I progetti faciloni di ascesa sociale di un immobiliarista, il sogno di una vita diversa di una donna ricca e infelice, il desiderio di un amore vero di una ragazza oppressa dalle ambizioni del padre. E poi un misterioso incidente, in una notte gelida alla vigilia delle feste di Natale, a complicare le cose e a infittire la trama corale di un film dall’umorismo nero che si compone come un mosaico. Paolo Virzì stavolta racconta splendore e miseria di una provincia del Nord Italia, per offrirci un affresco acuto e beffardo di questo nostro tempo.
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Paolo Virzì non delude. Ottima, secondo me, prova del regista che mostra senza veli o oscuramenti la voglia di arrivare dell'italiano medio da una parte e l'incontentabilità della classe alto borghese dall'altra parte. Ottimo cast e molto bella l'idea di incastrare la storia grazie a diversi capitoli e diversi punti di vista.
Un esempio su tutti: la ragazza che lascia il pc acceso su una mail che celava la verità sull'omicidio e il padre che "casualmente"entra in camera e la legge
Comunque buona recitazione, la trama si fa interessante a circa metà film e ti lascia, una volta concluso, un senso di amarezza e di turbamento, indice di un film sicuramente coinvolgente e che lascia il segno. Voto positivo (e mezzo punto in più in quanto prodotto più che soddisfacente made in Italy)
Per quanto mi riguarda è il miglior film italiano della decade, almeno per ora, coinvolge sin dall'inizio con tre storie che si intrecciano in modo imprevedibile, infine nell'ultima parte c'e' il finale a sorpresa con la morale che riassume tutta la decadenza della società italiana ... e Matilde Gioli è davvero la nostra Jolie (e anche meglio per i miei gusti).
Mezzo voto in più a questo film anche per sottolineare l'enorme divario con le assurde e ridicole commediacce (scusate il termine) che si girano in Italia ... così si fanno i film ... altro che storie ...
come già evidenziato da altri, quando devi dare un messaggio forte, serve un finale "forte" (alla Eastwood per intenderci)) . Se il film fosse finito con la scena di Luca che moriva, il gelo in sala era tale da generare iil senso di schifoverso un certo tipo di mentalità ed il film avrebbe avuto ancor più una valenza sociale (se ce la voeva avere ovviamente). Cosi è un pò troppo dolce, l'amore vince, i ricchi vincono, tutto sorrisi....peccato con un finale diverso, veramente un gran pugno nello stomaco sarebbe stato!!
Si attacca spesso (a ragione) il cinema italiano, ma se poi c'è qualcosa di valido neanche si va a vederlo... comunque un film intenso, di quelli che una volta si sarebbe definiti "necessari" (ma poi, in realtà cosa lo è e, soprattutto, chi ha diritto a stabilirlo? Se poi spesso l'etichetta e l'indicazione fuorvia i propositi di renderli liberamente significativi per tutti) ma che sorprende per fortuna proprio dal punto di vista della costruzione cinematografica e della scansione del racconto (cosa che in certo cinema "sociale" è sempre dato per secondario o irrilevante, a torto), con interpretazioni di primo piano e una sceneggiatura puntuale e precisa nel mettere a fuoco i vizi e "peccati originali" del nostro Bel Paese, e i torti che si trasmettono e riflettono sui figli. Nero e implacabile, come è giusto che sia. Ogni Virzì è ormai un must-see.
Rashomon in salsa livornese. Film amaro e come sempre cattivello di Virzì, ma senza intermezzi comici o brillanti. Solita grande capacità di direzione. Due famiglie di bravi attori: la Salvatores band (Bentivoglio, Alberti, Storti) e la meglio gioventù (Gifuni, Lo Cascio) più due premier dames come la Golino e la Tedeschi, nella mani di Virzì splendono. Polemiche dei bischeri brianzoli del tutto fuori luogo. La critica cinematografica illuminata preferisce Sorrentino o Garrone (come quella di una volta prediligeva Fellini e Antonioni), ma l'impressione è che VirÌ svetti due spanne su tutti. Viva la commedia all'italiana.
Molto ben recitato (Matilde Gioli davvero brava), interessante lo svolgimento della trama analizzata da vari personaggi (Dino, Carla e Serena) grazie ai quali scopriamo qualcosa di più dell'intera storia e si ha, infine un quadro completo sul reale svolgimento dei fatti. A mio parere l'ordine in cui sono mostrati i tre capitoli rispecchia anche la complessità del personaggio attraverso cui viene raccontata la storia: da principio si ha un quadro generale della situazione, più superficiale (come è Dino del resto..al limite del grottesco), poi si ha una visione più ampia con anche retroscena psicologici (Carla, la moglie "immagine", la donna dell'apparenza, che ha tutto un mondo dentro ma che vuoi per codardia, vuoi per comodità, non riesce ad esprimere) e infine Serena, la ragazza che , nonostante lo schifo intorno a lei, crede ancora nell'amore...alla fine della storia tanto chi ha rimesso?? la "povera gente"...
Virzì firma il suo film più maturo con un libero adattamento di un romanzo dello statunitense S. Amidon. Felice l'intuizione di affidare il progressivo disvelamento dell'intreccio all'approfondimento di alcuni diversi caratteri (più che dei rispettivi punti di vista): di capitolo in capitolo, passando da Dino a Carla a Serena, scopriamo diversi retroscena che fanno felicemente meglio luce sui personaggi e quindi sul contesto. Partendo, giustamente, in chiave grottesca e caricaturale - quindi affondando sempre più in un registro, quello del noir, che fra l'altro in Italia è piuttosto inusuale - Virzì si supera, grazie a una sceneggiatura magistrale soprattutto nel disegno dei personaggi e nella calibratura del meccanismo del racconto. Rimane un desolante affresco "in absentia" degli ideali (affettivi, culturali, politici) cui l'avidità ci ha fatto abdicare. Un barlume di pallida speranza senza più lacrime viene affidato ai due giovani che ancora non si rassegnano al contesto in cui si trovano invischiati. Con la loro residua ingenua purezza, come nell'ultimo Bertolucci, sembrano alla fine rappresentare l'ultima, utopica, Thule di una civiltà sprofondata nella propria ignorante e triste grettezza.
Con Virzì raramente rimango deluso. Questa volta la sua commedia si tinge di un pallido giallo, su cui tutta la trama e imperniata. Ben recitato e buona la scelta di narrare la vicenda a capitoli. Sicuramente da vedere.
Mi accodo sicuramente ai bei giudizi precedenti. Nn lo definirei però un thriller ma piuttosto un noir quindi sicuramente diverso dai precedenti del regista ma da non perdere
Il film che non ti aspetti in questo inizio 2014 è italiano ed è firmato Paolo Virzì che dopo una serie di lavori altalenanti ritorna con quello che per molti è il suo miglior prodotto. Il Capitale Umano è un dramma mascherato da thriller che non disdegna elementi da commedia,anche già trattati dallo stesso regista,con una potenza di contenuti e di messaggio che in Italia non siamo abituati a vedere. La storia è ambientata in Brianza,ma potrebbe esserlo in qualsiasi altro luogo della penisola,ed ha come oggetto un omicidio di strada che coinvolgerà due famiglie della zona e tutta una serie di personaggi appartenenti a varie classi sociali. Il fulcro del lavoro non è scoprire chi abbia investito lo sventurato ciclista,ma il mostrarci la meschinità,la falsità,l'attaccamento al denaro e l'egoismo di un gruppo di esseri umani alle prese prima con le loro faccende quotidiane e poi con la tragedia. La parte thriller della pellicola anche se non è centrale è gestita bene,e alla fine la struttura scelta da Virzì fa tornare tutti i conti senza eccedere negli intrighi visto che l'omicidio è solo il pretesto per narrarci altro. Il meglio come detto viene fuori quando ci troveremo a conoscere i personaggi e le loro ambiguità,un ritratto crudo e amaro di come l'italiano (ma forse l'umanità in generale) si è ridotto nei nostri giorni. Nessuna categoria e nessuna classe sociale è risparmiata,nessun individuo di qualsiasi età viene omesso dalla fitta rete di bugie e vigliaccheria di cui il film si compone. Ovviamente qualche sprazzo di umanità Virzì saggiamente lo dissemina qua e la nella sua storia per non cadere nel disfattismo,ma siamo comunque a livelli bassissimi. I personaggi sono ottimamente rappresentati senza eccessi o stereotipi;tutti i protagonisti sono credibili e realistici,e le interpretazioni non fanno altro che rendere ancor più lampante questo fattore. I messaggi del prodotto sono tanti,dal degrado della nuova umanità,all'attaccamento smodato al denaro,al crollo dei valori e delle istituzioni come la famiglia,il tutto reso benissimo anche dall'ottimo finale. Trovare dei difetti in questo lavoro è un po come cercare il pelo nell'uovo,ma diciamo che un ritmo non sempre elevato e qualche attore troppo macchietta possono infastidire qualcuno;invece personalmente non ho apprezzato una soluzione narrativa per chiudere il cerchio che inserirò sotto spoiler. Nel complesso quindi Il Capitale Umano si candida ad essere uno dei migliori film italiani dell'anno e complimenti a Virzì per la svolta in positiva che ha dato alla sua carriera e,nel suo piccolo,al nostro cinema odierno.
Il modo in cui Dino trova la prova della colpevolezza di Luca è effettivamente troppo banale e forzato. Chi lascerebbe una cosa cosi scottante in bella mostra sul proprio PC?
Cinica e spietata ma assolutamente realistica lettura della società attuale con tutte le sue ombre e aspetti chiaroscuri, non ho letto il libro ma la sceneggiatura è ben sviluppata e ritengo avvincente la tecnica con la quale la storia viene raccontata, così come questo taglio tra il thriller e un noir "nostrano". Buona la caratterizzazione dei protagonisti, nessuno stona, in definitiva un ottimo prodotto confezionato da Virzì.
Pur non essendo un amante delle commedie agrodolci di Virzì, devo ammettere che stavolta il regista livornese ha realizzato un film di tutto rispetto. Virzì, infatti, vira verso il thriller a tinte fosche, un noir molto ben strutturato e dai ritmi cadenzati. La struttura narrativa della pellicola è più che buona, ben inserita in un contesto della campagna lombarda desolata e fredda, un pò come i protagonisti della vicenda. La narrazione per capitoli e flashback non è originalissima, è vero, ma ritengo sia stata funzionale alla vicenda: nonostante Virzì, in alcuni frangenti, allunghi un pò troppo il brodo, l'attenzione dello spettatore è sempre catturata. Per quanto riguarda le interpretazioni direi che tutti gli attori se la sono cavata egregiamente: i giovani sapientemente antipatici ed il resto della ciurma credibile, con un Gifuni in stato di grazia. Bentivoglio, invece, sia pur bravo, l'ho trovato un pò sopra le righe e la Bruni Tedeschi, invece, una donna dimessa troppo dimessa. Ma vabbè, dettagli... Nel complesso, Il Capitale Umano è un buon film, per i miei gusti tra i migliori di Virzì.
(Premessa doverosa: non ho letto il romanzo di Stephen Amidon al quale i bravissimi sceneggiatori di questo film italofrancese si sono ispirati. Non posso quindi procedere a paralleli e confronti).
Se quella descritta da Virzì è "la gente che lavora" offesa dalla sua opera (così ha titolato l'"autorevole" quotidiano "Libero" all'indomani dell'uscita del film), c'è da farsi venire qualche brivido di terrore nella schiena. La Brianza è davvero un pretesto che solo la grettezza di persone che nella vita reale evidentemente poco si discostano dai personaggi del film poteva identificare come "luogo circoscritto" in cui si svolge la vicenda narrata: quella realtà avrebbe potuto essere ambientata in (quasi) qualunque altro posto d'Italia e non avrebbe perso di una sola virgola la propria carica virulenta. Ma tant'è. Quest'ultima, bellissima opera di Virzì, si candida a essere tra le più dimenticate del cinema italiano al pari di altri gioielli e capolavori "neri" della Commedia all'italiana (su tutti "Un borghese piccolo piccolo", forse la commedia più terribile e spietata mai girata da noi), perché sa affondare il bisturi senza pietà alcuna nel nostro tessuto sociale ormai (irrimediabilmente?) incancrenito dalla degenerazione morale dell'ultimo ventennio, accuratamente preparato dalla deriva costante prodottasi sin dagli anni Cinquanta e culminata negli Ottanta. Berlusconi e la sua ideologia sono figli di quel trentennio: oggi ci troviamo a raccogliere i cocci di tutto il dopoguerra. Senza sapere se è finita, poi.
Il film formalmente è un thriller cupo che ruota intorno all'investimento mortale di un cameriere che rientrava in bicicletta dopo il lavoro. Possibili colpevoli, cinque ragazzi -di cui tre dell'ambiente "bene"- di una ricca cittadina di provincia del Nord Italia. Una sapiente struttura a incastro (sceneggiatura praticamente perfetta, girata con virtuosismo da Virzì attraverso una fotografia, un montaggio e una squadra di attori tutti al massimo delle loro potenzialità) ci fa (ri)costruire come un puzzle l'intera vicenda. Tre capitoli che corrispondono ai tre punti di vista di altrettanti personaggi e un epilogo finale che li riunisce tutti quanti svolgendo definitivamente la trama, ci portano in un bagno di miseria morale, meschinità, e soprattutto avidità, individualismo e solitudine raramente visti al cinema con tanto realismo, potenza e inesorabile lucidità. In effetti il film di Virzì è superato in squallore morale mostrato solo da "Miss Violence", non a caso pellicola proveniente dall'altro dei Paesi europei più in crisi: la Grecia. Il "capitale umano" del titolo, infatti, non ha niente a che vedere con le risorse umane bensì
con i parametri giuridici con i quali si contabilizzano una invalidità o una morte: scopriremo che anche questi freddi criteri saranno superati dalla meschina e gretta sfrontatezza quotidiana di chi sa contrattare e guadagnare sulle disgrazie dei prossimi!!!
Al cast veramente stellare in cui ognuno fa a gara nel superare gli altri (mi è davvero difficile stilare una classifica delle varie caratterizzazioni, tutte sono implacabili e tutte suscitano il giusto ribrezzo) si affianca la bellissima fotografia di Jêrome Alméras e, come dicevo sopra, il montaggio praticamente perfetto di Cecilia Zanuso. Commento a parte merita la colonna sonora del fratello di Virzì, Carlo: attraverso l'uso suggestivo e ossessivo di strumenti a percussione piuttosto inconsueti, infatti, è riuscito a ottenere un raro effetto straniante e drammatico insieme, perfettamente congeniale al clima descritto dall'intero film.
Qualcuno ha provato a vedere uno spiraglio di speranza nella vicenda dei personaggi più giovani. Errore: Luca è irrimediabilmente attratto dalla ricchezza e dall'apparire, mentre Serena non fatichiamo a immaginarla prendere il posto di Carla una volta inghiottita nel "sistema". Il più buono, sembra dirci Virzì con la sua allegria toscana che certo stride terribilmente col clima pesante di questo film, ha la rogna. Facciamocene una ragione. Ahinoi.
...E da buon ultimo anche il cinema italiano arriva alle storie che si incastrano, che si rivelano pian piano, tornando indietro poi andando avanti, roba che vediamo (e rivediamo) ormai da anni.... ma la pochezza del nostro cinema porta a gridare ad un miracolo solo perchè si esce appena appena dal solito seminato, almeno apparentemente e solo formalmente. Scrostando appena la laccatura, sotto non mi pare che ci fosse poi chissà che. Il mio giudizio è probabilmente anche influenzato dalla "recitazione" della Golino e ancor più della Bruni Tedeschi. Mi sorprende leggerne lodi sperticate quando a malapena si riesce a capire che cosa dica.... mah
totalmente d'accordo con i commenti precedenti mi limito ad aggiungere una cosa: notate come i personaggi sono distanti, soli, ognuno lontano anni luce dalle questioni altrui e alle prese soltanto con i suoi problemi personali. anche il montaggio amplifica questa sensazione di isolamento ma stranamente pochi critici l'hanno sottolineata, preferendo parlare piuttosto di crisi della borghesia, di mancanza di valori della società odierna, di cinismo. secondo me questo film parla soprattutto di solitudine, eterna ed universale.
ho sempre ammirato Virzi' tanto da ritenerlo il miglior regista italiano,ho visto tutti i suoi film,mi e' sempre piaciuto il suo cinema,semplice,profondo e a tratti geniale. In questo film si e' cimentato in una trama ad incastro, secondo me non il migliore dei suoi film, ma meritevole comunque di una visione
Ho iniziato a guardare questo film, l'inizio mi sembrava davvero noioso poi tutti gli elementi si sono incrociati in modo fantastico, davvero geniale. Anche la suddivisione in capitoli del film aiuta moltissimo, tutti i personaggi sono rappresentati in modo completo, il regista merita davvero per questa trasposizione.
Bella sorpresa questo ultimo film di Virzì. Tematiche sociali raccontante senza mai cadere nella banalità, che si compongono come un mosaico. Ottime le prove di recitazione di tutto il cast.
Intreccio narrativo in stile Traffic, Babel e non so quanti altri, che per quanto possa funzionare non da alcun valore aggiunto a una storia piuttosto scialba, fatta più di luoghi comuni che di contenuti, in cui si evince soltanto un forte cinismo.
Il difetto principale è che vuole toccare troppi temi tutti insieme dedicando ad ognuno meno tempo di quello che avrebbe meritato....in quest'ottica il "capitolo" meglio riuscito è quella su Carla. Per il resto ottima regia, ottimi interpreti, amarezza di fondo perfettamente integrata con le dinamiche dei miseri adulti a contrasto con i loro figli, vittime del loro pauroso vuoto culturale-affettivo
Gran bel film, inferiore a "La grande bellezza" e molto più conforme al cinema italiano, ma anche una sferzata non indifferente verso l'Italia e gli "itagliani". La divisione in capitoli favorisce la costruzione di un mosaico complesso, allo stesso tempo però è fin troppo prevedibile dove andranno a parare le varie trame o sottotrame. In compenso, Virzì è un signor regista, alcune scene sono da antologia (la Bruni Tedeschi, molto brava e sempre con le zinne sovraesposte, che si identifica con la Mancinelli di "Nostra signora dei turchi" sul divano con Lo Cascio, con la nenia del "Ti perdono" ripetuta in continuazione). La struttura è cosi rigida che Virzì si serve del thriller sullo sfondo, trattandolo quasi come un accessorio cui ritorna di tanto in tanto e non come vicenda principale e punto di svolta della storia. Il capitale umano è proprio il ciclista investito: resta sullo sfondo, anche nel momento più terribile, mentre l'umanità viscida (Bentivoglio), complice (la Bruni Tedeschi), e allo sbando (la giovane Serena) si preoccupa più di difendere sé stessa o chi ama. Forse però la performance migliore in un casto sfruttato al massimo delle sue potenzialità la dà Fabrizio Gifuni, forse perché Bentivoglio, pur essendo bravissimo come suo solito, interpreta un personaggio fin troppo macchiettista ed esagerato che stona con il resto dell'umanità mostrata da Virzì. Polemiche prevedibili visto il modo in cui viene trattata per una scena breve la Lega, che poi è il nocciolo di ciò che sono questi barbari in giacca e cravatta (verde). Ma anche la Brianza sembra un paese gelido, inospitale, in tal senso le polemiche sono comprensibili, ma è pur vero che Virzì è tutt'altro che razzista, al contrario: la sua è una critica che fa male nel profondo soprattutto a loro, perché indirettamente li chiama in causa e sono i protagonisti volenti o nolenti del disfacimento culturale e morale della pellicola. Chi ha un pò più di intelligenza capirà che la Brianza è nient'altro che un'estensione dell'Italia intera e degli italiani. Ma Virzì, come Sorrentino, confida troppo nelle capacità dello spettatore medio che probabilmente ora sta pensando come fregare il prossimo, oppure si piazza sul suo palco del web a declamare la morte del teatro-cinema-letteratura, o peggio ancora è a cena dai Bernaschi. Buon appetito, mangiamo ancora la mèrda di pasoliniana memoria.
Buon film per carità con trama e recitazioni (Bentivoglio su tutti) davvero ottime, ma alla fine si ha la sensazione che è la classica occasione mancata e ti lascia non pochi spunti di riflessione in qualche passaggio molto forzato (in tal senso quoto in pieno il commento che mi precede). Personalmente poi non amo molto l'incastonarsi della storia ad episodi anche se qui non disturba.... In ogni caso merita assoluatmente una visione.
Sinceramente... qualcuno/a di voi, porterebbe il suo Fidanzato/Fidanzata povero e sfigato ad una festa del proprio EX ricco sfondato e ubriaco fradicio, oltretutto chiedendogli "senti.. guideresti ia Jeep di Luca...lui è troppo brillo?" No.. perchè sareste proprio voi a chiedergli di guidargli la Jeep! E in maniera talmente prudente da finirci in galera...
Un film discreto, con molte forzature e scontature.
Drammaticamente bello, intenso, vero e attuale, riflesso di un vivere sociale al di sopra delle proprie possibilità ed in cui si abdica ad ogni tipo di valore ed ideale in nome del Dio denaro, una società in cui tutto ha un valore, anche le persone, in proporzione al peso della loro vita, una società in cui non serve provare a tenere dritta l'asta, ciò che conta sono i natali .. nulla di più.. al solito Virzì non delude, strepitoso e mai banale, riesce sempre a far sorridere amaramente.
Mi piace Virzì ma non mi aspettavo un'opera così matura sotto ogni punto di vista: storia, sceneggiatura, recitazione, fotografia, montaggio. Il suo film forse migliore, di sicuro il più sorprendente. In molti punti sembra di assistere ad un film americano di "quelli buoni"
Il capitale umano. E' una terminologia terribile. Come spiegato nell'impietosa didascalia finale il capitale umano esprime un valore e rende l'idea del nocciolo del film. Le persone sono commisurate rispetto al valore che portano in dote, che può passare sopra i rapporti personali (l'antipatia di Vernaschi/Gifuni verso Ossola/Bentivoglio). Le figure maschili si rapportano su questi termini (e ci mettiamo anche lo zio di Luca), sono dominanti ma riflettono anche nelle loro differenze sociali un precariato sociale ed economico, quest'ultimo dominato da logiche mutevoli ed ingovernabili. Si gioca sull'orlo del baratro, dal ricco finanziere alto borghese (Vernaschi) al furbetto del quartierino (ossola) al criminale di mezza tacca (lo zio di Luca). In questa logica aberrante si giocano il futuro per mantenere un presente di privilegi consolidati e desiderati in maniera egoistica a danno delle nuove generazioni che saranno destinate a vivere del riflesso paterno (Massimiliano). Nel loro complesso le figure femminili sono più sfaccettate. Se la Golino propone una figura limpida anche con le sue piccole insicurezze, offre un contraltare di una persona che si dedica alle persone, puro e semplice,non a capitale umano e Serena mostra la sua forza di volontà di sfuggire anche inconsciamente alla logica dominante "investendo" se stessa su capitale umano (Luca) ad altissimo rischio, Carla è l'immagine speculare di quest'ultima: una donna svuotata, senza più identità che ha scelto un capitale umano più sicuro, pieno di agi e ricchezze, ma sacrificando sull'altare dello status sociale tutti i suoi sogni e le sue aspirazioni. Oltre agli ottimi contenuti di questo film e l'ottima resa di tutti gli attori (se devo sceglierne uno direi la Tedeschi, ma il livello generale è molto alto), non è tanto il cosa racconta ma il come lo racconta che il film di Virzì è su livelli di eccellenza assoluta. Grazie ad una sceneggiatura precisa ed ad un montaggio superbo la pellicola è precisa come un orologio e si addentra persino in territori come il dramma familiare e persino un po' il thriller psicologico, fino ad adesso non battuti dal regista livornese, riservandosi comunque quella parentesi di pura commedia rappresentata dalla riunione tragicomica del consiglio d'amministrazione del Teatro Politeama. Un equilibrio non facile sulla carta ma che a Virzi riesce con increbile naturalezza, segno di ulteriore maturità di un regista che coraggiosamente non dorme sugli allori e rischia. A mio pare con successo in questo caso.
Si, ma... Ottima l'idea sperimentale di Virzì... ma qualcosa si sente che manca... i personaggi sono troppo esagerati (Bentivoglio troppo scemo o troppo furbo, la Golino improbabilmente incinta a 50 anni, rapporti tra ragazzi sciai...) Mi aspettavo di più da Virzì...
Come fa la macchina di Emanuele ad essere dietro a quella di Serena e ad ostrurine completamente l'uscita visto che lei arriva per ultima in soccorso al ragazzo che sta male?
Storie di personaggi appartenenti a diverse classi sociali si intrecciano nell'ultimo film di Virzì, dando luogo ad imprevisti risvolti drammatici. Dal trailer sembrava si trattasse di un film sulla crisi profonda che ha investito il nostro Paese soprattutto per opera di quella classe altoborghese che accentra la maggior parte del potere, invece qui i ricchi fanno una splendida figura:
Due famiglie si incontrano: una è ricca, snob e borghese, l'altra più comune e ordinaria. In mezzo ci sono affetti, sospetti, legami folli, sentimenti.... L'aspetto originale di questo film è che narra la trama attraverso l'introduzione degli avvenimenti vissuti da ogni ogni singolo personaggio, così che gli eventi si incastrano l'uno all'altro in modo chiaro e lineare. C'è l'ipocrisia di una società arrivista e superflua, a scapito della cultura, l'arte e le cose belle. C'è La mancanza di comunicazione nelle famiglie, l'arroganza e la debolezza dei giovani.C'è un avvicinamento empatico con i personaggi. Molto bravi gli attori, tutti, nessuno escluso. Cosa è il capitale umano ce lo spiega a fine film, dopo tutto quello che c'è stato nel mezzo. L'Italia non so se risorgerà, ma il cinema italiano si.
Inizio dalla fine, dagli effetti, per dire che raramente in una sala cinematografica ho avvertito sbuffi di irritazione, risate amare o soffocate invettive lanciate contro alcuni dei personaggi come durante la proiezione di questo film. Sentimenti palpabili che sono perdurati sui titoli di coda quando in molti tra noi, sconosciuti, ci siamo guardati negli occhi, con desolazione direi, accomunati da una visione che ci ha lasciati tutti con l'amaro in bocca. Il capitale umano non è una semplice fotografia di un pezzo d'Italia, non è solo uno spaccato di realtà attuale: questo film rivolta l'anima delle persone e ce la fa vedere così com'è, direttamente, senza veli protettivi e quello che vediamo ci disgusta e tocca un po' tutti. E' un film sull'uomo che parla, agisce, sente come il "capitale umano" del titolo, che vive la sua vita pienamente aderente e trasformato nella sua intimità in quello che era, ma non lo è più, un ossimoro. E poi sulle fratture che produce dentro le persone e tra le persone, sullo scollamento e la solitudine, sull'abbrutimento e la codardia.
Bravissimi tutti gli interpreti a dar vita ai loro personaggi, hanno trasmesso esattamente quello che volevano essere. Un gran bel film che
Cinema sperimentale che prova ad accogliere sotto lo stesso nome diversi generi. Ma un film non è un fondo comune. Si parte dalla commedia nera,passando al dramma per convogliare il tutto verso il thriller. Che purtroppo si rivela una roba da Polizia Stradale. E la causa scatenante del dramma gestita davvero superficialmente. Un Dodge Durango camuflage,customizzato da un carrozziere analfabeta che scrive F** YOU (forse sta per for you?) sulla carrozzeria,dimmi te se una ricca famiglia brianzola che punta tutto sull'immagine,sull'ostentazione,compra un Dodge Durango,e poi alla fine della fiera il bello è che 'sta macchina non c'era neanche bisogno di spostarla,visto che all'ingresso di Casa Crosetti,così come ci eri arrivato,così te ne potevi andare… Peccato perché Bentivoglio è proprio bravo,e cosi anche la Bruni Tedeschi e la Matilde Jolie assomiglia un pò anche alla Kunis. Esperimento da perfezionare.
film imponente di virzì, sicuramente il migliore di quelli che ho visto del regista toscano. messa in scena formale e inappuntabile, con costruzione dei personaggi resa benissimo dagli attori, tutti degni di nota, ad eccezione di un lo cascio che ho trovato fuori luogo e in tono minore rispetto ad un gigantesco gifuni e a un credibilissimo bentivoglio. nonostante il libro sia ambientato nel connecticut, virzì e riuscito a trasporlo in brianza in modo fantastico, delineando stupendamente questo nostro martoriato paese roso dalla voglia di denaro e abitato da una genia di arrampicatori sociali ributtanti e da una classe apicale priva di ogni anelito di umanità. unica nota lieta viene rappresentata da serena, la sola insieme alla golino, a mostrare sentimenti umani, in una provincia che adora un solo dio, la ricchezza.
Svanito ormai l'effetto-Sorrentino, Virzì (da sempre, anche per chi snobisticamente non ci credeva, sua controparte "leggera" anche se forse è il contrario) rincara la dose dell'amarezza italiana (e della sua intrinseca e, come tale, paradossale bellezza) e della follia. Lucida stavolta, non poetica come era per la Roma di Jep Gambardella. "Il capitale umano" più che essere un film sulla crisi, è un film nella crisi. Il Giova Bernaschi è lo sfondo impazzito e debordante su cui ruotano tante piccole storie di umanità sofferente e arrabbiata, dai vaffa isterici di Carla, dalla rabbia violenta e infantile del Massi a quella della buona Serena, fino a tornare alla rabbia istituzionale del primo uomo di questo film, un uomo qualunque travolto dalla oggettiva crudeltà del mondo. Questi personaggi meravigliosi sembrano scintille che si diffondono a partire dal movimento egoistico e frenetico di una trottola meccanica, sono brevi e fugaci quanto quelle scintille, ma sono lampi di luce che ci interessano di più di una trottola la cui rotazione (che deve continuare a girare per rimanere attiva, esattamente come il becero sistema del capitalismo milanese che ha scommesso sul fallimento di un paese intero) rende invisibile e incomprensibile l'osservazione della vera essenza di quel fenomeno. La vita del Giova non può essere interessante per uno scrittore di cinema, di storie, ma solo le vite che girano attorno al Giova, che ne sono macabramente attratte (come per l'arrampicatore Dino Ossola, o per Luca, buono, ma catturato dal fascino tremendo e vuoto delle "case dei ricchi") e che si sforzano di ritagliarsi un mondo privato che non sia toccato dal potere di rendere tutto "profitto": il caso del professor Russomanno, tanto macchiettistico (unici e sporadici casi dove rimpiangiamo la scrittura "pittorica" sorrentiniana) quanto economicamente veloce ad esaurirsi.
Stupisce di quanto angusto sia il mondo del Giova, rispetto all'enormità delle proprietà in cui ha "deciso" di condurre la propria esistenza, un'esistenza fatta di rituali sempiterni ("sorry", "I'm sorry"), di allusività condensata in un linguaggio inaccessibile e criptico, un'antilingua come un'antivita, un personaggio che per avere tutto deve sacrificare tutto alle ragioni del mercato finanziario, in cui l'amicizia spensierata del giocare a tennis in due è solo un pretesto per assorbire altro capitale, anche umano: "Quindi giova oggi niente partitina eh?".
Virzì è un regista che apprezzo in quanto sempre capace di migliorare la propria tecnica, la propria scrittura. Non lo ricorderemo come un genio del cinema, ma come qualcuno che ha detto qualcosa di un'epoca strana e decadente: insuperabile dunque diventa il montaggio, la fotografia, il missaggio sonoro, una colonna musicale new age piuttosto banalotta basata sul contrappunto concettuale con il vuoto di un giro per negozi a Milano, la sceneggiatura preparata con un meccanismo a orologeria impeccabile, attenta a caratterizzare, a eliminare il superfluo, il prevedile, lo scontato, il piacente, tutto quello che ci attendiamo da un film italiano di rito. No, nulla di banale nel nuovo gioiello di Virzì, ogni dialogo è un'ulteriore conferma del tentativo di costruirsi uno stile, un linguaggio che definirei un nuovo realismo. Un realismo che all'impalcatura ideologica della storia oppone la normalità di un piccolo pezzo di storie umane intrecciate, fotografate in gesti e pose quotidiane, e in questo quotidiano c'è il tempo per tutto, anche per un bacio estorto con la forza ma che chiude poeticamente un film che di poetico ha poco. Unica concessione al melò buonista rimane il sorriso dei due giovani amanti, quasi pratoliniani, tipico ending di un sentimentalismo all'italiana su cui però bisogna sempre indulgere con la tristezza mortale dei precedenti 110 minuti di film.
Al calore di un abbraccio tra una madre che si conquista il suo diritto, per quanto persona stralunata e "che non ci capisc[e] più nulla", risulta stupendo il contrappunto iniziale di un'insulsa morte di strada, in cui non si riesce a trovare un colpevole, come nella miglior tradizione dell'oggettivismo letterario (da Verga a Bunuel). Stringe il cuore di tutti quest'omicidio stradale di cui seguiamo i passi fino alla rianimazione, dove siamo fantasmi accanto alla moglie disperata, esattamente come Serena. Nel momento dell'impatto, vediamo la vita scivolare via da questo anonimo capitale umano che la letteratura e il cinema ci hanno restituito. Un istante per articolare le ultime imprecazioni di dolore, il gelo esistenziale di un non-luogo che le tinte fosche della solitudine di fronte alla morte, non di certo quelle della Brianza reale.
Ormai non serve più a niente nascondersi sotto km di corsivo e ridere di Paolo Virzì, il suo cinema sarà derivativo ma quando è costruito nel miglior modo possibile - un montaggio che persino i francesi si sognano - è tra i migliori prodotti italiani in assoluto. Finalmente la sua vena graffia veramente (e non suscita irritazione come in passato, cfr. tutta la vita davanti) ma è soprattutto la memorabile galleria di personaggi femminili, degna del miglior Monicelli, a convincere appieno. Tre donne di tre generazioni diverse (più o meno) sopraffatte o oscurate dall'amore, dalle ambizioni e dalle aspettative, davanti a un universo maschile alle prese con la crisi economica e il bisogno - orribile e magistrale in tal senso il personaggio di Gifuni - di mantenere uno status al di là di tutte le conseguenze. Penso sia incantevole soprattutto l'aderenza psicologica di Valeria Bruni Tedeschi, ora viziata mondana, ora moglie insoddisfatta, ora ancora artista mancata e amante occasionale, o madre sbagliata. Una gamma di emozioni che descrive apertamente - e chi può dire il contrario se non nella cieca posizione demagogica di un odio inerme? - la durissima crisi di una borghesia azzerata nella sua routine quotidiana. Bello, bellissimo, emozionante, mentre dipinge un mondo di castelli in aria dove vivere giovani significa lottare annientarsi o cercare la fuga. Altre cose mi sono piaciute meno (uno storico teatro in rovina, il personaggio inutilmente pseudo-sessantottino di Lo Cascio) ma "Il capitale umano" resta un film di primissimo piano nella storia del cinema italiano di questi anni, con una consapevolezza scenica e morale (le lacrime della Tedeschi, il dolce e amaro ritorno alla realtà dell'epilogo finale, la cialtrona spacconeria di un Bentivoglio quasi quasi vicino all'Alberto Sordi d'annata) che lascia sbigottiti
Ambientato nella fittizia Ornate, in Brianza, " Il capitale umano" è secondo me il miglior film del buon Virzì, che si distacca dalle altre sia per il tema trattato che per il genere, lui che tanto è vissuto di commedia. Noir, poliziesco e commedia nera: c'è tutto in questa pellicola, fino ai personaggi ben caratterizzati che avremo modo di conoscere a fondo nei quattro capitoli in cui è suddiviso il film. E questa è secondo me una scelta importante e che dá una certa profondità al film. Strepitosa interpretazione di un Bentivoglio estremamente a suo agio nei panni di un viscido imprenditore di provincia disposto a tutto pur di arricchirsi più di quanto già lo sia, ma anche l'interpretazione degli altri 3 co- protagonisti ( Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni e Valeria Golino) è davvero importante. Finale amarissimo un pochettino addolcito, ma il pugno nello stomaco rimane. Da applausi.
ottimo. laciata la commedia agrodolce, ecco questo falso noir bello nella struttura e nelle interpretazioni. (su tutti valeria b.tedeschi). un film da non perdere.
ascolta ora che non sei più quello che volevi essere respira ora che sei chi vorrei avere accanto a me prega adesso intorno a te solo il blu adesso qui con me sola .
ecco(ci) bella gente noi siamo voi e voi siete noi...capito? qui c'è gente che lavora ,che si fa il **** per i giovani che devono sviluppare una loro coscienza critica ,noi vogliamo far crescere l'importo nazionale (e quando dico nazionale voglio dire Nazionale) col minimo sindacale, stando attenti a tessere tele che per disfarle mica basta un soffio di vento,no signori,noi vogliamo che quello che stiamo costruendo duri per i prossimi centocinquant'anni, roba da finire sui libri di storia e di diventare aggettivo sostantivo,su su non lamentatevi,troppo comodo farlo adesso,dovevate pensarci prima,ora i buoi sono scappati,vi abbiamo in pugno...e quando dico pugno intendo (taaac)
Le vite di cinque persone si disintegrano attorno al Capitale Umano. Virzì ti nasconde il che cosa possa essere questo Capitale Umano. Nella nostra mente proviamo a pensare ad una persona che funge da traghettatore di sfortune da versare a tutta la gente falsa e menzoniera. I capitoli aumentano,i punti di vista si moltiplicano,ogni personaggio presentato si ritrova in un dirupo e non sa come evitarlo. La prova più matura di Virzì,perché trasforma il thriller in un horror.L'orrore che si prova nel stare vicino a figure così meschine,così ignoranti e così superficiali.
Gli interpreti sono credibilissimi(soprattutto un Bentivoglio da odiare a prima vista):si mettono nei panni di persone che non saranno stati per loro mai di esempio,e se lo fanno loro. Odiare la maschera che indossi porta a trasporre su schermo la veridicità nuda e cruda delle personalità messe in gioco nel film.
Nessuno si esclude dal giro infernale in cui si sono cacciati,che siano problemi economici,di comunicazione,di intesa nel contesto familiare...sono spacciati,sono perennemente infelici.
Angoscia pura. Non lascerete la sala con il sospiro di sollievo,avvertiti. Già si può dire di essere di fronte al miglior film italiano del 2014.
Molto diverso dai "soliti" film alla Virzì, ma a mio parere la sua pellicola più riuscita. Tratto dal libro (omonimo) di Stephen Amidon, che ambientava però la vicenda nel Connecticut, il film racconta le vicende di due famiglie brianzole, che danno vita ad un thriller avvincente. Regia pulita, ottima recitazione e azzeccatissima la scelta di sviluppare la narrazione in quattro capitoli dal punto di vista dei differenti personaggi. Da vedere.
Era da tempo che non vedevo un film così bello! Trama costruita perfettamente, recitazione di un livello davvero altissimo, personaggi credibilissimi. Davvero molto molto bello
Paolo Virzì sorprende ancora una volta!....Storia coinvolgente e ben scritta. Il cast è imponente.....Dopo l'abbuffata di cinepanettoni e di boss in salotto, ci voleva proprio un grande film italiano sui mali della nostra società...Da vedere!