Una parrucchiera prende l'iniziativa e convince un'intera comunità ad aiutare un padre vedovo a salvare la vita della giovane figlia, gravemente malata.
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Etichettato come "faith-based drama film", m'ero predisposto a elencare le criticità della taumaturgia. Nulla del genere: il lungometraggio di Gunn, autore da me scoperto col precedente "Jesus Revolution" dello scorso anno, racconta d'una fede umanissima, la fiducia nella solidarietà sociale. Entrambi fra i 110 film con rating A+ su CinemaScore, è una fortuna ch'"Ordinary Angels" abbia poco a che fare con la religione, poiché un erroraccio come sostenere che Michelle significhi "dono di Dio" è ignoranza allo stato puro. E non è da meno definire "miracolo" una donna che, malata d'atresia biliare per la quale morirà, comunque decide d'avere una 2a figlia a cui trasmette la patologia e che attende di guarire col trapianto di fegato dal probabile decesso d'un'altra persona (sito governativo: OrganDonor.gov). Alan Ritchson meglio d'Hilary Swank.
Non è proprio quel tipo di film da avere i kleenex accanto, ma poco ci manca. E' quel genere di film in cui il sentimentalismo lo si mette già in preventivo. Infatti è un po' come la morfina quando viene rilasciata in maniera graduale: un lento ma costante accumulo di disgrazie varie per quella famiglia che oltre ad aver perso la madre, ha una bambina di cinque anni a cui deve essere trapiantato un fegato. Hillary Swank riesce a disegnare un buon personaggio: é una single dalla vita personale dissestata tra alcolismo e pessimi rapporti con figlio che trova una ragione di vivere e di redenzione nel salvare questa bambina con raccolte fondi. Nessun accenno sociale sul fatto che in America se non hai un'assicurazione decente o crepi o ti rovini economicamente. Quindi tutto conduce all'edificante a tutti i costi con una gara di solidarietà affinchè la bambina possa avere il suo trapianto, portandola all'ospedale in mezzo ad una peggiori tempeste del Kentucky. Molte libertà prese a livello di drammaturgia rispetto alla storia reale omettendo sui titoli di coda, sempre in nome dell'edificante a tutti i costi, che la vera Michelle Schmitt è morta nel 2021 a soli 30 anni.