Justine e Michael stanno per sposarsi, il ricevimento si terrà nella casa della sorella di Justine, ma proprio in quei giorni un evento catastrofico minaccia la terra ed i suoi abitanti...
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Film potente! Lars non delude quasi mai! Da sempre fa il cinema che vuole, con le sue regole e le sue condizioni che prevalgono su tutto.
Melancholia-film ha lo stesso impatto su noi spettatori che Melancholia-pianeta ha sui personaggi, visivamente stupendo (che fotografia!) e intrigante ma allo stesso tempo sconvolgente e pericoloso. Non so voi, raghi, ma io mi sono interrogato sulla banalità e vacuità della maggior parte dei rapporti umani (Parte 1 del film), e sull'ineluttabilità e inevitabilità della morte/catastrofe (Parte 2). Se poi ci aggiungi l'agonia che si prova nel sapere come tutto andrà a finire (e Lars ce lo mostra nel collage iniziale), insomma, il rischio di deprimersi come Kirsten c'è! Ma forse è meglio se ripenso a lei distesa sul prato, ignuda, al chiaro di Melancholia (oddio, oddio... ).
Dal punto di vista tecnico, invece, il solito Lars, oppure "niente di nuovo sul fronte von Trier", per citare Remarque. Per intenderci, mdp mossa da cameraman con Parkinson, zoom in/zoom out e jump cut a profusione, e cavalletti e carrelli lasciati nei negozi. Ma il Dogma 95 vero e proprio è superato da tempo.
Film allegorico che spazia e cerca di cucire vita, morte e nichilismo attraverso il filo conduttore della depressione della protagonista. La pecca, gigantesca, è la superbia del regista, che inquadra personaggi a senso unico per portare sull'altare il finale scritto dall'inizio. La visione e la componente nichilista deve valere all'interno del film, non dei personaggi, altrimenti si soggettivizza e non ha senso. L'ho trovato per questo sentenzioso, autoritario e autoreferenziale, troppo autoreferenziale. Questo, a mio avviso, non permette la creazione di una logica coerente tra le tematiche affrontate, rovinando il film, cioè l'allegoria. Ho letto con molta curiosità la recensione e anche molti commenti. Ho letto dei nove e dei dieci grotteschi, ma anche degli otto, dei sei, e dei cinque ragionevoli. A me non è piaciuto e mi è sembrato di perdere tempo (cosa che mi accade raramente, per fortuna), ma riesco a comprendere le ragioni di cha espresso pareri positivi. La recitazione e la fotografie mi sono piaciute, mentre l'uso delle inquadrature appositamente approssimative e sballonzolanti, per niente.
..Devastante ... Grande Lars.. non sò ..forse sono io che avendo sofferto di depressione in passato(curata anche con farmaci)che mi identifico nella figura di Justine.. Tutto quello che prova lei lo provavo anch'io.. L'instabilità prima.. la tranquillità quando negli altri si scatena il panico dopo ... Per il resto grande in tutto ..da i sognio iniziali .. ai colori caldi della festa e freddi dopo nella casa.. dalle inquadrature "amatoriali" della telecamera sempre alla festa,ai lunghi campi visivi nelle giornate alla Maison.. Grandi attori.. su tutte la Dunst,che è più credibile in un ruolo drammatico depresso.. come già in Crazy/Love di tanti anni fa,che come fidanzata di Spiderman.. nella scena di nudo al chiarore del pianeta è da strupro!!!
Lars von Trier sta passando nella contemporaneità come regista alternativo e pazzoide; noi non smentiamo assolutamente queste concezioni circa questa regia; allo stesso tempo, però, vogliamo aggiungere che Lars von Trier nel suo, è portato in alto in modo alquanto eccessivo. Dopo aver visionato diversi lavori del cineasta ci accorgiamo che gli squilli di grandezza e compiutezza girano intorno (forse esclusivamente) al doppio "Nymphomaniac"; quanto al resto Lars von Trier è stato protagonista di sciagurate crociate. Su una immaginata torre se dovessimo scegliere quale film buttare giù fra "Antichrist" e quello del 2011, ossia "Melancholia", probabilmente opteremo per un ordigno posto alla base della stessa torre. Insomma Lars von Trier sembra parlare ad un deserto personale e mostra i segni di una depressione e di una veduta a dir poco drastica e terminale delle cose. Difficile trovare consensi sinceri.
"Melancholia" a dirla tutta convince già poco dalla trama; si mescolano in essa situazioni catastrofiche e personali, in pratica i dubbi sembrano erigersi immediatamente. Non bastasse ciò il film si priva anche della stessa proiezione di storia ancorandosi ai piedi di una sceneggiatura povera e marcia. Prevalgono i silenzi e le ripetizioni; il problema è che la prova per lo spettatore dura circa due ore. La noia sventola lo stendardo della vittoria totale. Qualche fanatico estimatore della regia probabilmente porterà avanti, come pretesto di giustifica, una serie di teorie circa il messaggio registico. La depressione dell'individuo legata ad un bagaglio emotivo umano e vivo; per qualcuno tornerà alla mente qualche messaggio di Bergman; ma questi parallelismi rimangono solo approssimativi, approfondirli sarebbe rendere superficiale la filmografia dello stesso Ingmar Bergman; non ci pare il caso.
Lars von Trier continua come suo solito in una confessione riservata mossa ai piedi di una non corrispondenza; ermetismo e monotonia se messi insieme sono come l'esser ubriachi e spavaldi ad un tavolo di roulette, generalmente son dolori atroci.
Medesimo discorso fatto per 'Antichrist'. Per niente coinvolto/entusiasmato dalla visione di questa pellicola. Non ho neanche cercato di dare un senso particolare a quanto visto, in quanto mi trovo di fronte a un'opera alquanto ostica per il mio modo di concepire/percepire le cose. Metafore a mio avviso poco fruibili quelle che Von Trier ci propone nei suoi ultimi film. Detto questo, la pellicola è meritevole se non altro dal punto di vista tecnico/estetico, con delle buone recitazioni e delle ambientazioni quantomeno interessanti.
Premessa: il voto di Faluggi, un 1 secco, mi ha lasciato davvero basito: capisco che certe caratteristiche di un questo film possano irritare (lo scrollio della cinepresa, per esempio), ma poi non bisognerebbe mai farsi prendere la mano dalla rabbia nel dare un voto, e pensare lucidamente che esistono senza dubbio film per noi ancora peggiori... :-) Il singolo voto altissimo o bassissimo, comunque, ha in sé un valore molto relativo, e non può sconvolgere una media di voti... Ognuno infine legge i singoli commenti e può ben capire il "valore" di ogni singolo voto, dando dentro di sé, scusate il gioco di parole, "un voto al voto"! Dopo tale premessa (ma l'1 di Faluggi mi ha davvero colpito!) vorrei dare anch'io il mio voto a questo film. Voto che non è un 1 (non ho mai dato voti sotto al 3 e mezzo, anche a film che a fatica ho portato al termine visione!), ma neanche un dieci!
Tolgo 2 punti per alcuni difetti, segnalati peraltro anche da Faluggi: tipo di riprese "ballonzolanti" che possono stancare, lungaggini di alcune sequenze e certe scene tipo
l'amplesso serale della nostra protagonista neosposa con il ragazzotto
che anch'io ho trovato un po' forzate.
Tolti questi due punti al 10, il mio voto si assesta però su un 8 tondo tondo, che, casualmente, coincide perfettamente con la media dei voti di questo film!
Film profondo e interessante, sul tema appunto della malinconia ma non solo: anche la morte e l'inevitabile fine del mondo e di ogni cosa (che, indipendentemente dalla profezie Maya, avverrà comunque, anche se probabilmente solo fra qualche... miliardo di anni).
...se un pianeta delle dimensioni della Luna ci viene addosso, l'effetto visivo sarebbe di tipo "luminoso" come ce lo descrive Von Trier, o ne deriverebbe piuttosto un buio totale tipo eclissi, prima del devastante impatto?
Uno dei film più noiosi della storia del cinema. Lar Von Trier, regista paraculato, chissà a chi l'ha dovuta dare per essere assegnato come regista, sforna il suo solito (perchè non c'è un suo film che sia veramente dignitoso) che dopo 5 minuti si rivela una palla mortale.
Un vero sonnifero, scene che potrebbero durare 5 secondi, durano mezz'ora (in perfetto stile Sergio Fulci), più una cinepresa che non sta mai ferma, esempio lampante della mancanza di competenza di Von Trier. Non parliamo delle scene senza senso (lei nuda nell'acqua!?!?!?)
Poche balle questo regista non merita 2 lire, io e tutti quelli che hanno visto questo film hanno dato lo stesso verdetto "che palle di film!", si salva solo la gnoccona di Kirsten Dunst.
BRUTTO E PESSIMO, il cinema sta morendo per colpa di questi film del kaiser.
Diseguale ma per una volta suggestivo e con un certa coerenza stilistca, Lar Von Trier mette in scena l'apocalisse come un dramma di due sorelle - una problematica e depressa (la brava ma non entusiasmante Dunst) - l'altra madre/moglie possessiva ed insicura Rampling (d'applausi). Usa gli effetti speciali (pessimi) come fine e non mezzo, anche se le citazioni alte (Il Tristano e Isotta di Wagner) sono molto gratuite seppur suggestive.
Lars Von Trier conferma quindi di non essere un intellettuale fine, ma la sua ispirazione è figlia di un sincretismo culturale forse rozzo; spezza la narrazione in tre parti, suggerendo - facendo venire il mal di testa con la mdp a mano - chiudendo con un messaggio di riconciliazione davanti alla morte.
Eppure è meno predicatorio di un Malick nello scandagliare i suoi personaggi... incredibile ma vero.
Parte I - Introduzione Lungo prologo, tante istantanee al ralenti che sono dei Caravaggio in lento movimento. Altre prospettive surreali di quel che sarà, di ciò che vedremo. Sappiamo già il finale, tanti potrebbero abbandonare qui. E' un suggerimento. Sublime.
Parte II - Primo capitolo, "la matta" <<Goditela finché dura>>. Ma Justine non ci vuole sentire. E così decide di dare i numeri, lei sa che prima o poi in un modo o nell'altro finisce tutto e quindi c'è poco da star allegri. Che oltretutto poveretta perde di vista Antares, stella e bussola insieme. Un 'Festen' rivisto in sostanza, questa sfarzosa cerimonia. Migliore? Mah, cinese direi. Una patacca, pura imitazione.
Parte III - Secondo capitolo, l'altra ragione Quella di Claire, sorella che argina a fatica furia Justine. A lei capita "Melancholia". Già, la sorella. No, non solo. <<La Terra è cattiva>>. Un enorme pianeta che le si avvicina sempre più. Altro che la brillante Alfa scorpii di Justine. Maledetta terra, dea impietosa.
Conclusioni Bello. Il cast femminile. Anche se Gainsbourg e Rampling sono capaci di dare molto di più. Evidentemente non era funzionale, magari rubavano la scena. Bello. Tutto tempestato di simbolismi. 678 fagioli era il numero giusto della lotteria. "Temutissimo male", l'inizio non promettevo proprio bene. Via i libri esposti sugli scaffali! Al loro posto 'Ophelia', 'Davide con la testa di Golia', 'Il ritorno dei cacciatori', 'Il paese di cuccagna'. Echevordì? Non lo so, informatevi se volete io mi rifiuto. Il ponticello che non si riesce ad attraversare. La salvezza che non si può raggiungere. Un campo di golf di 18 buche come giardino di casa. Ah no, sono 19. Forse è tempo di uscire dal campo. Qualcuno di testa già ha dato. Bello. Un altro film sulla depressione cronica di Larsone. Stavolta però per nulla misogino, il vecchio leone ruggisce contro gli uomini ridicolizzandoli. Bello. Sempre se non avete già gettato la spugna. Quello schianto finale. Vera liberazione. Risarcimento doveroso. Per lo spettatore.
Ci ho messo 15 anni a riprendermi da Le Onde del Destino ma adesso mi sento preparato ad affrontare un altro film di von Trier. Sono pronto.Sono pronto. Non ero pronto. Già al 7' accuso i primi sintomi di insofferenza:'Ma il film è tutto così?' Al 40' rimpiango le immagini stile Intervallo RAI (a colori,slow motion) dei primi minuti. Sono in balia di un matrimonio tragico. La macchina da presa balla che sembra di essere sul ponte del Titanic:forse vuole rendere l'instabilità mentale di metà degli ospiti.Ma io ho bisogno di un antiemetico. Si prosegue con la location del ricevimento che è diventata osservatorio privelegiato per il passaggio di Melancholia (il pianeta). Tra un bagno caldo e una colazione all'aperto constatiamo che i prolemi di salute della neo-sposa sono genetici. Io intanto sono entrato,già da un pò,in rotta di collisione con Melancholia (il film) e resto in attesa del tragico,quanto liberatorio finale.
Morale:che gli frega ai depressi della fine del mondo.
Quello tra me e Lars è un rapporto sulla lunga distanza,costruito,anzi demolito 'mattone' dopo 'mattone'.
ho apprezzato molto la linearità del film, e le interpretazioni delle due attrici principali. non mi interessa particolarmente la visione pessimistica, quanto la splendida raffigurazione del difficile rapporto fra due sorelle cosi'diverse, e delle loro contrastanti reazioni di fronte ad una morte imminente. e'un film che va davvero in profondità. ultimi 15 minuti da applausi, mi hanno emozionato molto.
Inevitabile. La protagonista racchiude l'anima e il pensiero del regista, inevitabilmente malinconico. La trama anch'essa inevitabile vista la fine delle certezze dei personaggi. La fotografia fredda è inevitabilmente distaccata. La depressione è inevitabile. La morte è inevitabile. Due ore insieme al pensiero distruttivo di Lars Von Trier. Fate voi. Ottimi attori, ottime musiche, ottima regia ma se siete dei tipi solari lasciate perdere e andate a vedere American Pie.
Drammone catastrofico parecchio strano, originale, esteticamente notevole, tecnicamente virtuoso. Praticamente due film in uno: il drammone ed il catastrofico; l'uno lo sfondo dell'altro. Un film ottimo a livello visivo per fotografia, luci, location, scenografie ed artifizi tecnici; un po meno nell'espressione dei contenuti: non riuscitissima nella trama molto semplice, forse troppo, discretamente sceneggiata e ritmata, ma un po freddina e poco efficace. Buona la prova dell'intero cast. Buone le musiche. Che dire? Pare che Trier stia attraversando un periodo di depressione e non è che questa pellicola cerchi di nasconderlo. Nel complesso direi che, proprio per la sua particolarità, almeno una visione la merita, anche per i non fedelissimi. Nella filmografia del regista c'è comunque di meglio.
Ma non scherziamo... anni luce lontani da un capolavoro e neanche vicini al' esser un bel film. Non basta distaccarsi da un cinema commerciale per esserlo, non basta portare la visione di un film ad assimilarla a qualcosa di esasperante per chi guarda, non basta un po di fotografia a spruzzi ecc. la faccio breve, NON BASTA fare un film "da intellettuale cinematografico" x renderlo un capolavoro. Non facciamo finta che c'è tanto di profondo sotto la buccia (che non c'è manco quella)
NCS e se non era di Lars non so nemmeno se aveva sta schiera di "fan".
Un pianeta blu sta per entrare in collisione con la Terra. Ne frattempo una donna (Dunst) sta per sposarsi. Il corpo celeste si avvicinerà al cosmo di pari passo con lo sprofondare nella depressione e nella paranoia della protagonista.
Lars Von Trier riesce a confezionare un film di fantascienza atipico perchè psicologico e metafisico. Il fulcro centrale è la malattia. La grande depressione della protagonista, una stupenda e bravissima Kirsten Dunst, ma anche il dualismo tra le due sorelle. La prima malata, la seconda iperprotettiva, ma che a differenza della della sorella non arriverà all'accettazione di un destino inevitabile.
Non amo molto il regista danese in quanto trovo spesso le sue opere pretenziose e inconcludenti. Stavolta però è riuscito a confezionale un film personale e apprezzabile, chiaro riflesso dei propri problemi di salute, inquietante soprattutto nella seconda parte. Pur non facendosi mancare però lungaggini (la lunghissima festa di nozze), sbrodolature qua e là e qualche momento di ridicolo involontario.
avete presente il primo fotogramma del film? ecco, avete senpre presente il viso in primo piano della protagonista??? ok! sono sicuro che sara' la stessa faccia che avrete voi alla fine del film! esausti di vedere la nullita' fatta in pellicola. mi dispiace perchè dopo dogville speravo in qualcosa di piu'!!!! ma oltre a vedere una sposa depressa che durante il suo matrimonio preferisce andare a farsi un bagno, urinare sopra un campo da golf ( con 18 buche ) , rifiutare di fare sesso con suo marito , per poi fottersi un ragazzo sempre su quel campo da golf e nello stesso punto dove 10 minuti prima aveva allegramente pisciato, per poi finire finalmente questa benedetta festa e cominciare a prepararsi alla fine del mondo nuda davanti ad un pianeta che sta per distruggere tutto e toccarsi le tette( belle x carita')eccitandosi come una malata cronica, sotto gli occhi di una perplessa sorella. . . . 2 ore ed un quarto !
incredibile come molti di voi abbiano visto il capolavoro......................... un'insignificante accozzaglia di sentimenti deprimenti e cinici sulla vita.............sulle persone..........sull'amore........
la bionda: ti stai sposando? per quale motivo hai deciso di sposarti se non lo ami?in piu' lo tradisci il giorno del matrimonio? e poi quante volte ti lavi? voto 1
la mamma: che ci vieni a fare al matrimonio di tua figlia? solo per fomentare l'indolenza della figlia verso il matrimonio e il marito? voto 1
il papa' playboy: che ci vieni a fare al matrimonio di tua figlia? solo per farti prendere in giro dalla ex moglie e per fare il playboy da strapazzo? voto 1
il marito della sorella: lo sapevi di avere una cognata depressa al midollo? allora perche' hai fatto il ricevimento nella tua villarda? e perche' gli rinfacci che ti e' costato una cifra sempre il ricevimento?e soprattutto perche ti suicidi? ma che uomo di m...a sei voto 1
la musica: musica di sottofondo per creare l'atmosfera...........atmosfera de che? insignificante e direi esageratamente invadente..... mi ha ricordato il film kyashan - la rinascita del 2006 dove anche li la musica e' stata troppo inflazionata voto 1/2
Il voto è 5.11 qui approssimato a 5 per ovvi motivi.
Questo film trasmette emozioni di inquietudine e insensatezza, le quali sono emozioni non molto gradevoli da provare.
C'è un tocco di poesia, ma la poesia si gode in un contesto di emozioni positive e non avvilenti.
Personalmente giudico questa film un prodotto privo di messaggi positivi, e inutile e distruttivo.
Le persone tristi e depresse sono quelle che secondo me potrrebbero apprezzare meglio il film perché più in tono con il loro modo di vedere il mondo. Le persone solari e vitali invece dovrebbero cercare di evitarlo, perché non ci troverebbero in esso nulla di interessante, se non qualche scena da grande impato visivo (soprattutto se visto al cinema).
Questi, gli elementi di Melancholia che mi hanno convinto a considerarlo a pochi passi dal capolavoro:
- il prologo: spiazzante per la sua bellezza estetica e l'uso magistrale del ralenti. Da qui scaturisce una fascinosa inquietudine, premonitrice del tragico finale, che carica la molla dell'attenzione per le due ore a seguire (personalmente non mi sono mai annoiato);
- l'uso della camera a mano: congeniale e appropriato per trasmettere tensione, dinamismo e realismo, a sostegno del presagio apocalittico;
- la fotografia: sublime e avvolgente, dai contrasti di luce forti e coerenti col tema;
- lo scardinamento del microcosmo familiare dal resto del mondo (e dall'action sterile e standardizzata dei disaster movie): il dramma è totalmente intimo e poco importa dove ci troviamo e cosa succede "fuori" da questo microcosmo;
- la donna al centro: dispensatrice di vita, affronta a viso aperto la morte, con un inaspettato e liberatorio coraggio (Justine) o una forza dirompente di umana autoconservazione (Claire). L'uomo resta vittima di un'ingenuità o di una meschina vigliaccheria.
Il 2011 è stato anche l'anno di The tree of life, spesso menzionato come termine di confronto con Melancholia. Sinceramente, per quanto entrambi criticati per l'eccessivo estetismo fine a se stesso, il film di Lars von Trier, pur nel medesimo autocompiacimento (però molto meno enfatizzato), mantiene una linearità di tempo e un finale leggibili a tutti e questo è, senza dubbio, un merito.
Delusione totale. Primi dieci minuti da suicidio. Poi un matrimonio surreale. Poi l'attesa per quello che si sapeva dopo i primi 10 minuti. Il tutto raccontato con la solita ripresa ballerina nella noia più totale. Ottime interpretazioni e fotografia? ma chi se ne frega.. Ammetto di essere stato fuorviato ingenuamente dal trailer....
Melancholia: vocabolo latino che deriva a sua volta dal greco melancholía, composto dalle parole mélas, mélanos (nero) e cholé (bile), nonchè bile nera. Essa secondo la teoria della patologia umorale del 1300, è una dei 4 principali liquidi contenuti nell'uomo, più precisamente nella milza, e che a quel tempo venivano associati agli umori dell'essere umano. Non esiste scelta migliore da parte di Lars Von Trier di aver deciso di chiamare questo film con il titolo Melancholia. La parola in sè racchiude lo svolgersi e il significato della pellicola stessa. Più precisamente nel finale, e che gran finale stilisticamente riconducibile al genio di Von Trier, il titolo prende vita dai personaggi: in tre sotto una capanna magica immaginaria, dove troviamo la protagonista, sicura e consapevole della morte imminente, la sorella, consapevole della morte, la quale però non è pronta a morire, è spaventata e il bimbo, inconsapevole e tranquillo di quello che sta per accadere. La malinconia è proprio questo: un sentimento di debolezza che esprime una profonda tristezza che porta la persona che la sta vivendo ad arrendersi davanti agli ostacoli che appaiono insormontabili. Il lasciarsi vivere, l'abbandonarsi al proprio destino senza lottare, provare un vuoto incolmabile.
Un passaggio che rende fermamente visibile la trasformazione dell'essere umano davanti alle intemperie della vita è dato dalle due sorelle. Per prima la protagonista all'inizio del secondo capitolo sembra essere divorata da una malattia degeneratrice a livello mentale dove sua sorella l'aiuta a lavarsi, a vivere senza che essa si chiuda dentro una stanza con lo sguardo perso nel vuoto. Nello svolgersi del secondo capitolo troviamo invece la sorella che diventa non propriamente pazza ma dà segni di debolezza d'animo, causati dalla morte del marito (anche lui nel momento in cui capisce la vera pericolosità del corpo celeste decide di togliersi la vita, credendo che prendere la strada del suicidio sarebbe stata la scelta migliore) e dalla consapevolezza della fine del mondo mentre la protagonista si risolleva e diventa una donna con le idee chiare, fredda, sadica.
Il film si apre con immagini molto statiche che si muovono al rallentatore e dove troviamo una mdp ferma contrariamente a il dogma di LVT. Una fermezza che tende a sottolineare insieme ad una commovente colonna sonora, la tragicità delle immagini stesse (le foglie, i corpi che cadono,..), rimandano alla sinfonia dell'autunno, allo scorrere del tempo, immagine mobile dell'infinito, quel senso di peso del rendersi conto delle nullità che siamo, esprimendo un senso di calore che ci accompagna lentamente alla morte.
In un primo momento sembrerebbe che LVT sceglie la mdp come strumento di ripresa fisso per il film, ma in seguito si intuisce che ne ha fatto utilizzo solo come scelta artistica, infatti dopo il prologo prende con mano decisa la cinepresa e inizia a girare! Il dogma 95 ancora una volta viene rispettato, la voce di LVT si fa sentire in un lieto pensiero e omaggio a quella mentalità radicata negli abissi dell'uomo, quella paura che nei secoli non si estirperà mai dal nostro cuore, ed è quel groppo che ti prende e ti schiaccia giù, e con un motivetto rindondante ti ricorda che la fine di tutto è vicina e che tu, piccolo uomo, non puoi farci nulla, sei impotente ad essa.
La fotografia viene usata magistralmente per sottolineare con tecniche diverse (seppia, incandescenza ai bulbi di mercurio, luce morbida,..) i differenti stati d'animo che il regista vuol far passare, enfatizzata da effetti speciali che non rovinano affatto la delicatezza di essa ma ne accentuano il torpore dello spettatore.
Una sfida che LVT si pone: si cimenta nel genere fantascienza regalando momenti davvero espansi a tutto quello che è il mondo delle emozioni, e riuscendo a non cadere nella banalità dei semplici elementi fantascientifici.
La pellicola si caratterizza per l'alternarsi di momenti in una stessa scena in cui si rimane male, sconcertati e altri che fanno abbozzare un sorriso di divertimento, anche se il sarcasmo e il cinismo stanno alla base di tutte le battute. Scene che invece diventano magnetiche e ti fanno rimanere li con la bocca aperta. Quanti non sono rimasti li, concentrati, come mai nel resto del film, a fissare insieme alla protagonista quel corpo celeste cosi misterioso, cosi bello, cosi intrigante..Nuda come lo siamo noi agli occhi dell'universo. Ipnotizzata come noi quando ci soffermiamo in una calda notte d'estate ad osservare il cielo stellato e a guardare fissi la luna..un sentimento che è difficile riprovare con le cose terrestri, solo il nostro satellite racchiude quella strana cosa magica che nessuno è in grado di descrivere perchè le parole sarebbero troppo scarne nel definirla.
Dunque...Mi meraviglio davvero di chi ha dato 9 o addirittura 10 al film...Credo che sia dovuto solo alla fama del regista...In ogni caso é un film diviso in due e per quanto la seconda parte sia più sopportabile della prima credo che sarebbe meglio comprarsi un pacchetto da 20 di sigarette che vedere questo film. Il fumo uccide ma anche questo film é di un pessimismo che ti ammazza.
La prima parte parla di Justine, la sorella ****, che si sta per sposare e che non é affatto convinta, tanto che si fa un altro durante la festa sopra il prato dove ha urinato. Senza contare che tiene un viso di mxxxa per tutta la festa.Il padre che é un play boy di tipo 70 anni che batte qualsiasi ragazza basta che respiri. La madre pessimista e fuori di testa che dice parole senza un senso e l'unico sano di mente sembra essere il marito di Justine. Assurdo il fatto che lei si faccia un bagno ogni 20 minuti!
La seconda parte parla della sorella di Justine, brutta e completamente di versa dalla sorella, che ha un figlio e un marito che non vedono l'ora di vedere passare il pianeta che PROBABILMENTE andrà addosso alla terra, ma loro sono sicuri di no -.-'' La sorella di Justine é convinta del contrario tanto che é ossessionata dall'evento. Giusto per non pensarci prende in casa Justine che, chiaramente, non fa altro che parlare di quanto sarebbe bello morire.
Vi giuro dopo i primi cinque minuti volevo uscire dalla sala, poi però ho detto, vabbé dai vediamola fino infondo. Avrei dato 1 al film ma il finale é discreto (nel senso degli effetti speciali) e l'attrice che fa Justine é favolosa. Ma da evitare come la peste.
Non posso che confermare in pieno il precedente commento di Kater: prologo ed epilogo di alto valore artistico, ma in mezzo è troppo invadente il nichilismo autocompiaciuto del regista, che esterna il suo male di vivere ( malinconia?), volendo universalizzarlo in modo narcisistico. Nonostante la mia impressione, consiglio il film di Von Trier anche a chi ( come la sottoscritta) non apprezza lo stile registico, perché l'ultimo lavoro di von Trier merita comunque, in effetti un film che fa discutere è sempre degno di un'attenta visione. Il ritmo è lento ma necessario per coglierne il simbolismo e i continui richiami ad altre sfere artistiche, forse sovrabbondanti anche questi, certamente non facilmente accessibili per chi non ha frequentato la precedente filmografia di von Trier. La lettura dell'ottima recensione di Cagliostro, che offre con chiarezza esaustiva un'analisi tout court del film, analizzato da ogni angolazione interpretativa, mi ha dato la possibilità di decomporre e ricomporne la struttura, ripensandolo diversamente, anche se resta per me come un gigantesco caleidoscopio privo di empatia.
Me l'hanno presentato come un capolavoro, senza ombra di dubbio un film curato, ma assolutamente noiosissimo, non mi ha mai preso e non mi ha trasmesso assolutamente niente, sono riuscito ad arrivare alla fine solo perché ero curioso di vedere se succedeva qualcosa che mi colpisse. Mi ricorda i film di Visconti uno dei "grandi" del cinema italiano (virgolettato perché non condivido), la lentezza del film e deprimente, è deprimente il tema, ma ci può stare, ma almeno che trasmetta qualcosa e per finire tutto il testo del film potrebbe entrare dentro un solo SMS... Detto questo vi consiglio vivamente di non guardarlo a meno che non vi piacciano questi generi. Non mi spiego assolutamente un voto così alto.
Subdolo. Stupido. Noioso. Inutile. L'abile rappresentazione di Trier cavalca le realtà del nostro tempo: mai come prima ci troviamo di fronte all'angoscia di vivere, in un mondo in cui abbiamo tutto, ossia niente. La vita non ha senso, il mondo è un groviglio di solitudine e l'esistenza umana è vuota. La morte stessa non è che una fine senza senso in un universo insensato. Il buon Lars per non contraddire il messaggio ha sviluppato una pellicola senza senso. La realtà rappresentata è irrealistica, forzata. Lo spettatore è bombardato dal nulla per tutto il film, e dato che l'animo umano poco si confà al nulla emotivo, raccoglie l'unica cosa possibile durante la visione: l'angoscia. Angoscia dovuta a tanto nulla, amplificata dalla propria angoscia personale. Poco vale se ciò contraddice il decantato vuoto dell'umanità, l'importante è che lo spettatore sia colpito. E qualcuno dovrebbe chiedersi come mai con l'aumentare della superficialità della società si ha anche l'aumento della presunta profondità di film del genere. Coincidenze. Chi elogia animatamente la fotografia e la tecnica di questa pellicola dovrebbe anche ricordarsi che vi è una cinematografia che surclassa lo stesso Trier con budget e mezzi tecnici del tutto inferiori, ma questa critica bisognerebbe lasciarla ai puristi che studiano la bellezza delle cose con righello e calcolatrice... magari gli stessi che esaltano questo capolavoro di bellezza visiva. La cosa più scioccante di tutto il film è data dall'apprezzamento di chi lo guarda. Ma davvero tali individui hanno un'esistenza tale da giudicare realistica la realtà rappresentata? Davvero hanno una vita vuota, così piena di solitudine e mediocrità? Eppure se qualcuno dei voluttuosi spettatori dal 10 facile uscisse dal cinema per guardarla un po' dal vivo questa esistenza, vedrebbe un'enormità tale da ritenerla insipida quella rappresentazione. O almeno troverebbe qualche buono spunto per evitare solitudine e mediocrità... La volontà "nichilista" e profondamente materialista di Lars coglie il bersaglio talmente bene da annullare la sua stessa opera. Pellicole superiori e molto più riuscite hanno perseguito lo stesso intento in modo più lodevole e meno esplicito. Persino chi si trova dalla stessa parte del regista non può non notare gli eccessi di questo film. Icaro-Lars vola verso l'arte con tale spinta d'intenti da rimanerne bruciato, colando a picco nell'oceano dell'inutilità. Ed io non posso che consigliare a chi volesse vedere questo film, di utilizzare in modo più proficuo due ore della propria esistenza, fossero anche spese a contare formiche mentre un'enorme palla bluastra si avvicina minacciosa alla Terra.
Un film dal sapore nichilista, mi era stato detto. Von Trier sdoppia se stesso in due compagini femminili complementari per quanto opposte, intorno alle quali fa girare un universo forse sì un po' troppo presuntuoso nel volersi assurgere a sintesi dell'intero genere umano ma comunque pienamente funzionale. Lo fa con i modi di chi si mette in gioco completamente e con un gusto ed una ricercatezza tali da sconcertare sin da subito: sulle note di Wagner un susseguirsi d'immagini oniriche accompagnano l'elegante danza dei corpi celesti, una sorta di rito esoterico che inquieta e annichilisce. L'arte diviene metro di comprensione della realtà; la stessa realtà che Justine vorrebbe poter amare ma non riesce, vittima com'è del proprio malessere esistenziale, che è poi il malessere del Von Trier regista che riempie e buca lo schermo. Un film imploso, dunque, che pare riorganizzarsi dopo lo splendido prologo attorno le due protagoniste, Claire e Justine, volti antitetici di una stessa moneta. La prima come bisogno spasmodico di controllo, anche dell'ineluttabile, che s'incarna nell'osservanza metodica del protocollo borghese; etichetta profondamente disprezzata invece da Justine, che forte della propria consapevolezza percepisce a pieno il senso di finitudine dell'esistenza e, quindi, di limite che stride visibilmente con l’infinito significato della libertà. Il rifiuto sprezzante di Justine, violentemente spiattellato attraverso quell'unica animalesca sequenza di sesso, pare tuttavia attenuarsi nella sua manifestazione patologica con l'avvicinarsi di Melancholia. Le coordinate spazio temporali vengono ridefinite per tutti, ma è questa volta Justine ad acquistare il controllo della situazione, abbandonandosi pienamente alla danza di morte di una Natura che appare come forza caotica, fascinosa e distruttiva. Per contro Claire, saldamente ancorata a quei rassicuranti schemi borghesi, si ritrova ora costretta a percepire il profondo senso d'angoscia che pervade l’animo dell’uomo facendolo sentire inadeguato, sbagliato, inutile. "La terra è cattiva", ma è forse la struggente sequenza finale la compagine meno disperata dell'intera pellicola: le lacrime di Claire vengono controbilanciate dalla speranza che Justine infonde al nipote. Del resto, il giorno in cui i giovani perderanno la speranza sarà un giorno sbagliato.
Ho ritrovato le lacrime di Claire in un bagno del cinema. Lei è entrata singhiozzando, non sapeva che la stessi ascoltando, o forse non le importava. Sono rimasto impietrito, in attesa che uscisse: immaginavo il suo viso e forse la odiavo per questo. Ho aperto la porta per parlarle ma lei era già andata via. "Chiudi gli occhi. Prendimi la mano"
Ero rimasto un po' deluso dal trailer perche temevo che Von Triersi fosse trasformato all'improvviso in un regista "commerciale"...per fortuna mi sono ricreduto! Il prologo non nasconde nulla,il Mondo sembra stia per finire a causa di un impatto con un pianeta dal nome che è tutto un programma "Melancholia"...immagini e rallenty si fondono splendidamente e mi hanno ricordato il recente "the tree of life" e pensandoci bene potrei considerare questo film come la versione atea,senza Dio , del film di Malick...entrambe le opere sono comunque sublimi! Se in quello che dovrebbe essere il giorno piu' felice della tua vita non sei felice,c'è qualcosa che non va'...un matrimonio assurdo a causa dei disturbi continui che crea la sposa o qualche familiare...il peggioramento emotivo della protagonista arriva quando guardando il cielo si accorge di una stella piu' luminosa di altre...ma lei sa che non è una stella,lei sa che i suoi peggiori incubi stanno per essere confermati,e quindi tutto quello che riguarda il futuro non conta piu',c'è solo l'immediato! Nella seconda parte si lascia la sorella "veggente" per passare alla sorella razionale che cerca una via di salvezza fino alla fine...rappresenta la speranza,che pero' il regista decide di distruggere in questa visione estremamente negativa del Mondo... Un film a tratti un po' lento che ci regala un grande esempio di stile del sempre brillante Von Trier!
Dalla media mi aspettavo un bel film. Raramente una media così alta inganna, soprattutto se non ci sono voti negativi in giro.
Eppure io ho trovato questo film di una noia pazzesca; a volte vengo spinto a vedere qualcosa, anche se non mi piace, solo per curiosità ma, in questo caso, non avevo nemmeno quella e gliel'ho data sù.
Boh, forse l'ho visto nel momento e con la compagnia sbagliata, non lo so, ma ho trovato questo film piuttosto deludente.
Dopo un film così Von Trier non avrà assolutamente più nulla da dire in futuro. Non aspettava altro che la fine e l'ha avuta. Cinema che stupra con la sinfonica bellezza delle immagini e con l'insostenibile violenza emotiva dei concetti: è lecito tutto ciò? Lo sarebbe se Von Trier fosse davvero coraggioso, invece si limita a spezzare il film in due: la prima parte molto in stile "Festen" ma senza la grossolana caratterizzazione psicologica del film di Vintenberg, in cui la critica al mondo borghese passa attraverso la genesi di una depressione cosmica insanabile e totale; la seconda, tutta incentrata sull'attesa dell'evento tragico, quasi completamente slegata dalla prima, del tutto gratuita per modalità di narrazione e di estorsione di emozioni. Poi la fine delle cose, presuntuosa, lacerante, estremamente plateale e pessimisticamente infantile (il consueto personaggio femminile borderline, una sposa mancata, una sorella torva e monolitica, una fattuchiera stanca di vivere, ci aveva già confermato con precisione euristica che a questo mondo siamo soli e che abbiamo le ore contate). Melancholia ha svolto il suo compito. Come ogni film di Von Trier resto scosso e interdetto, e con un mare di quesiti irrisolti, più sul regista che sul film in sé. Che ha momenti talmente intensi da mozzare il fiato ed altri così fumosi e stizzosamente tristi da suscitare scoramento. Applausi comunque ad una messa in scena incommensurabile e a due attrici eccelse. Un film troppo legato ai conflitti interiori del suo autore per potersi disvelare pienamente, anche nella sua negatività tematica.
Non facciamo in tempo a comprendere la bellezza della vita che dobbiamo fare i conti con la paura della morte. Non dovremmo, la morte è una condizione che non ci appartiene, fin quando ci siamo noi non può esserci lei, quando arriva lei non ci siamo più noi, il dopo non dovrebbe spaventarci dal momento che il prima non ci ha creato nessun problema, eppure non sono poche le pellicole che hanno trattato il tema della catastrofe, della fine del mondo, della morte collettiva, come a voler allontanare da ognuno di noi la paura dell' abbandono , di rimanere soli se ci viene a mancare una persona cara o lasciare sola una persona cara se chi viene a mancare siamo noi. Una bella fine del mondo risolve questo piccolo problema, mal comune mezzo gaudio, un attimo e si va a passeggiare tra le nuvole tutti insieme, non rimane più nessuno in questa valle di lacrime, l'idea piace."Perché quando muoio io devo lasciare 7 miliardi di persone a godersela ?". Passano gli anni, e sì che la Terra ne ha tanti, e non c'è libro, santone, profeta, Giacobbo o film che non abbia trattato il tema della fine del mondo, non riusciamo proprio a rassegnarci all'idea di lasciar continuare gli altri respirare anche quando noi non ci saremo più. "E' possibile che in tutto l'Universo non ci sia qualcuno o qualcosa che un bel mattino si svegli (sempre che anche in quel posto ci sia il giorno e la notte) e dica: Ho deciso, voglio distruggere la Terra!?" Deve esserci per forza!. Molti hanno pensato agli Alieni, altri a virus venuti da chissà dove, per non parlare di terremoti, onde gigantesche, glaciazioni ecc. , Von Trier ha pensato ad un Pianeta, lui però incolpevole, è la rotta ad essere sbagliata, non è cattivo, semplicemente ci troviamo sulla sua traiettoria, se questa non è sfig.a, uno scherzo del destino sta per annullare miliardi di esseri umani e tutti, coscienti di tutto ciò, debbono prepararsi al momento solenne. il film non si interessa della reazione delle masse, il terrore collettivo è lasciato fuori, il dramma ci viene proposto dalla prospettiva di una manciata di persone, una famiglia, in particolare da due sorelle, A (Justine) e B (Claire) completamente diverse tra loro ma costrette a dover affrontare lo stesso problema. A è depressa , B è piena di vita, le cose vanno così fin quando per il globo terrestre fila tutto apparentemente liscio, A cerca in tutti i modi di venir fuori dalla malinconia cronica che la attanaglia ma non c'è niente da fare l'interesse alla vita non vuol venir fuori, anche quello che dovrebbe essere "il giorno più bello della sua vita" finisce nel peggiore dei modi, B ha già un marito ed un figlio, ad essere depressa non ci pensa proprio ed anzi fa del tutto per aiutare la sorella ad uscire da quel limbo misterioso, è così che va la vita, non siamo tutti uguali, c'è chi ride e c'è chi piange. Succede però che lo sguardo può involontariamente andare a concentrarsi su un puntino nel cielo, diverso dagli altri, di un altro colore e che giorno dopo giorno si fa sempre più vicino, ecco allora che assistiamo ad un cambiamento, chi prima piangeva non piange più, chi rideva inizia a piangere, quelli che hanno visto il film conoscono le ragioni di questo mutamento, il bambino che viene messo a letto mentre si sta annoiando in un angolo della sua cameretta affronta la situazione con una certa dose di tranquillità, al contrario il bambino che viene tolto bruscamente dai suoi giochi inizierà ad urlare e a disperarsi, tutti e due finiscono a letto, devono dormire, il sonno per entrambi è visto come la morte ma non lo affrontano allo stesso modo, A non ha nulla da perdere, sta sopportando l'esistenza, si sente inopportuna, l'oblio non le fa né caldo né freddo, B ha un marito e soprattutto un figlio, non vuole perderli, la vita le sorride, l'oblio le devasta l'animo. Ad una prima parte brillante che vive prevalentemente dalla eco lasciata dal prologo, segue una seconda meno coinvolgente, penalizzata dalla conoscenza dell'epilogo, tutti sappiamo che quando Claire guarderà attraverso il rudimentale marchingegno costruito dal marito il pianeta non rientrerà nei bordi dell'oggetto, il mostro si sta avvicinando, è questa lunga, estenuante attesa dell'ineluttabile che lascia un po' perplessi, banalizzata anche dall'improvvisa momentanea marcia indietro del pianeta, come è possibile? Serviva a creare suspense? Il regista, nel suo pur lodevole tentativo, non è riuscito ad amalgamare due ingredienti tanto diversi tra loro, la dolcezza della poesia, coadiuvata dalle immagini, con la spettacolarità della catastrofe, non so quale dei due abbia prevalso nel catalizzare l'attenzione e le emozioni dello spettatore, la ridondanza dell'evento catastrofico (lo so, il pianeta è una metafora ma il botto finale con il crescendo musicale l'ho sentito) stride con la commovente bellezza del messaggio. Cosa ci vuole dire Von Trier usando Justine come suo alter ego? Che la depressione non può essere sconfitta se non con la consapevolezza che presto la Terra (cattiva e per questo responsabile della propria condizione) finirà e con Lei tutti i dolori del mondo? Questo triste presagio, esorcizzato con la narrazione cinematografica, è qui portato all'estremo con un vento di pessimismo eccessivo, non c'è ombra di coraggio, e quindi di fiducia alla vita, nei protagonisti, dal marito di Claire che si suicida vigliaccamente a Claire stessa che viene colta da una disperazione incontrollabile, anche Justine muore ancora prima dell'impatto rassegnandosi all'ineluttabilità del destino. Un film che a me ha lasciato luci ed ombre, bellissimo nella rappresentazione scenica del contenuto, straordinaria l'interpretazione delle due attrici, ma opinabile nella scelta dell'idea di base: l'epilogo catastrofico. La spettacolarizzazione non sempre è un punto di forza, a mio parere non era necessaria così come in molti dibattiti e salotti in tv non è necessario urlare, però attira più spettatori.
Questo film dovrebbe piacere per la sua poesia, e a me non è piaciuto. Intendiamoci, i primi dieci miniuti e gli ultimi cinque sono capolavori, belli da togliere il fiato, ma in mezzo c'è Von Trier che racconta Von Trier forse un po' troppo. Troppo carico di simboli e al tempo stesso troppo esplicito per affascinarmi, anche le tematiche così trattate mi hanno solo sfiorato senza catturarmi davvero, senza provocarmi nessuna angoscia (o senso di liberazione) per l'arrivo di Melancholia. Non mi sono sentita in alcun modo colpita dalla visione distruttiva vontrieriana come invece mi accadde per esempio con Dogville.
I personaggi poi, nella prima parte, mancano assolutamente di spessore e se l'immagine doveva essere quella di una varia umanità meritevole di disgregarsi nel vuoto... bhè, insomma, non è stata forte come avrebbe dovuto.
La seconda parte è migliore, se si tralascia quel chè di didascalico uscito dalle labbra di Justine.
Non mi sono annoiata, ma neanche emozionata. Non mi sono e basta.
Avevo visto "Antichrist" di Von Trier, che mi aveva fatto pesantemente ******... Non ci speravo proprio in Melancholia, invece è riuscito a tirare fuori qualcosa di buono, incredibile! La prima parte (Justine) è abbastanza noiosa, noiosa come un ricevimento di matrimonio per l'appunto... I personaggi sono completamente surreali. Il film si risolleva pero' verso la metà, quando fa la sua comparsa fra i personaggi anche il pianeta Melancholia... Decisamente una buona idea di fondo, che forse data in mano a un regista migliore avrebbe potuto portare a un risultato decisamente piu' memorabile... Forse sarebbe stato meglio scegliere anche due attrici migliori, rispetto a questi due pesci lessi...
Nel reiterare la medesima sfiancante azione, Sisifo celebrava una forte attestazione di vita, la negazione di una fine. Lars von Trier, crogiolando nell'atarassia che segue alla rassegnazione, immagina che il masso cada una volta per tutte, disintegrandosi insieme all' uomo che aveva dilaniato. La malinconia è esattamente questo: una forma di nichilismo mediocre e svilito. La presunzione sta nell'acclamarne la vittoria, nel conferirle una prerogativa di verità. Eppure, attraverso un personaggio scialbo come Justine (noi magari caspettavamo un Oltreuomo ), il regista sembra affermare che il salto accidentale fra l'inconsapevolezza e la coscienza non conferisce nessuna grandezza, nessuna superiorità a chi lo compie. L'egotismo in "Melancholia" si esprime per lo più nell'uso tracotante e fastoso del mezzo artistico. La storia in sé, la fine del mondo come tracollo di speranze penose, più che di compiacimento è intrisa di un' orrenda ironia.
Melancholia è la Tristezza, probabilmente la Depressione che costituisce il sottotesto del film. Per depressione Von Trier è in cura a quanto pare e probabilmente in Justine c'è molto di lui. Melancholia è anche il pianeta verde che minaccia di distruggere la terra. DA ORA IN POI SPOILER : Justine prova ad avere una vita "normale", un matrimonio fastoso, un marito adorante, un abito bianco, una torta a 5 piani, un banchetto di nozze con amici e parenti ed è lì che scoppia tutto. Il papà vecchio donnaiolo un pò patetico, la madre durissima, ostile ai limiti della crudeltà. Entrambi lontani, irraggiungibili, fuggono e non mostrano nessun amore per Justine che, al contrario, li cerca disperatamente nel momento del crollo. La festa finisce, il matrimonio va a monte, con grande delusione del cognato finanziatore e riprovazione della sorella Claire. Fine prima parte che mi ha ricordato un pò la festa di compleanno del Festen di Vinterberg. Poi c'è la seconda LA PIU' BELLA ED INDESCRIVIBILE, tutta sensazioni e meravigliose immagini. JUSTINE è ormai persa e devastata dal suo malessere, ospite della famiglia della sorella nella stessa meravigliosa tenuta dove si è svolto il matrimonio. MELANCHOLIA si avvicina, ma lei non ne ha paura, anzi, sembra trarne forza a differenza di Claire, distrutta dall'angoscia per la sorte di suo figlio (dove crescerà Leo?) ma rassicurata dal marito che studia le stelle ed è convinto che il Pianeta Verde si limiterà a sfiorare la terra senza distruggerla, salvo suicidarsi vilmente per non affrontare la disperazione, il terrore e la morte dei suoi cari al momento che l'impatto risulta inevitabile e fatale. L'ultima mezz'ora trascina lo spettatore dentro il film. CLAIRE, più fragile, si lancia in una fuga disperata quanto inutile con il suo bambino tra le braccia. JUSTINE resta calma e salva dal panico la sorella ed il nipote che l'adora (zietta spezzacciaio) ricoverandoli in una grotta immaginaria. JUSTINE è la più forte, la più serena di fronte alla fine. MELANCHOLIA IMPATTAVA LA TERRA ED IO PIANGEVO. ALTRA MERAVIGLIA DI VON TRIER. Come in Antichrist dove "la natura è la chiesa di Satana" qui "la vita sulla terra è cattiva", deve esserne convinto e come dargli torto? Ma lì c'era violenza, terrore e buio, qui calma e rassegnazione e tanta luce.
Guardate, non voglio tanto parlare del film (che ho trovato molto bello). Dico solo che chi lo paragona a The tree of life non ha assolutamente alcun gusto cinematografico nè tanto meno senso critico. Il solo fatto che la fotografia possa sembrare a tratti simile non giustifica un accostamento così insensato
il tema non era male, il problema è che i film di lars von trier rispecchiano solitamente la sua mente, è un uomo pessimista e ateo fino al midollo, immorale e depravato. lo ha sempre dimostrato.
Non riesco a comprendere tutti i giudizi incredibilmente positivi legati a questo film di Lars von Trier: probabilmente il mio parere è legato a una personale impossibilità di comprendere a fondo lo stile del regista, ma, a parte alcune scene che, oggettivamente, rimangono nella mente (primi 10 minuti e scena finale), tutto il resto mi è parso un già visto estremamente fastidioso: l'eterno scontro tra una vita condizionata da un totale nichilismo e una vita orientata agli affetti terreni. Senza entrare in particolari già discussi nei commenti precedenti, dico solo che questo film mi è risultato PESANTE, estremamente PESANTE.
P.S. Tra l'altro è stato l'unico film che abbia mai visto in cui più di qualche persona ha abbandonato la sala, fatto che, a mio parere, deve far pensare sulla capacità effettiva della pellicola di 'comunicare' al pubblico il messaggio voluto.
Matrimonio come metafora dell'esistenza umana. Risate nella limousine, pianti nella vasca da bagno, tenerezza nei confronti di un bambino, sonno mentre tutti festeggiano.
Piccolissimi particolari: quanti fagioli ci sono nel barattolo? 2.000.008 risponde lui. 678 risponde lei. 678, l'evoluzione naturale del numero del male. 678, il numero esatto di fagioli. Lui sogna una realtà inesistente, lei vive di realtà, malvagia.
Nessun essere umano maschile sopravvive alla paura: chi si suicida, chi si dimena davanti a tutti, chi fa le valigie, chi se ne va sbuffando. Non esiste Sacrificio. Ma il bambino è ancora innocente e vergine. Non è ancora stato scopato dal suo partner psico-sociale, il partner di tutti, la puttàna per eccellenza. Non ha paura.
Lei, donna, minimizza anche il sesso, schifoso come l'erba umida e il terriccio di un campo da golf. Lui, uomo, non aspetta altro che fare l'amore. E se non fa l'amore piange, perché l'uomo è debole, e si mette una mano davanti agli occhi, perché si vergogna tremendamente.
Cavalli, cavalli che nitriscono, cavalli che corrono, cavalli che non riescono a superare un ponte. Il ponte che nessuno riesce a scavalcare, nemmeno l'essere umano, nemmeno la tecnologia, la sua figlia più pòrca. Quel ponte è come uno specchio, Lo Specchio, non ti permette di uscire e ti mostra il tuo clone, quello che non riesce a entrare, proprio come succedeva nel bosco dell'Anticrìsto.
Un pianeta si avvicina, si chiama Solaris. No, si chiama Melancholia. Ora si allontana. Siamo salvi. No, siamo semplicemente arrivati alla buca numero 19, la buca che non esiste. Metafora della morte.
Come successo con The Tree of Life e Drive, Melancholia è un film che a proiezione finita mi ha lasciato ammutolito davanti allo schermo nero (ma non ero l'unico). Un'ESPERIENZA cinematografica, un'opera che mi ha toccato nel profondo e mi ha incantato (visivamente). Il fatto che quest'anno ben TRE film abbiano avuto su di me questo effetto lo considero cosa più unica che rara.
Comunque, visto che il film mi ha ispirato, tenterò di dire qualcosa di preciso su più aspetti possibile. Tenete conto che non sono un esperto e vado più a sensazioni ed impressioni, piuttosto che tecnicismi.
Sul piano tecnico (appunto :D), la fotografia è magistrale (molte inquadrature sarebbero da stampare e appendere, ci sono delle luci - soprattutto negli spazi aperti - strepitose... un po' come per Tree of Life, dove però a mio avviso la ricerca di immagini bellissime schiacciava un po' il racconto); la colonna sonora fa utilizzo di potente musica classica (anche qua come in TOL, all'inizio assistiamo una serie di immagini digitali accompagnate da musica classica) e tracce che contribuiscono ad enfatizzare l'inquietudine (che considero una delle prime emozioni che il film trasmette, e che nel complesso è resa benissimo anche da attori, scenografie e fotografia); gli effetti digitali sono misurati e sfruttati alla perfezione (di nuovo come in TOL, visto che vengono mostrati corpi celesti. Anche se in Melancholia ci sono alcune licenze "cinematografiche" che non corrispondono al verosimile scientifico, ma che io non considero difetti, bensì scelte atte a spettacolarizzare e a mostrare allo spettatore determinati particolari).
Il cast è notevolissimo (il trio femminile, composto da Dunst *_*, Gainsbourg e Rampling, è fantastico e spicca tra un corpus di grandi attori... purtroppo non sono convintissimo del giovane Skarsgard, che per fortuna non ha un ruolo troppo centrale). La sceneggiatura racconta un numero abbastanza limitato di eventi (sostanzialmente - piccolissimi spoiler per chi non sa proprio nulla della trama - i festeggiamenti post-matrimonio e l'avvicinarsi del pianeta alla Terra) in modo lineare, ma la componente fantascientifica la fa da padrona, ed è onnipresente e minacciosa nonostante Trier non ci si soffermi regolarmente... anzi, ce la mostra a sprazzi (intro escluso), per poi buttarcela letteralmente in faccia alla fine. Comunque, menzione speciale al personaggio della Dunst (Justine), un'anima in pena, incompleta, che trova pace "solo" a contatto con il Cosmo. Ma anche a quello della Gainsbourg (Claire - la sorella), un'anima semplicemente disperata, speculare all'altra. Riconosco che il grande contrasto quotidiano/globale-cosmico che per me ha pervaso l'intera pellicola potrebbe non convincere (per esempio, vengono mostrati molto, e certamente non in modo sbrigativo, i problemi familiari della protagonista). Non aspettatevi quindi un film catastrofico, assolutamente!
Per quanto riguarda la regia, von Trier (che non conoscevo) passa da dei bellissimi ed elegantissimi ralenti - un inizio strepitoso - a delle scene quasi frenetiche (ma funzionali) con telecamera a mano. E il suo modo di giocare col disastro naturale è uno dei punti di forza e originalità del film (qualcuno potrebbe anche dire che la componente fantascientifica sia solo di sfondo - ma non lo è!).
Comunque, il film tocca le vette più alte visivamente. Ci sono alcune immagini che mozzano il fiato.
Insomma... Melancholia mi avrà pur lasciato una certa inquietudine dentro, ma è stata una grandissima emozione che è una gioia e una soddisfazione provare al cinema.
Ps: le somiglianze con The Tree of Life non sono poche e non penso di averle inserite con forza, anzi, sono una bellissima coincidenza (entrambi i film poi sono stati presentati quest'anno a Cannes... mi immagino vederli uno dopo l'altro che cosa dev'essere stato :D)
Spinto dai primi commenti che sembravano dimostrare un ottimismo oltre misura, decido di abbandonare le diffidenze sul regista e vado a visionarlo....Avessi avuto un telecomando a portata di mano, avrei spento il tutto o avrei usato il tasto di avanzamento veloce per arrivare ai titoli di coda dopo i primi cinque minuti di visione. Non voglio assolutamente vestire le spoglie del critico da populino, ma desidero solamente avvissare chi ancora non lo avesse visto, che sarebbe meglio buttare i soldi direttamente in un cassonetto piuttosto che vivere quasi due ore d'agonia. Ah, un'altra cosa. Qualora vi sia proprio impossibile evitarlo perchè ve l'ha ordinato il medico, portatevi un thermos pieno di caffè onde evitare di cadere in letargo.
premetto che sono una fan di Trier, che lo seguo da Medea, che ho apprezzato persino l'elemento del crimine e visto tutti i suoi film... eppure questo mi sembra una ca...gata pazzesca. Non può tutte le volte psicanalizzarsi (cf. ad esempio Le cinque variazioni) e infliggere alla rinfusa le sue patologie all'inerme pubblico. La scena che condensa tutto il film è
Come sempre la madre è fuori di testa, come sempre la donna è pazza e istintuale e anche un po' strega, mentre l'uomo è vigliacco e presuntuoso. E ancora: se la donna guarisce e rinsavisce, ciò vuol dire che il disastro è irreversibile. Melancholia è la depressione di Trier, che gli gira intorno, nascondendosi dietro di lui e al suo successo, ma alla fine lo distruggerà? o forse Justine è la sua catastrofica parte oscura, che cerca di essere "anticonformista" come può esserlo un bambino viziato e profondamente borghese (quale lui è, per quanto cerchi di camuffarsi)? Certo è che se sua madre l'ha cresciuto senza regole, e poi l'ha sbattuto in manicomio (a 18 anni) non contenta dell'effetto che aveva ottenuto, qualcosina di malsano e rancoroso gli rimarrà... Però non può rimanere sempre lì, sempre allo stesso punto, sempre così autoreferenziale... diventa noioso! La prima volta colpisce, la seconda continua a farti riflettere, ma poi... annoia... Bellissima fotografia, senso artistico e poco altro. una gran delusione...
Finita la visione sono andato a leggermi i critici detrattori di Von Trier, quelli che lo stroncano perchè è un pessimista cosmico , e in quei momenti che penso alle parole di Francis Bacon quando qualcuno gli chiedeva il perchè della devastazione macabra e del pre-inferno che è il vero protagonista delle sue tele... Bacon rispose con una dichiarazione che è passata alla storia: "ma cosa pretendevate? Che dipingessi rose rosse nel secolo degli orrori?" (il 900). Credo che la stessa risposta andrebbe bene per Von Trier, sopratutto l'ultimo Von Trier, quello di Antichrist e di questo Melancholia, il migliore Von Trier, composito, incongruo, disomogeneo: laddove sembra sfuggire, a causa delle sue stratificazioni formali e della sua sostanza complessa, alle maglie di un'interpretazione critica. Ci resta molto anche da questo melancholia così come per antichrist: l'inclinazione per il bizzarro unito ad un sincero augurio di morte e dissolvenza dell'umanità intera imborghesita e non più meritevole di quel gran GIOCO che è la vita dove ognuno dovrebbe esser pronto ogni giorno a darsi in pasto al bambino dell'abisso e non protetto sotto campane di vetro come lo è la borghesia; il tutto accanto al gusto per una musicalità eccedente (guardacaso il Tristano di Wagner simbolo della rottura verso l'uso tradizionale dell'armonia tonale nell'800 e che spalanco la musica ad un vero e proprio universo inesplorato). E lecito aspettarsi a questo punto il terzo capitolo di questa (spero) trilogia... di un regista enigmatico e violento giustamente per questi tempi enigmatici , violenti e di cataclismi sociali in atto.
Un pianeta che entra in collisione con la Terra,l'apocalisse in scala ridotta (per numero di persone direttamente coinvolte) di Von Trier è servita in un crescendo di angoscia pura in cui il regista danese sembra fluttuare verso un castigo necessario affrontato con afflizione lancinante. L'amore verso la razza umana giace sotto una coltre nichilista quasi impenetrabile,qualche barlume di speranza sembra filtrare ma l'autore reprime con forza ogni compromesso,mosso da un risentimento violento incarnato nell'idea di corruzione espressa da Justine,suo alter ego. La punizione astrale è giustificata da ciò che accade durante un ricevimento post matrimoniale in stile "Festen",film di Vinterberg e manifesto di quel movimento Dogma di cui Von Trier fu acceso promotore,correlabile per umana meschinità al segmento che apre il film dedicato alla superba neosposa Kirsten Dunst. Un incipit quasi goliardico,con quella limousine davvero troppo ingombrante per le tortuose stradine di campagna ,poi una festa cadenzata da seccanti ma rigorosi doveri che iniziano a soffocare quel clima spensierato,in breve demolito dalla natura spregevole degli invitati,concentrato demoralizzante di egoismo,disillusione,arrivismo,cinismo e arroganza. Le maschere crollano a tragedia ancora lontana con il pianeta Melancholia limitato a fenomeno interessante giusto per gli esperti,eppure l'umanità di Von Trier,accanito ancora una volta in un esecrazione antiborghese ci (e si) convince delle ragioni per le quali nessuno avrà nostalgia di tutto ciò.Parole ancora una volta di Justine,estranea a tanta felicità impostata e incompresa,quindi condannata ad un esilio depressivo al quale la sorella Claire tenta senza fortuna di sottrarla.L'altrettanto brava Charlotte Gainsbourg è donna pratica e perfetta organizzatrice,madre e moglie affettuosa teme di perdere quell'effimero benessere conquistato nel tempo.Musa del regista post "Antichrist" , è incarnazione conflittuale di quella parte amorevole rifiutata dal proprio pigmalione. Due donne diametralmente opposte ,rappresentazione di tormenti interiori che conducono a una geniale introduzione sulle note del "Tristano e Isotta" di Wagner ,angoscioso accompagnamento sonoro a una serie di quadri stilizzati in un incipit di rara efficacia.Il crescendo drammatico ipnotizza per la profondità raggiunta,da una totale indifferenza si viene travolti senza forzature dal dolore,la naturalezza con la quale il male affiora è dimostrazione di come Von Trier sia già stato colpito dalla sua apocalisse privata e combatta tutt'ora contro i suoi demoni.
Innanzitutto, personalmente, detesto la camera a spalla e l'uso barbaro e indiscriminato dello zoom digitale, cose di cui Von Trier abusa fin troppo in questo film, compromettendo una splendida e inusuale fotografia. Ma veniamo alla storia: è divisa in due parti, completamente slacciate tra di loro, al punto che viene da pensare che siano state scritte separatamente per copioni diversi - il primo, bisogna sottolinearlo, ha parecchi debiti con "Festen". L'evidente depressione di Justine non è spiegata in alcun modo: come mai sta male? Perché prima era contenta del suo lavoro - in cui si è dimostrata tanto brillante da avere una promozione -, del suo amorevole e premuroso fidanzato, del suo sontuoso matrimonio? E perché, dopo essersi liberata da tutte le convenzioni borghesi, è ancora depressa? Viene da pensare ad un certo compiacimento nella malattia della protagonista, visto che, successivamente, si bagna nella luce del pianeta "Melancholia" - il cui nome non è certamente casuale. La seconda parte del film è molto lenta e ripetitiva. Si assiste, qui, ad un miglioramento di Justine, anche questo non spiegato dal regista. Si potrebbe pensare che, per una donna depressa, la consapevolezza della fine del mondo possa essere di conforto; eppure non è così, visto che Justine, nella scena finale, piange nella grotta magica.
Tralasciando queste incoerenze, cosa rimane? Certamente una storia suggestiva ed intrigante; due attrici strepitose - Charlotte Gainsbourg più brava di Kirsten Dunst, seppur meno attraente - e delle sequenze magnifiche, destinate a rimanere, e che fanno onore al talento di Lars Von Trier. Vorrei chiudere il commento con un'ultima riflessione: sono d'accordo sulla critica alla società borghese, su cui tutti si scagliano senza pietà; ma è anche vero che una critica, o una satira, debba essere ben motivata. Il discorso che fa Polanski in "Carnage" è perfido ma ben argomentato. Qui, in "Melancholia", vediamo tutt'altro genere di cose. Fa così schifo un lavoro creativo e ben pagato? E' così tremendo sposarsi con un ragazzo carino e premuroso? E' così drammatico avere una sorella ed un cognato che organizzano un matrimonio da sogno? E' così tragica la lotteria di fagioli? Suvvia, penso che ci sia molto di peggio.
Ho visto in tutto 4 film di questo assurdo regista-artista del Cinema. Step 1: il voto non vale nulla. Potevo e volevo dargli 4 proprio per passare sto concetto, ma non voglio attirarmi grane. Però davvero, non guardate il voto. Guardate il film, please.
Melancholia appartiene a quel genere di film che vanno apprezzati per l'esperienza che ti danno. Che esperienza è stata Melancholia? Mi sono perso in questa spettacolare e gigantesca Attesa. Inutile dire che "Claire" è infinitamente superiore a "Justine". I fronzoli, gli orpelli vengono eliminati e le imperfezioni eliminate da un impietoso labor limae. Ma è il momento finale, quello della collisione, quei 5 minuti da pisello duro che inquadrano SOLO quei tre volti disperati, e infine lo vedi. Ultimi 3 secondi. Distrugge le atmosfere terrestri, e la Claire compie un ultimo assurdo e spontaneo gesto di attaccamento alla Vita, per poi bruciare insieme al tutto. Le poltrone al Cinema vibrano, la Musica sfonda i timpani, e Melancholia risucchia la Terra. Tutto è senza più senso, e tiriamo, agosciati, un sospiro soddisfatto. Finalmente è finito tutto. KIRSTEN DUNST
Von trier sta male - come afferma pompiere nel magnifico commento che precede il mio. E' senz'altro vero che questo "Melancholia" sia un film pregevolissimo sotto il profilo visivo, e dotato di una forza espressiva non comune, molte delle cui immagini sono sicuramente destinate a restare impresse per anni. Condivido poi anche quanto afferma ancora più sotto Bulldog, che se per nichilismo sarei portato a stroncare il film, ammetto che anche in questa pellicola di un regista che ho sempre apprezzato molto si avvertono come dei disvelamenti, come il "balneare di certezze più elevate fra caos estremi, la percezione quasi magica di una realtà delle cose esistenti nella loro essenza e purità". Non per nichilismo è un film sbagliato. E' un film supponente che, lo si avverte con estremo vigore, appare squilibratissimo nel suo essere scritto e realizzato non semplicemente con la (per Von Trier, tradizionale) irriverenza nei confronti dello spettatore e della donna, ma stavolta con un carico aggiuntivo di stanchezza astiosa nei confronti dell'umano consesso. Un astio, stanco, che ha superato la disillusione e la lucidità, e si è arreso alla depressione e al furor vendicativo.
La messa in scena dell'apocalisse non è priva di un indigeribile cattivo gusto nel trattare i caratteri umani come ridicoli insetti da commiserare. E non c'è vera arte in ciò; l'atteggiamento di Von Trier si avvale di un talento in passato fulgente, ma ora ridotto a routinaria tracotanza. Il regista danese vuole incantare, e ha successo (visto l'entusiasmo che leggo) nel blandire in modo impudico tutte le maggiori ansie e complessi anti-borghesi di noi tutti. Ma se mi sono riconosciuto, sì, anche io, nelle frecciate che la prima parte del film rivolge al consesso sociale medio, quello borghese, cogliendo (facilmente) nel segno grazie al fatto di avvalersi dell'esasperazione della falsità, dell'ipocrisia, del "politically correct" e dei "buoni sentimenti di facciata", propri di una cerimonia nuziale, è la seconda, infinita parte dedicata all'Attesa, a sfibrare con una narrazione povera, poverissima, tutta rivolta a rendere lo spettatore partecipe dell'attesa (alla Ionesco, alla Beckett), ma completamente priva di vigore narrativo altro che non la messa in scena didascalica dei tre possibili modi di Attendere una catastrofe: l'ansia disperante (Claire), l'indifferenza depressa (Justine) o l'ipocrisia mediocre e suicida (il marito di Claire). Capita quest'ipostazione in pochi minuti, la restante ora di proiezione rappresenta un'intenzionale tortura dello spettatore, colma di arroganza.
Ho stavolta provato per Von Trier, che ho sempre ammirato molto (e condisceso nelle prove meno riuscite), una sorta di commiserazione.
Per me questo suo film non è affatto incondivisibile nelle suggestioni che vuole lasciare; è però profondamente ingenuo, infantile, quasi capriccioso. E inscusabile, di conseguenza, per quanto vuole essere intollerabile.
Lars von Trier sta male. Il che non è una novità. Per cui aggiungerei che è particolarmente indisposto. E indisponente. Sofferente di narcisistica depressione. Nel corso degli anni la sua è diventata una lotta, infantile e vana, contro il resto del mondo. Che lui continua a vedere come ostico, un nemico da abbattere per affermare se stesso e la propria ragione(volezza), la sua stima. Non ci si deve stupire se il nuovo lavoro preme il pedale dell'acceleratore del nichilismo, prendendo di mira le convenzioni di una società per lo più borghese.
Il matrimonio è il termometro perfetto per misurare il livello di torpore di chi, stremato da patologie psicologiche, si ritrova attore protagonista della celebrazione. Chi non sta bene con se stesso rifugge dai rigidi cerimoniali, i quali di solito prevedono prove alla claustrofobia, all'agorafobia e alla depressione, in una sollecitazione continua di programmi da rispettare, facce serene da mostrare in pubblico, ansie comuni che auspicano un "vissero per sempre felici e contenti". Da una parte la ritrosia di Justine (Kirsten Dust), sposa cadavere alle prese con una consapevolezza emergente, e dall'altra il contorno di parenti, amici e genitori, trepidanti per la buona riuscita del contratto amoroso. Due mondi destinati a scontrarsi.
La felicità è un balzello non patteggiabile, e l'amore per sempre non è incolume da ripensamenti, variazioni dello stato d'animo. L'amore è, per definizione, il sentimento più precario che esista, e diventa immune e avverso alle proposte a lungo termine, anche se comprendenti paesaggi di alberi di mele imperatore. Justine soffoca sotto il disegno di certi progetti. Vuole tutto e subito, lo vuole per se e, per ottenerlo, non gli resta che far crollare il castello dove si sta svolgendo il matrimonio. Per cui prima si inventa uno slogan pubblicitario SpezzaStima, poi rovina come morta sul letto di nozze, dove giace inerte con le braccia incrociate, sfidando alla necrofilia il disorientato sposo.
"Zietta SpezzAcciaio", come viene affettuosamente chiamata dal nipotino, piange e attinge a tutta la sua disperata e cronica depressione. Figura femminile prima manipolatrice, poi vittima delle sue azioni, esce indebolita e svuotata da un tour de force mentale che sembra averla annientata. Nessuno pensa di riporre in lei qualche tipo di aspettativa. Nemmeno la sorella Claire (Charlotte Gainsbourg) può aiutarla più di tanto. Adesso Justine è libera di infilare le dita nel vaso della marmellata, di entrare in paesaggi di quadri metafisici per lasciarvi un impronta beffarda, di godere di ombre sovrapposte e intrecciate dalla luce di due lune. Il Pianeta Melancholia è in arrivo, il pessimismo cosmico è una rivincita personale.
Nella seconda parte del film, il regista danese semplifica alcuni passaggi, arricchisce troppo certi simbolismi, elementarizza le interazioni tra i personaggi. Allo stesso tempo ha il coraggio di mostrarsi nudo, indifeso di fronte alla propria Arte (forse mai così trasparente e facile da leggere), bersaglio perfetto di critiche e dileggi. Nonostante ciò la tensione che cresce con l'avvicinarsi del Pianeta è palpabile, prende il posto di una serena rassegnazione, invade gli angoli più nascosti della nostra mente. L'Amore lo si vede solo col telescopio, lo schiaffo alle convenzioni è appropriato, la pisciata su un campo da golf troppo lindo e spianato è liberatoria. Per cui massima considerazione per l'autore, il quale ha saputo attualizzare il tema dell'apocalisse, fatto passare attraverso scene di caccia sbiadite, cavalli bradi che si sdraiano su di un fianco come abbattuti, uccelli che cadono già morti dal cielo. Von Trier sta male, e l'Universo si regge in piedi per forza d'inerzia. Malinconia, portami via.
questo film è lo specchio preciso della nostra società. Non c'è altro da dire! Tuttavia ho un dubbio che spero qualcuno potrà sciogliere. lo scrivo nello spoiler.
Durante il film si sente parlare delle 18 buche presenti nel campo da golf. ma sia all'inizio, nei primi 10 minuti sia alla fine, justine viene ripresa con la bandierina della 19 esima buca. che significato ha? se ce n'è uno naturalmente. Sarà una domanda banale ma non trovo un nesso logico.
Suggestiva, inquietante, affascinante e apocalittica opera fantascientifico-nichilista da Lars Von Trier, che continua a stupirci con i suoi film.
La storia è divisa in due parti: nella prima abbiamo una classica situazione in stile "Dogma", in cui però troviamo i primi segni di una qualche trasgressione (bellissimo l'intro iniziale) da parte di colui che del "Dogma 95" è stato il fondatore, che si lascia andare al "peccato" nella seconda parte in cui fotografia ed effetti speciali sono un vero spettacolo per gli occhi.
Bravi gli attori Kiefer Sutherland, Charlotte Gainsbourg, ma soprattutto Kirsten Dunst, non a caso miglior attrice a Cannes 2011.
Un film che non si deve perdere e deve essere visto al cinema, ma premunitevi con una bella dose di caffè ed enegy drink, perché è lento, tanto lento...
Non ho alcuna voglia di approfondire più di tanto le tematiche del film, i messaggi, le metafore. Sempre che ce ne siano. Dico solo che ancora una volta Von Trier firma un'opera gigantesca che può piacere o no, ma si distingue e soprattutto non ammette filtri tra arte e sua rappresentazione.
Mi è bastato l'incipit visionario ed eccessivo che tanto mi ha ricordato alcune scene di Antichrist.
Mi è bastata la prima parte perfetta in cui una festa di matrimonio diventa il veicolo attraverso il quale distruggere pezzo per pezzo la borghesia con i suoi tic, le sue nevrosi, la sua pateticità, il suo voler essere d'avanguardia e sofisticata (come l'odiosa madre di Justine, che non c'è mai per sua figlia), o fintamente affascinante e farfallona (come suo padre, che non c'è mai per sua figlia). Altro che Carnage, con tutto il rispetto per l'ultimo bel Polanski.
Mi è bastata la seconda parte che sembra tutto un altro film, dove una donna nuda accoglie sul suo corpo i raggi di un pianeta che si avvicina inesorabilmente, dove la catastrofe è riportata con uno stile che distrugge ogni certezza, con il lumicino di una speranza che è destinato a schiantarsi insieme a tutto il resto.
Mi è bastato un Wagner ossessivo e un silenzio altrettanto doloroso. Poi più niente.
mah .. sono andato al cinema con grandi aspettative .. purtroppo la poetica della decadenza e della decadenza borghese è un tema vecchissimo , come regia non ho trovato niente ( ma proprio niente ) di eccezionale , come fotografia e produzione ho visto cose *molto* migliori quest'anno . il messaggio non è sicuramente vitale e positivo , perchè punta e concentra all'accettazione della fine ( che sia la fine dei rapporti o la fine del mondo ) senza possibilità di replica , dopo il confronto tra le sorelle . deluso , su molti fronti .
Von Trier ci illustra l'Apocalisse attraverso il suo pessimismo e tira fuori, grazie anche ad attori strepitosi, un gran film, forse grandissimo, ma non un capolavoro. Nei veri capolavori si fatica a trovare un solo minuto inutile, se si perde una scena probabilmente il film non è più lo stesso e lo si dovrebbe rivedere dall'inizio. In Melancholia invece si ha la sensazione che se non si guardassero alcune parti del film a caso, si avrebbero le stesse sensazioni finali. Dopo il Prologo tanto amato al regista, visivamente eccezionale e rappresentante l'album fotografico degli ultimi giorni della Vita, il film è diviso in 2 parti dedicate a 2 sorelle. Parti talmente ben divise (anche se non so se sia un pregio o un difetto) da risultare quasi 2 film distinti, a differenza di altri film spezzettati in capitoli solo per scopi estetici. La prima è per Justine, per il suo matrimonio, per la sua depressione e per la distruzione repentina di tutto ciò che le appartiene. La seconda è per Claire, per Melancholia, per l'ansia e la paura che crescono come il pianeta. Claire si prende cura dell'amata sorellina, è praticamente una madre per lei, ma anche l'ultimo tentativo di regalargli la felicità, con un matrimonio allo stesso tempo vero e finto, fallisce miseramente. Solo adesso si inizia a parlare della minaccia Melancholia. Più si va avanti e più Claire cede appoggiandosi sempre di più nella sorella che, al contrario, accetta la situazione e riesce a vedere la sua straordinaria bellezza. Justine conosce le cose e sa che non c'è vita oltre a quella sulla Terra. Non c'è vita nell'universo e non ce n'è dopo la morte. Per questo è talmente preziosa che non ha senso il modo in cui la stiamo vivendo. Abbiamo avuto la nostra opportunità, abbiamo avuto tempo ma non è bastato, e adesso meritiamo di morire. La fine si avvicina e i ruoli si ribaltano. E' l'infelicità ora la guida dell'umanità. Justine sa quello che si deve fare, senza cedimenti, se non difronte all'innocenza del bambino. Razionalità, Tristezza e Innocenza aspettano la fine in una grotta magica.
La Razionalità è impotente e piange. La Tristezza è sovrana e accogliente. L'innocenza non deve vedere. La Malinconia è arrivata e distrugge tutto. Schermo nero. Silenzio. Non c'è niente dopo... Niente.
Il capo di Justine che le chiede di lavorare il giorno del suo matrimonio, incarica un ragazzino di estorcerle se ha partorito qualche idea e lo licenzia qualche ora dopo. Ah, già, lei ci fa pure sesso sul green di una buca di un campo da golf (la stessa su cui ha urinato qualche minuto prima?) dopo aver rifiutato il marito!
... la sua depressione non giustifica la sua caratterizzazione. Per non parlare di come alla fine del film sembra riacquistare per magia lucidità mentale. Una persona che soffre di depressione guarisce all'alba dell'apocalisse?
Il film ha, come già detto, un ritmo eccessivamente lento e non ho capito la scelta di riprendere alcune scene come se si trattasse di una videocamera amatoriale. La fotografia non è male ma gli senari sono decisamente pochi. Ok, d'accordo che non si tratta di un film alla Armageddon, ma qualcosina in più si poteva dare in pasto allo spettatore. L'occhio vuole la sua parte. Ma ...
anche le orecchie: le informazioni sul fenomeno potenzialmente fatale che sta per verificarsi, potrebbero essere un pò più esaurienti anzichè ... mancanti. Praticamente non si sa nulla della minaccia mortale che sta per abbattersi sul genere umano.
Sulle note di Wagner, un'incantevole prologo ci introduce in quello che è, forse, il manifesto apocalittico più bello che abbia mai visto. Dolorosamente dolce sopraggiunge la fine per tutti, grazie (?) a un aureo pianeta celeste. Il mondo è corrotto, nulla di quello che facciamo o non facciamo ha senso dinnanzi a quello che ci aspetta. Siamo soli, dopotutto. Vorrei anch'io aspettare la fine sotto una grotta magica e non credo mi sposerò mai.
Lasciate perdere Melancholia se non riuscite a leggere tra le righe.
Fantascienza e fine del mondo secondo Lars Von Trier. Ma forse no. Anzi. Al maestro danese interessa altro e cioè riflettere su come accettare la nostra fine (specie se annunciata) e sui suoi meccanismi psicologici più sottili e sottesi; e, ancor più, ribadirci il suo pensiero sulla Natura e sul rapporto che noi (poveri) umani abbiamo con essa.
Attraverso una veste estetica sontuosa (fotografia, scenografie, location, illuminazione ed effetti speciali sono da urlo) e affidandosi a un gruppo di attori bravissimi e affiatatissimi (Palma d'Oro a Kirsten Dunst strameritata, ma cosa dire di Charlotte Gainsbourg, per esempio?), Von Trier, ricalcando formalmente il suo precedente "Antichrist", suddivide questo suggestivo "Melancholia" in tre parti: un prologo (nel quale ci viene anticipata la tragedia che incombe sull'umanità intera e quindi l'intero film) e due parti rispettivamente dedicate alle due sorelle protagoniste.
Il prologo si apre su un bellissimo primo piano di Kirsten Dunst, un chiaro omaggio a Dreyer (ricordate il famoso volto della Giovanna d'Arco sul rogo?) la cui estetica è sempre richiamata da Von Trier. Con una serie di sfavillanti, manierate visioni, talmente rallentate da apparire quasi come dei quadri statici commentati dal sottofondo emotivamente trascinante dell'Ouverture del "Tristano e Isotta" di Wagner, Von Trier ci racconta in quasi 10 minuti la trama essenziale del film:
un pianeta finora nascosto dietro il Sole si è mosso dalla sua posizione seguendo un'orbita eccentrica che lo porterà a impattare con la Terra, inghiottendola: cosa accade a un gruppo di persone agiate (tra cui un astrofisico) che abita in una meravigliosa tenuta in un luogo imprecisato del nostro pianeta qualche giorno prima dell'Apocalisse?
E qui partono due distinti film: "Justine" e "Claire", rispettivamente "parte prima" e "parte seconda". Nella prima parte ci viene descritta una magnifica festa di matrimonio regolarmente sabotata da una sposa tanto bella quanto dispotica; talmente sabotata da finire nel peggiore dei modi possibili: con l'abbandono di tutti i convitati
. Capiremo il perché di un simile comportamento solo nella seconda parte, prima ci basti solo indicare alcuni punti fondamentali della narrazione: Justine "è" Melancholia, o meglio, è una persona già inghiottita da Melancholia (cioè dalla depressione) che, al pari del pianeta assassino che esce dal cono d'ombra del Sole a seminare distruzione e morte, esce dalla parte solare di lei (e dunque è Creatura Oscura), erra senza apparente meta nel mondo, sfiora il Danno Supremo con altri pianeti-persone prima di impattare su di uno -proprio l'unico in cui abita la vita, cioè il matrimonio- distruggendolo e portando via con sé la vita stessa in modo definitivo ("Siamo soli", affermerà senza possibilità di replica Justine a una tragicamente ottimista Claire). Distrutti dunque matrimonio, carriera e affetti, Justine cadrà in una sorta di catatonìa dalla quale si risveglierà solo a pochi momenti dall'Apocalisse Finale, risultando l'unica a saperla affrontare a viso aperto (forse perché già la conosce bene).
Nella seconda parte ci viene descritta in particolare Claire, la sorella di Justine, suo esatto opposto: iperenergetica, iperattiva, calcolatrice, razionale quanto basta; Claire vive un matrimonio felice, essendo sposata a uno scienziato che nutre una fiducia cieca nella Scienza e avendo un bambino curioso e rispettoso che si appassionerà alla vicenda del pianeta impazzito. Eppure proprio questo suo approccio molto "vis-à-vis" nei confronti dell'esistenza le produce un'ansia irrefrenabile, tanto che il marito, nel vano tentativo di proteggerla emotivamente dall'imminente catastrofe, le nasconde la verità. Claire è, però, molto intraprendente e tramite dei siti indipendenti viene a conoscere la tragica realtà che sta per abbattersi sul pianeta: a quel punto il fallimento della scienza -o forse proprio il suo trionfo!- porteranno il marito
a suicidarsi con le pillole acquistate da Claire per sé in un moto iperrazionale sempre rimosso e rimandato
. Restano dunque solo l'innocenza del figlio e soprattutto il fatalismo tragico della sorella (che rivela anche capacità divinatorie) a poterla accompagnare e consolare affrontando nella maniera più degna ed efficace la fine annunciata.
Resta purtroppo sullo sfondo il personaggio della madre di Justine e Claire (forse l'unica pecca del film), interpretato da una sempre sorprendente Charlotte Rampling: lei è la voce scomoda della verità, quella verità alla quale non si è accomodata tramite i compromessi che Justine cerca drammaticamente di mettere in atto e ai quali poi rinuncia definitivamente. Le sue parole, i suoi comportamenti mettono sempre tutti in imbarazzo ma, alla fine, sono rivelatori della essenza profonda di Justine, donna condannata a conoscere sempre la verità profonda delle cose e dunque destinata irrimediabilmente a soffrire, a deprimersi, a distruggere tutto ciò che entra in contatto con sé.
Un altro personaggio importante è il datore di lavoro-testimone di Justine, ovvero l'anima squisitamente utilitarista del consesso: anch'esso sembra prevalere e sembra essere l'unico a saper motivare Justine facendola uscire dalla depressione. Non è un caso che la donna annegherà nel suo Male Oscuro appena rompe col suo principale. Anche in quel caso perché ne avrà colto la verità più profonda: lui e il lavoro che produce sono il Nulla col quale riempiamo le nostre esistenze per avere un ruolo sociale riconosciuto. Ed è questo Nulla Indispensabile che inghiotte le nostre esistenze come un buco nero. O come un pianeta impazzito.
Stupenda la sequenza finale: di fronte al baratro della Morte, specie se annunciata e dunque consapevole, mentre il mondo animale reagisce con una quiete del tutto innaturale e artificiosa, l'Essere Umano può solo rispolverare fantasie mitiche e stringersi in solidarietà reciproca. Il tratto profondamente leopardiano del depresso in cura Lars Von Trier emerge in tutta la sua potenza regalandoci un ambiguo, ma purtroppo intimamente vero, messaggio di accettazione della nostra natura di esseri mortali: accettare la Morte non ci salva da essa ma ci dà Pace. A noi scegliere se abbandonarci preventivamente al suo fatale abbraccio o se combatterla -inutilmente- fino all'ultimo istante concessoci riempiendo così di vacuo e illusorio senso il nostro breve percorso terreno.
Tecnicamente ottimo, con una fotografia incredibile. La storia è coinvolgente e dà spunto a molti temi di riflessione. Anzi bisognerebbe dire che la storia non starebbe del tutto in piedi, se non per dare spazio allo spettatore di riflettere sui modi di pensare molto differenti delle 2 protagoniste. La tensione dovuta all'attesa dello scontro con il pianeta si percepiva benissimo. La scena finale poteva essere invece realizzata in modo migliore.
Un film "bolla", ovvero un film che analizza una frazione di realtà nella situazione più estrema. Dopo la bellissima parte iniziale, il film si sofferma sulla descrizione del matrimonio di una delle due protagoniste principali, che rappresenta il punto di svolta nella sua vita. Nella seconda parte si entra invece nella terra di confine tra l'esserci e il non esserci più. Sono ben delineate le figure delle due sorelle, ma molto meno quelle dei coprotagonisti della storia, soprattutto poco verosimile la figura del bambino. Justine mi sembra troppo snob, mentre la sorella conserva i migliori tratti dell'umanità che prova dolore e smarrimento per quello che dovrà accadere.
Riguardo Justine quello che mi ha infastidito è l'affermazione di conoscere la verità, ovvero di saper predire cosa accadrà. Tutto ciò la colloca nel mondo del soprannaturale entro un film che invece avrebbe potuto essere laico. Inoltre non mi piace quel suo affermare che non ci sia niente da salvare nel mondo, che è fondamentalmente cattivo. Come se esistesse un solo modo per esistere...vivere... In fondo lei aveva aderito fino al momento del matrimonio ai valori della società in cui era cresciuta e, forse solo nel momento della consapevolezza che il mondo sarebbe finito, aveva deciso di rompere e lasciarsi andare. Il suo fallimento trova una comoda via d'uscita: tanto non esiste un'alternativa possibile per nessuno! La vita sul mondo sta per terminare! Ma tu che contributo hai dato a questo mondo che finisce, se ti sei conformata fino all'ultimo, non credendoci, ai valori dominanti, e hai sprecato le tue capacità per arricchire qualcuno? E hai pure mentito a chi forse a quel matrimonio ci credeva veramente... Migliore per me è la figura di Claire. Lei si è uniformata ai valori della società credendoci. Non sta mentendo né a se stessa né agli altri. Lei ha fiducia negli uomini, cerca il bello nei rituali che la società gli ha proposto, è una persona normale, come tante, ma rappresenta meglio quell'umanità che costruisce, che va avanti, che porta avanti la vita, e a cui non può che dispiacere che tutto stia finendo... Perché alla fine l'alternativa quale sarebbe? Quella di Justine che dice che siamo soli nell'universo e che non prova alcun dolore che l'esperimento della vita sia finito così? Per me qui la vera eroina è Claire, che piange, che tenta fino all'ultimo un contatto con le altre persone, che in nome della vita nasconde al figlio la morte (razionale ma meschina) del padre. Non si tratta di essere forti di fronte alla morte. Perché si dovrebbe esserlo? Essere forti, nel momento della fine, solo perché non si è amata la vita che si è fatta e le "regole della vita" (che è una "giungla") in generale, non mi sembra un grande valore.
Immenso. il significato lo potete trovare spiegato alla grande nei giudizi sotto il mio. Musica, immagini e scene che non potrò dimenticare. Melancholia, ovvero la malinconia, l'inesorabile fine del mondo marcio in cui viviamo,che arriva, che non si può arrestare, che non si può accettare. La lentezza e la cura maniacale dei particolari materiali che pervade la prima parte si accumula sempre più fino ad esplodere in un emozione unica e liberatoria. Non perdetelo, sono questi i Film
La scena finale di "The Antichrist" animava, incarnava uno spazio pittorico vivente che citava Bosch, l'inizio di "Melancholia" trasfigura una (vera) tela di Bruegel - citato a dismisura nel cinema. Spero caldamente che nessuno azzardi paragoni con il noto film del noto regista xxx solo perchè vediamo un pianeta attraversare lo spazio cosmico e sfaldarsi in/da/con noi. Lo confesso, amo Von Trier ma non sempre il suo compiacimento, la sua lacerazione, il sadismo del suo sguardo mi ha convinto. Ma mentre guardavo nei tg nazionali l'agonia di un dittatore linciato a sangue dalla folla non ho potuto fare a meno di chiedermi cosa veramente mi disturba di lui. Ogni ulteriore commento è superfluo, perchè questa dissonanza è talmente realistica e perpetua da suscitare soprattutto ammirazione. Nella storia delle due sorelle, l'elemento comune è quello che sovverte la realtà. La più fragile delle due sembra essere Justine, ma diventa la più coraggiosa davanti alla prospettiva della morte. Al contrario, Claire, che ha pianificato la vita sotto ogni aspetto, mostra le sue paure, che poi sono le stesse dell'umanità davanti alla distruzione di ogni forma di "mestiere" dell'umanità. E' interessante notare che mentre le ambivalenze femminili sono riflessive - esposte in modo graduale ma aperto a debolezze virtù e coraggio gli uomini del film sembrano vivere di riflessi che sono vere e proprie maschere. La figura paterna delle donne, così assente e caciarona rispetto al dogmatismo cinico e disciplinato dell'ex moglie (un John Hurt strepitoso, una Rampling spigolosa che non si dimentica), la beatitudine amorosa del promesso sposo di Justine, il fatalismo scientifico del marito di Claire. E il cuore batte forte, immagini che restituiscono il senso di vuoto di noi che non abbiamo più difese (nè Von Trier ce le concede) e sappiamo solo limitarci a dire che rispetto alla seconda parte così monotematica abbiamo preferito la prima. E' dove i Sorrisi di una notte d'estate (ancora Bergman non a caso) si sfaldano e si distruggono nel giro di poche ore, davanti all'evento (già celebrato) di un matrimonio destinato a fallire così precocemente. Fallisce un sogno d'amore, la prospettiva che due persone possano stare insieme, o il nucleo familiare? Perchè davanti al "grande evento" tutti sono più felici quando è coronata la serenità altrui? La gioia degli invitati si trasforma in un'aspettativa tradìta, eppure non sembra una delusione così rilevante. Justine sarà accusata dallo spettatore di essere una specie di paranoica ninfomane, perchè non abbiamo i mezzi per credere il contrario. Ma alla fine la sposa vaga tra coppie festose come se fosse letteralmente invisibile. L'"evento" diventa più importante dell'interiorità umana. Nel momento in cui mette fine a un prestigioso rapporto di lavoro - per quanto mi riguarda, il momento più liberatorio e anarchico del film cfr. farebbe impallidire gli inquilini di Carnage - la verità è nuda e trova il nostro completo consenso. I Sorrisi di una notte d'estate si trasformano, nel secondo episodio, nelle tenebre di un'attesa temporale agghiacciante, all'eccitazione segue la paura, lo smarrimento è insito proprio in coloro che avevano coltivato più di altri una vita "terrena" (marito premuroso e intelligente, figlio amatissimo e sognatore). La delusione dello spettatore è evidente: metabolizzati i misteri (?) o i segreti di Justine, ci si attende un resoconto terribile delle sue fragilità. Invece, eccoci davanti alla "banale" deriva di un pianeta sconosciuto che mette a repentaglio la vita sulla terra. Nessun referente mistico o religioso, come nel caso di Malick, anche volendo ribattezzare il film Tree of death. In fondo, il rito del matrimonio è il tributo affettuoso di Von Trier al cinema classico, diciamo che sembra a tutti gli effetti un clone contemporaneo del cinema di Douglas Sirk. Perchè il segreto di Von Trier è di scompaginare il classicismo e di privarlo della sua neutralità visiva. Lo spettatore attende invano un terzo episodio che non arriva mai, da quel mondo di cui "nessuno sentirà la mancanza". Altro aspetto peculiare del film è l'abbienza, e non mi riferisco al classico rito borghese, ma proprio all'esibizionismo delle risorse. Il marito di Claire (un Kiefer Sutherland finalmente libero dai suoi ruoli di psicolabile perenne) parla con enfasi del "campo da golf di 18 buche", il Grande Capo (ehm) di Justine si vanta di soggiogare con la sua "proprietà" fino a umiliare persino un membro della sua famiglia. Ma il potere che traspare alla fine è solo un'inquieta solitudine. Davanti ai rituali e alle speranze tradite, tutto si ritorce contro di loro/noi. Dopotutto, esistono due modi di rassicurare lo spettatore con qualcosa di tragico, e Von Trier non sceglie la strada più tradizionale. Mi basta chiudere gli occhi e sentirmi confuso, fragile quanto basta per sentirmi attaccato a questo incerto futuro
Il Capolavoro di Lars Von Trier insieme al troppo vituperato Antichrist. L'umanità è di già estinta ancor prima dell'arrivo di Melancholia..un'umanità, degli esseri umani.. già spirati a servizio della falsità e dell' "artefatezza" dei rapporti, dei sentimenti, degli umori, dei temperamenti, dei caratteri, delle anime, degli animi: un cataclisma triste, senza speranza.. pregno di morte e d'angoscia. Una catastrofe già annuciata. Una fotografia strabiliante costella l'intera parabola rappresentata da Melancholia...due attrici straordinarie (la "Antichristiana" Gainsbourg è di una bravura impossibile) fanno lo stesso insieme alla regia impeccabile dello stesso Lars. E...non c'è che dire: ci troviamo ancora una volta dinanzi a un capolavoro.
MELANCHOLIA, OVVERO: IL CROLLO DELLA BORGHESIA, IL SUO COLLASSO NERVOSO, LA CATARSI E L'ANNUNCIATA APOCALISSE.
Opera d'arte complessa, fascinosa, fatta di carne, muscoli, ossa e sangue, "Melancholia" è il nuovo grido di uno dei più geniali e contrastati registi occidentali contemporanei. è un urlo sussurrato che stempera le ansie estreme di un sottovalutatissimo capolavoro come "Antichrist", emblema carnale dell rapporto uomo-donna che non poteva che finire in sesso e sangue per l'incomunicabilità tra due dolori inconciliabili, ma che non demorde mai, e affila i suoi denti a sciabola sul collo dello spettatore.
è un approssimarsi continuo, claustrofobico e disturbante di una tragedia, che può intendersi come lo sterminio della razza umana o come la morte celebrale e dell'anima di borghesi annoiati, vuoti, soli. Lars Von Trier ce li presenta in toni quasi maniacali, in un'ora abbondante di film, a convincerci di quanto siano viscidi e stereotipati, tutti succubi della propria eleganza e delle proprie chiacchere vuote.
"Festen" con pianeta killer annesso.
Poi le ansie si sgretolano, i protagonisti perdono il controllo e cadono nel più profondo degli abissi, senza più possibilità di risalita. "Melancholia" è il distruttivo ritratto di una società sull'orlo del crollo, sulla perdita di speranza in un mondo, ormai, a pezzi. Una tragedia che si consuma tra sale da ballo, da pranzo, campi da golf, giardini immensi. Una tragedia in ralenti, che non guarda in faccia a nessuno, nè al conto in banca di chi muore.
"Melancholia" è il disturbante ritratto di una famiglia a pezzi, di un'intera umanità che sopravvive dietro gli sguardi e i sorrisi borghesi, di un pianto incessante. Questo è l'anti "2001-Odissea Nello Spazio".
Da distruttore di generi qual è, dopo aver distrutto il musical (Dancer In The Dark), il teatro (Dogville, Manderlay), la commedia (Il Grande Capo) e l'horror (Antichrist), il regista danese sfrutta il catastrofico per delineare ritratti catastrofici di gente sull'orlo del fallimento individuale. Attivi nella vita, passivi nell'essenza.
Il pianeta si avvicina, mentre il mondo cade già a pezzi. Non serve una catastrofe improvvisa e distruttiva per mostrare il lato fragile degli esseri umani. Crollano le relazioni umane, crollano i valori, crollano le comunicazioni quando la morte si avvicina, aprendo il sipario sulla nostra ipocrisia.
Cast eccellente, tra cui spicca, ancora una volta, una straordinaria Charlotte Gainsbourg, molto più espressiva ed empatica di una comunque bravissima Kirsten Dunst, che ha il talento del fascino ammaliatore.
Lei, nuda, sotto la luna si bagna di speranza. Lei, con l'abito da sposa, improvvisamente Ofelia. Suicida dell'anima.
E vi prego, finiamola con il suo discorso su Hitler. Per quanto di cattivo gusto sia stato, qui si parla di cinema. Un cinema puro, crudele e spietato, destinato a trivellarvi l'anima con i suoi silenzi alternati a grida maligne, a momenti di bellezza inarrivabile (i primi dieci minuti, indimenticabili).
Non c'è redenzione in questo cinema. C'è solo la possibilità di cambiare, per spalancare gli occhi. E Charlotte, con il bambino sotto un'incessante grandine, che, come le ghiande di "Antichrist" sono "il pianto di tutto ciò che sta per morire", è indimenticabile. Scostante, insolublimente freddo e permeabile, "Melancholia" vi distrugge: un film sulla vita, più che sulla morte. Anche se, guardandolo, irrimediabilmente, si muore un po' dentro. E per scappare, non basta una grotta.