, me sembra nteressante!!!" Allora te metti là e te spari quasi tre ore de film a guardatte sto Petroliere, e il bello è che il film se lascià pure guardare!!! Alla fine quando er film è finito, resti pe n'attimo impalato sulla poltrano e sempre fra te e te te sussurri: "Ma stasera, che ***** ho visto, ma che era questo?"
Bell’esempio di cinema classico che segna il ritorno su ottimi livelli di P.T. Anderson dopo il sopravvalutato “Ubriaco d’amore”. Forte di una colonna sonora eccellente e di una fotografia altrettanto buona “Il petroliere” è la storia di Daniel Plainview,interpretato da un monumentale Daniel Day-Lewis,spietato cercatore d’oro nell’Ovest degli U.s.a. di inzio novecento. Il film gira intorno alla prepotente figura di quest’uomo,il cui unico scopo è quello di trovare l’oro nero misurandosi in una continua sfida con la terra,in una metaforica battaglia che pare non aver altro obiettivo se non quello di trivellare e pompare quanto più petrolio possibile.I proventi del suo lavoro passano in secondo piano,Daniel non sa quasi che farsene ed il suo unico sogno è quello di costruirsi una casa accogliente.Dietro quello che potrebbe apparire come un uomo umile ed ingenuo,si nasconde invece un grande affabulatore,privo di coscienza e pronto sfruttare chiunque possa aiutarlo nell’impresa di trovare nuovi pozzi.A farne le spese è soprattutto il figlio,con il quale l’uomo vive un rapporto finalizzato allo sfruttamento del ragazzo che verrà allontanato nel momento in cui non tornerà più utile. Anderson analizza il coinvolgimento della religione nell’ambito dell’economia attraverso la figura di un predicatore squilibrato(il bravo Paul Dano) che prima attira il petroliere nelle sue terre, ma poi non riuscendo più a controllarlo ne rimane atterrito.Il loro incontro/scontro si risolverà nel finale,sicuramente molto teso ma che personalmente ho trovato come la cosa meno riuscita di tutta la pellicola. Importante sottolineare anche la mancanza di figure femminili di rilievo e di conseguenza di un nucleo famigliare,Daniel è infatti un misantropo,odia il prossimo e la sua famiglia è costituita da un figlio,di cui tra l’altro non è neppure il padre naturale,preso a carico solo per addolcire i proprietari terreni nelle sue trattative di affari e un fratello che si rivelerà essere un impostore. La regia di Anderson è davvero eccellente, divisa tra primi piani di rara intensità ed inquadrature ad ampio raggio sui suggestivi paesaggi rurali e desertici.Alcune sequenze sono da antologia,bellissima quella iniziale in cui senza proferire parole vengono illustrate la caparbietà e la determinazione di Daniel,altrettanto notevole quella dell’incendio al pozzo petrolifero. Film interessante che nonostante un ricercata lentezza narrativa coinvolge abbastanza,la pellicola è tratta da un romanzo di Upton Sinclair intitolato “Oil!” e si ispira alla vita del magnate petrolifero Edward Doheny.
Credo che il pregio maggiore di questo ambizioso film di Anderson (dal romanzo di Upton Sinclair? Uno dei più dimenticati autori americani) sia l'alternanza tra vecchio e nuovo, tra realismo e iperrealismo, tra l'epicità pioneristica e il manierismo visivo. Come sontuoso affresco non fa una grinza: è indubbiamente un film importante sorretto dall'istrionica performance di Day-Lewis o dalla regia "fordiana" di A., ma alla fine lascia una forte sensazione di affettata freddezza. Visivamente superbo, vero, ma altrettanto risibile perchè non riesce a scovare fino in fondo nella ragione umana, rendendo il protagonista in balìa degli stessi meccanismi che lo rendono tanto (insolitamente?) avido cinico e amorale. Si è parlato di Ford o di Preston Sturges, ma Day-Lewis sembra fare il verso più a Walter Brennan (se qualcuno lo ricorda...) che a John Wayne, la dimensione materialista della vicenda sembra un ritratto Steinbeckiano del Barry Lyndon kubrickiano. La regia di Anderson è spiazzante e controversa, e l'approccio stilistico - per quanto discutibile - è davvero inedito. E lo stesso vale per l'improbabile prete, che non riesce a trasmettere una partecipazione soggettiva nella storia, davvero troppo fuori le righe...
In verità ci sono immagini bellissime, ma le emozioni sono congelate da un'eccesso di zelo, o di formalismi (il "dialogo tra sordi" padre vs. figlio finisce per diventare stucchevole e pretestuoso). Il momento migliore, quello più autentico, è l'arrivo del "fratello", un'amicizia che si trasforma in un letale meccanismo competitivo. C'è poi l'esplosione nel pozzo, una delle sequenze più spettacolari e simboliche del cinema di oggi, e a questo punto potrei strappare l'8 e vivere felice e contento. Ma le potenzialità del film erano enormi, molto più del pur egregio risultato, pertanto stavolta mi sento più intransigente
Straordinario capolavoro di Anderson che entra di diritto nella storia. Uno scandalo la vittoria agli oscar di No country for old man a discapito di questo film,ma che codesti premi siano ormai una buffonata è risaputo. Così come è scandalosa la traduzione del titolo in italiano. L'inizio è meraviglioso,un omaggio al cinema. E il finale è Kubrick allo stato puro. Nella figura di Daniel Plainview io ho rivisto l'immagine che noi tutti abbiamo dell'America di oggi,e in particolar modo della figura di Bush. Entrambi utilizzerebbero i propri figli,la chiesa e la bontà delle persone per raggiungere l'obiettivo bramato dell'oro nero e quindi della ricchezza. L'interpretazione di Day Lewis è metà film,è come quella di Nicholoson in Shining o come Brando in Apocalypse Now,in una parola è Storia. Bravissimo anche Paul Dano,che invece ci mostra il marcio presente nella chiesa. Se poi ci aggiungiamo la colonna sonora a dir poco geniale di Jonny Greenwood,oppure la fotografia e sequenze indimenticabili, otteniamo il più bel film partorito da inizio millennio a oggi (e non solo). P.T.Anderson è forse l'unico regista in circolazione che potrebbe essere paragonato al maesto Kubrick,e spero di non sbagliarmi quando dico di aver trovato chi possa raccogliere la sua eredità. Non mi resta che aspettare con ansia il suo prossimo film.
La storia del petroliere è la storia dell'uomo di questo secolo. L'inizio della modernità, del benessere si trasforma col tempo in ambizione, avidità, arroganza e cattiveria nei confronti del prossimo per cercare di raggiungere un "traguardo" inarrivabile .
Quando giunge il momento nella vita di un uomo in cui si può affermare: ho abbastanza denaro e potere non voglio niente di più?
Sia il protagonista un superlativo (come sempre) Daniel D. Lewis sia il predicatore spendono la propria vita alla ricerca di denaro, potere, successo perdendo lungo la strada gli affetti più cari: Il rapporto col figlio per il protagonista e il rapporto con il padre del predicatore.
Il film è una critica feroce sia al capitalismo moderno (il petroliere) sia alla figura della chiesa (il predicatore) troppo spesso rappresentata da persone bigotte che cercano di apparire come figure antitetiche rispetto al denaro e al potere, ma che invece molto spesso vanno a braccietto.
Ottima la regia ma soprattutto la fotografia. Unico neo l'eccessiva lunghezza una mezz'ora in meno non avrebbe guastato.
A cinque anni di distanza dalla distorta e surreale “love story” di Ubriaco d’amore il regista/sceneggiatore statunitense Paul Thomas Anderson cambia decisamente registro e torna alla regia con una pellicola dura, profondamente cupa e pessimista - si potrebbe parlare di pessimismo cosmico -, che a differenza di tutti i suoi lavori precedenti non lascia alcuno spazio a possibilità di speranza o di redenzione. Come in Ubriaco d’amore, però, Anderson mette di nuovo al centro della narrazione un unico personaggio, rimanendo dunque ancora lontano dalle narrazioni multiple e dagli incastri di varie vicende umane di evocazione altmaniana di Boogie Nights e Magnolia, che lo avevano imposto prepotentemente all’attenzione della critica internazionale. La nuova opera del trentottenne cineasta originario della San Fernando Valley è un film audace, tanto coraggioso quanto complesso e al contempo profondamente radicato nella cultura americana e, come ha felicemente scritto più di un mese fa su “Il Manifesto” Giulia D’Agnolo Vallan, nelle sue due anime primarie (il capitalismo e l’evangelismo); un lavoro di grande valore che di certo meriterebbe di essere visto almeno una seconda volta prima di essere giudicato, così da avere la possibilità di coglierne le diverse sfumature e i molteplici temi suggeriti tra le righe. Ambientato a cavallo tra il XIX e il XX secolo (e più precisamente tra il 1898 e il 1927), Il petroliere è stato definito giustamente da diversi critici americani un “character study”, vale a dire uno studio approfondito su un unico personaggio. Effettivamente la pellicola si concentra quasi esclusivamente su Daniel Plainview (Daniel Day-Lewis), un uomo taciturno, essenzialmente solitario e misantropo, ossessionato dall’idea di arricchirsi grandemente scovando e comprando a somme molto basse territori colmi di “oro nero”. Oltre a Plainview - che è chiaramente una demitizzazione personificata del classico “self-made man” a stelle e strisce - l’altro personaggio che riveste una grande importanza all’interno della pellicola è Eli Sunday (interpretato dall’ottimo Paul Dano), l’ambiguo predicatore della comunità in cui giunge l’avido cercatore di petrolio e nella quale si svolge la estesa parte centrale della narrazione. Anderson ci mostra l’inarrestabile e progressiva ascesa del protagonista principale senza giudicarlo, senza infingimenti, evitando abilmente - come d’altronde ci ha abituati fin dal suo esordio con Sidney - di assumere atteggiamenti moralistici che sarebbero risultati del tutto fuori luogo; e nel frattempo introduce lentamente la sinistra figura del predicatore, che a poco a poco si rivela essere sempre più vicina e simile a quella di Plainview. Dal film emerge uno sguardo impietoso, privo di banali edulcorazioni, sull’avidità, l’egoismo e l’ipocrisia che albergano nell’animo umano. Ciò che realmente sorprende è l’eclettismo di Anderson, il quale si mette in maniera encomiabile al servizio della storia che deve narrare e offre una prova registica sobria e composta (caratterizzata perlopiù da leggeri movimenti di macchina e spesso persino dall’utilizzo della macchina fissa), molto lontana dallo stile dominante in Boogie Nights, Magnolia e Ubriaco d’amore, che si alimentava spesso di piani sequenza, rapidi e irrequieti movimenti di macchina e panoramiche a schiaffo. Ed è proprio questo rapporto di apparente estraneità tra Il petroliere e il resto della sua filmografia che a nostro avviso rappresenta il più evidente indicatore della maturità e della grandezza dell’ancora giovane Paul Thomas Anderson: solo un grandissimo regista con un’eccellente padronanza del mezzo cinematografico è in grado di realizzare ottimi film così diversi tra loro sul piano estetico in nome dell’aderenza alle esigenze narrative, così come esclusivamente un eminente cineasta può riuscire nell’impresa di non ripetersi mai, cercando costantemente nuove sfide. Come in tutti i suoi lungometraggi precedenti, la colonna sonora è una componente narrativa essenziale che ha lo scopo di immergere completamente lo spettatore nella dimensione filmica, contribuendo in maniera decisiva alla costruzione di una forte e duratura empatia. La musica per orchestra composta da Jonny Greenwood è straordinaria e in alcuni punti chiaramente ispirata a quella di Ligeti e Penderecki utilizzata da Kubrick in 2001 e Shining. Da sottolineare la sublime prova d’attore di Day-Lewis, la splendida fotografia e l’agghiacciante sequenza finale che nel rapporto tra musica e immagini ricorda Arancia Meccanica. [Fonte: Cinem''art]
straordinario daniel-day lewis come sempre (la sua interpretazione mi ha ricordato quella di kitano in blood and bones, anche se kitano è più intenso), ma il film a mio parere non è del tutto riuscito. la regia di anderson ( non mi è mai piaciuto il suo stile) la trovo troppo pesante e a tratti noiosa. l'interpretazione di paul dano la trovo un po' troppo sopra le righe e quindi rende il suo personaggio poco credibile. scontata poi la scelta del figlio che si sposa con la ragazza della sua infanzia. alcune azioni non sono ben motivate. un film che sa di già visto e di già sentito (la colonna sonora) se non fosse per la straordinaria interpretazione del suo protagonista non varrebbe neanche la pena di guardare
Ottimo film;molto impegnato ma godibile. L'avidità americana è rappresentata in modo eccellente; una continua ricerca del potere. La triste vità di chi ha tutto ma in realtà non ha niente.
trovo che il titolo italiano sia assolutamente fuori luogo e fuorviante, there will be blood ci fa capire in pieno quale sarà il punto di arrivo del protagonista spinto dalla sua totale avidità. La trama però ha deluso le mie aspettative: poteva essere approfondita e curata meglio la contrapposizione tra i 2 poteri, economico e temporale, rappresentati dal protagonista e dall''antagonista, e assumere proporzioni ben maggiori, risaltando quella che voleva e doveva essere una critica nei confronti della politica economica statunitense incentrata sul petrolio. Petrolio che ai giorni nostri è divenuto sangue ed un strumento di degrado umano che unito all''avidità dei popoli ci spinge verso l''ingordigia calpestando i diritti umani e le stesse religioni di qualunque natura siano.
Da questo punto di vista è stato un capolavoro mancato.
Dal punto di vista cinematografico, regia, fotgrafia e colonna sonora sono portati ai massimi livelli! notevole anche la ricostruzione del periodo storico e la costumistica che ci riportano magistralmente ai primi del 900 e risaltano le problematiche di allora.
Discorso a parte anche x i 2 attori principali: Ottimo Paul Dano che a 23 dimostra di poter aspirare all''oscar come miglior attore non protagonista! sentiremo parlare di lui in futuro. Divino Daniel-Day Lewis che va oltre la recitazione calamitando l''attenzione del pubblico senza mai annoiare facendoci dimenticare che il film supera le 2 ore e mezza. Potrei continuare a tessere le sue lodi ma credo sia superfluo. Oscar strameritato
Non mi ha convinto. Una pellicola ottimamente interpretata e fotografata,ma dalla sceneggiatura assai disomogenea.Dopo una prima parte lenta,descrittiva ed eccessivamente lunga,nella quale non si capisce bene dove il regista voglia andare a parare,si riprende alla grande nell'ultima mezz'ora. Ma non basta.
« Si Deus est unde malum? Et si non est, unde bonum? » Boezio, De consolazione philosophiae
Anderson e la Teodicea
Sapevo che non avrei visto un film “storico”,la connotazione spazio temporale della narrazione filmica è funzionale all’esposizione teoretico-teologica. Ricordavo il finale apocalittico dell’ottimo “Magnolia”,una pioggia di rane dal cielo oscuro,un assurdo sull’assurdità delle relazioni umane,ma anche una forte rievocazione biblica, una punizione divina sulla malacarne et mala animae e sulla Città del Diavolo come nuova Sodoma e Gomorra.
THERE WILL BE BLOOD, in questi deserti della Giovane America ancora nomade come l’ebraico popolo eletto, il diavolo arriva dal profondo della terra,immerge e corrompe il sangue umano, che diventa nero come il petrolio, seme di guerre e morte,fonte di peccato e dannazione. Ma il Male è ontologico o storico secondo Anderson? Se fosse un male ontologico ,un marchio sulla pelle del dannato,ogni creazione del Caino Errante sarebbe Malata in sé dal peccato originale,ogni istituzione(Diritto,Stato,Chiesa),ed ogni società sarebbe marcia nella propria essenza,l’uomo non avrebbe possibilità di redenzione se non per volontà divina.
scusate mi spiegate il senso del film??????lewis da oscar ok bella fotografia e scenografia ma la sceneggiatura piatta e non originale.inoltre nn mi e piaciuta la colonna sonora troppo pressante e angosciante anke se e volutamente cosi e poi il film e troppo incentrato sul protagonista.un film ke nn mi ha trasmesso nulla,soprattutto con le aspettative ke avevo.....
Piu di questo voto non posso proprio darlo...e dire che di film vado a vederli.Bella solo la storia e interessante poi per il resto aiuto.....troppo lungo e soprattutto lento e non scorre per niente.Tante cose potevano essere evitate e tagliate.Colonna sonora quasi inesistente e secondo me poco adatta. Il personaggio principale ho gia detto interessante ma non riesce a reggere al resto del film.
"La mia barriera di odio si è innalzata, lenta, negli anni".
Un grande affresco nero, come il petrolio che scolora l'anima e ottenebra la mente, come la roccia che trasuda sangue, come un d.io che non ci può salvare.
Bel film del talentuoso P.T. Anderson, ma comuqnue inferiore sia a Magnolia che a Boogie Nights: nella foga di creare un'epopea classica, il regista si lascia sfuggire la mano e butta troppa carne al fuoco, perdendo troppo spesso le fila del discorso. Salvo questo peccatuccio, "Il petroliere" rimane un sontuoso ritratto di un capitalista dell'epoca, spregiudicato, ipocrita, ma dannatamente furbo ed affascinante. Ad elevare il voto ad 8 contribuiscono comunque in maniera decisiva la straordinaria interpretazioen di D.D. Lewis ed il finale: l'ultimo quarto d'ora del film è da scuola del cinema, da antologia, una perla rara.
non mi ha convinto fino in fondo questo film del bravissimo PTA. il protagonista (interpretato a dir poco magistralmente da D.D.Lewis)ricorda certamente quello di Quarto Potere,di cui noi viviamo la continua ascesa economica e il collegato degrado umano.nulla di originale,ma soprattutto nulla che meritasse 150 minuti di film;poteva durare molto meno riducendo la parte centrale. tra i personaggi di contorno spicca il giovane pastore che da un tocco non indifferente di grottesco al tutto (emblematica l'ultima scena). tirando le somme resta un'ottima prova di daniel day lewis e un regista tecnicamente molto dotato.pecca però la sceneggiatura,troppo lunga e incapace di raggiungere un obiettivo preciso,a parte forse la morale sull'equazione ricerca folle di denaro=involuzione umana:troppo poco,e soprattutto nulla di nuovo.
I miei "compagni di film" hanno rischiato di collassare quando il film ha preso quella particolare piega. Quale piega? Semplice: dopo un'ora e mezza di pellicola, qualcosa lasciava intuire che non mancavano pochi minuti alla fine di una storia già di per se pesante... bensì più di un'ora. E' una cosa che non pesa, quando il meccanismo del film ti ha intrappolato, incuriosito, o semplicemente ha creato un legame empatico con lo spettatore. Ma sta volta ha avuto un peso schiacciante. Non voglio negare la qualità del film. Una ricostruzione storica davvero da brivido, colori, costumi, scenografie, ogni dettaglio è perfetto e ci catapulta in un mondo per noi anche un po' esotico e distante, ma che sicuramente significa molto di più per un americano. Si sente l'odore del petrolio. Chi, come me, non conosce bene quel periodo storico, resta affascinato e apprende molte cose. La nascita di una guerra non solo economica che ancora oggi è protagonista indiscussa della vita di chiunque, e soprattutto il ripetersi dell'eterno confronto tra i due poteri più grandi: l'oro e la religione. E' proprio questo il pregio più grande del film, secondo me. Presentare un mondo in cui il terzo grande potere è del tutto assente. Evito la definizione triviale (anche se azzeccatissima) data dai miei amici a questo "terzo potere". Ma è la donna, la vera assente del film, e con lei l'amore, di cui non c'è traccia. E' un'assenza voluta, sottolineata (tanto da ricordarmi le scelte di Ciprì e Maresco). Ne deriva un film teso che solo un attorone come Daniel Day-Lewis poteva portarsi sulle spalle, abbadnonato a se stesso, senza un vero antagonista per gran parte del film, senza una donna, e soprattutto senza una chiara evoluzione psicologica. Cresce, certo, il personaggio è molto credibile, la sceneggiatura è raffinata e allusiva, la calma è tesa e le esplosioni inevitabili... Ma i silenzi, le lunghe pause, i momenti morti, sono abbandonati a loro stessi, o meglio alla faccia espressiva del povero Daniel. Che da solo, lasciatemelo dire, non basta. Perchè quando non parla, nessun altro parla, le battute latitano, lo sceneggiatore pretende che gli occhi facciano quello che il copione non fa, non dice, non spiega, resta silenzio, attesa... Anche se la colonna sonora cerca di riempire quel vuoto nervosamente, ne risulta una delle musiche più irritanti di sempre. Fuori luogo, l'avete definita. Concordo. Crea tensione proprio dove non serve e sinceramente non ha un vero e proprio tema (a parte quell'alternare di due note gravi che forse vorrebbe richiamare l'andamento ciclico delle trivelle, chissà). Emicrania. In sintesi, il film non riesce. La struttura narrativa è solida ma diluita in modo sbagliato. Diventa presto "pesante". Grandi attori, magnifica fotografia, begli "apici" ma disseminati in modo che manchi costantemente il senso del ritmo. Grande affresco, ma quasi statico.
Un inizio secco, scabro come la roccia, un impennata di musica classica elettronica e poi solo una figura rischiarata da un fascio di luce verticale (primo riferimento mistico) e solo tre cose, il buio di un pozzo, il picconare secco sulla roccia e le scintille che schizzano ad ogni colpo. Incomincia così il capolavoro di Paul Thomas Anderson. Un film dall'epica misurata, che esplode quando meno te lo aspetti, come l'improvviso gettito del gas. Un universo duro, abbietto, dannato, dove le donne fanno appena capolino, dove la placenta è quel sottile strato untuoso sulla surpeficie dell'oro nero, in cui scorre prima il petrolio, poi l'acqua e poi il sangue, tutti adatti all'occorrenza a benedire i frutti e i flagelli di un dio che è solo (?) superstizione (Dreyer mai così vicino nel cinema moderno). Splendido il confronto non tra due semplici bene e male contrapposti ma tra due (e più) complesse ambiguità in cui forse il petroliere daniel è quello che riesce maggiormente a fare i conti con la sua ipocrisia...
Grande daniel day lewis, ma la più grande sorpresa è Paul Dano, nel ruolo di Eli/Paul davvero splendido. Chicca per gli amanti di Lynch, lo scenografo è Jack Fisk suo grande amico e collaboratore di sempre e si vede...
Film Monumento. Mirabolante Capolavoro che omaggia il Cinema e mina le fondamenta della societa yankee, con agghiacciante consapevolezza e mirabolante capacità artistica. PT Anderson, ragazzo prodigio di Hollywood, dimostra di possedere una consapevolezza straordinaria dei propri mezzi e delle potenzialità del Mezzo, giocando con i tempi, con i suoni e con i colori, portando il Cinema avanti ed indietro nel tempo e plasmando un Capolavoro che è già punto di riferimento, che è già Storia. Day Lewis leggendario. Per portata, realizzazione e interpretazione è il più grande film da svariati anni a questa parte.
Deluso. Il film è eccessivamente pretenzioso, arrogante e coscientemente epico. In realtà, sebbene la ricostruzione storica, i costumi, le atmosfere in genere siano impressionanti, e ancor di + l'interpretazione di Day-Lewis, davvero memorabile, il film annoia, è estenuante, la colonna sonora è particolare ma francamente spesso fuori luogo. A questo punto rimpiango, e non poco, le mancate candidature di Into the wild e American gangsters, che ne avrebbero avuto ben donde. Non mi resta che tifare per Espiazione, o Non è un Paese per vecchi.